“Zoo Story” in anteprima nazionale nel Teatro Piermarini di Matelica
di Alberto Pellegrino
20 Mag 2017 - Commenti teatro
Edward Albee (1928-2016) è uno dei maggiori drammaturghi americani, che ha dato contributo fondamentale per introdurre negli Stati Uniti le nuove tendenze teatrali europee della seconda metà del Novecento con una spiccata preferenza verso il teatro dell’assurdo, un genere che si è affermato in America soprattutto con la sua opera più compiuta e più celebre Chi ha paura di Virginia Woolf? (1962), che gli ha dato fama internazionale grazie anche all’adattamento cinematografico realizzato nel 1966 dal regista Mike Nichols con Elizabeth Taylor e Richard Burton. Albee è autore di altri affermati drammi, tra i quali vanno segnalati The Death of Bessie Smith (1959), The American Dream (1960), A Delicate Balance (Premio Pulitzer1966), Seascape (Premio Pulitzer 1974),The Man Who Had Three Arms (1981), Marriage Play (1986-87), Three Tall Women (Premio Pulitzer 1990/91), The Goat or Who is Sylvia? (Premio Tony Award 2000).
L’atto unico The Zoo Story, scritto nel 1958 in tre sole settimane, è la sua prima opera teatrale ed è un piccolo capolavoro nel quale sono esplorati i temi dell’isolamento, della solitudine, della comunicazione, della disparità sociale e della disumanizzazione della società contemporanea. L’azione scenica è di tipo lineare e si svolge in “tempo reale” di fronte al pubblico.
Sulla scena interagiscono due soli personaggi, Peter e Jerry, che s’incontrano nel Central Park di New York, mentre Peter è intento a leggere un libro seduto su una solitaria panchina. Rappresentante della media borghesia benestante, Peter è un dirigente editoriale con una bella casa, una moglie, due figlie, due gatti e due pappagalli. Jerry è un uomo isolato, sfiduciato e disperato che abita in un misero monolocale in un vecchio palazzo altrettanto misero e abitato da poveri sottoproletari. Per avere la possibilità di stabilire un contatto con un altro essere umano, egli interrompe lo stato di quiete di Peter stabilendo una conversazione che è una specie d’interrogarlo per trasformarsi poi in una specie di monologo durante il quale racconta le storie sulla sua vita e la ragione della sua visita al giardino zoologico. In un alternarsi di momenti di umorismo ironico e di passaggi drammatici, si arriva alla conclusione della vicenda, quando Jerry porta la sua vittima a uno stato di esasperazione, per cui Peter cerca di andarsene, avendone abbastanza del suo strano e occasionale compagno. Jerry allora spinge Peter fuori dalla panchina e lo sfida a combattere per il suo territorio, tirando fuori un coltello e puntandolo contro Peter che per difendersi riesce a strappare l’arma dalla mano del suo avversario. A quel punto Jerry si getta contro di lui e finisce per far affondare il coltello nel suo petto, abbandonandosi sanguinate sulla panchina, dove ha termine la zoo story di Jerry, mentre Peter fugge inorridito per quanto è accaduto. Nessuno saprà mai per quale ragione Jerry si sia recato quella mattina nel giardino zoologico che rimane la misteriosa e insoluta metafora dell’incomunicabilità che affligge animali ed esseri umani.
Secondo Albee quello che accade tra due uomini molto diversi su quella panchina Central Park “È un gioco che sono molto felice di avere scritto, ma si tratta di un gioco con un solo personaggio completamente sviluppato e con un carattere tridimensionale (Jerry), mentre Peter è solo un personaggio di sostegno non completamente sviluppato”.
Sabato 25 marzo la pièce Zoo Story è andata in scena come anteprima nazionale nel Teatro Piermarini di Matelica scelto come “residenza-allestimento” con una rappresentazione mattutina riservata alle scuole e una serale per il pubblico. Il regista Marco Paoli, per mettere in scena questo spaccato sul disagio e sull’alienazione delle attuali periferie urbane, ha trasferito la vicenda dal Central Park di New York al parco romano di Villa Borghese, per evidenziare quanto la vita delle metropoli sia ormai simile in ogni parte del mondo. I due personaggi, che prendono i nomi di Pietro e Marco, che provengono da mondi opposti, incrociano le loro vite in una domenica mattina apparentemente tranquilla. Marco è uscito dalla catapecchia, dove vive in compagnia di varia umanità disperata al pari suo ed è alla ossessiva ricerca di un contatto umano, di qualcuno disposto ad ascoltare i suoi racconti. L’altro, Pietro, si trova in quel luogo alla ricerca di alcune ore di pace in compagnia del suo libro, lontano dalla quotidianità che caratterizza la sua vita (una famiglia tradizionale, un lavoro ripetitivo, due gatti e due pappagalli, un giardino). La panchina del parco diventa così il fulcro intorno al quale ruota l’intera vicenda: un’oasi felice per Pietro, il pretesto per Marco con lo scopo di stabilire una relazione con un essere umano disposto a sentire il suo racconto fatto con un linguaggio a volte scarno e diretto, a volte poetico e pieno di richiami colti. Questi due mondi sconosciuti prima si confrontano, poi finiscono per scontrarsi fino alla soluzione di una vicenda piena di disperata umanità, il cui esito tragico risulta spiazzante e coinvolgente. Bravissimo Marco Paoli nel sostenere la parte del protagonista con al fianco un altrettanto valido Manuele Pica, cui tocca il difficile e un po’ “ingrato” ruolo della spalla.