Voci d'osteria


11 Ago 2013 - Libri

Saggio – recensione di Guido Monti

Poesia metafisica l’ultima raccolta di Franco Loi Voci d’osteria.Metafisica che viene dalla strada polverosa di ogni giorno dalla qualecome un sussulto, un borbottio, si leva la voce polifonica di tantiuomini accartocciata, dimessa o dismessa, a volte disfatta.
Dicevo poesia metafisica perché registra letteralmente“l’oltre” di queste voci dalla matrice terrosasanguigna, verso l’interrogativo ultimo dell’esistere.
Si badi interrogativo quasi mai diretto ma sempre sotteso e parlantenel complesso nodo della vita che può manifestarsi sotto formediverse, come per esempio nello scorno delle relazioni famigliari,“Io alla mia donna, voglio un sacco di bene./E’ il suocarattere che è di gran puttana…/..una volta l’hostrozzata con le mie mani,/e un’altra l’ho abbrancata perun piede/e fuor dalle finestre d’un quinto piano/l’ho fattapenzolare come un bambolotto../” o nel sesso, travestito a volteda sentimento, che viene come gesto d’impulso e oscuro e chetraversa ogni uomo santo o meno..“Io il mistero dell’amore non l’ho maicapito…/..ne bacio una e voglio bene a un’altra../nellostringere e fingere mi prende una specie di dolore,/una puttana dipensieri, un cane che sbava,/la voglia di scappare, una troia ditormento…/..e quando non ci sono le donne, tira la rapa/nelletto e ti si spezza il sentimento../tu va a capire l’enigma cheè l’uomo!/..”
E questo stesso farsi e dirsi esperienziale, che macera e parla neicorpi, è la domanda di tutte queste voci “L’ho vistanuda, mi ha tirato l’uccello./Adesso è lì morta, el’aria sembra giocare/sul corpo di lei, tra quelle lenzuola e lemani,/ e io ci cerco tra quel muovere dell’aria,/con la voglia diniente, il mio sognare.”
La terra quindi come luogo ontologicamente interrogativo e dove intantoil buio s’espande sul fare degli uomini incapaci di ritrovarsi.
Quasi che sotto gli occhi del lettore, passassero in filigrana poesietutte con una invisibile domanda: esistere forse per nulla?perché esistere?
“Si vede la luce nel nascere, ma poi ci perdiamo/chè nellavita non troviamo più la luce../dentro nel marcio,nel fondo delbuio noi nuotiamo,/come i pesci morti, gli stronzi, le cose dabuttare…”Loi registra il battito sincopato nervoso di queste voci, latemperatura interna del loro dire, che quasi come un rantolo si spandenella melma, nel sottosuolo di ogni giorno, s’espande per darsiuna più totalizzante esclamazione, l’esclamazione checanta la canzone urlata e aggrovigliata e non sentita dallasocietà contemporanea..
“Se parlo da solo quando cammino,/ non è che sono coglioneo imbalordito,/ho qualcosa da dirvi e nessuno altro/ mi viene incontroper ascoltare lo sfogo../”
Quel “nessuno”, è lo stampo della societàd’oggi, nessun ascoltatore che abbia la misuradell’ascolto..
Il poeta poi nel registrare questo dialogo convulso, collettivo,è come se prendesse nota anche del tono malandato, direidisperato della sua stessa voce testimone di questo tempo muto.“Milano si consuma nel triossido/ e tra queste case che paionomorte agli uomini,/c’è solo il vento a muovere i panni chepallidi/ stanno alla corda come i rami ai pomi/che aspettano la perticache li tiri giù/…/soltanto me nessuno chiamagiù./….
Società avanzata, che per paradosso ha fatto scendere i suoiuomini sotto terra, realizzando così quello spazio infernale eirredimibile figurato dall’arte “Si va tra lepubblicità e i bottoni degli uomini/fra il buio degli occhi nelventre del metro/che sono come il segno di quel che accadrà: /figli delle terra sotto l’acqua del respirare../Ah quantanotte,…/come si disgrega il mondo nel suoimbestiarsi!/….guardano gli uomini il vuoto che hanno tra lefacce../Ah nero metro, caverna della storia!/Si va senza sapere chitornerà.”
Collettività tecnologicamente evoluta, nella falsa rigaperò della fabbrica centenaria, che dettava e dettatutt’ora col suo tempo meccanico, un ritmo agli uomini, unacadenza di sottrazione della vita, dei suoi bioritmi.
“…la fabbrica prima ti mangia e poi ti caga,/…/tiruba il tempo, ti ruba la coscienza,/il fiato ti ruba, e l’aria,il sentimento../…./Ma le fabbriche le abbiamo addosso, findentro casa,/ fin nel letto..tra te e tua moglie../..
È dolente in Loi questa istantanea nitida mai offuscata delvivere d’oggi, questo immiserimento umano senza riscatto“…/…e quelli che nascono oggi non hannosperanza../..siamo figli d’un povero Milano pieno di boria,/ conla coscienza sporca e la pazienza/ di lavorare, chiavare farsi verdicome ramarri../ Ma su, non abbiate paura! Con tanta sapienza/ non siamonemmeno capaci di pisciare, e il nostro essere/ si scioglie in unsoffio d’aria, in meno di niente…/e il nostro sapere si facarta ci cesso.”
E questa continua frenesia, col fiato corto, senza direzione senzariflessione addirittura di corsa sino alla bara.. “Donne chehanno fretta,uomini che lavorano,/ gente che corre e non sa mai doveandare../Il prima e il dopo, amici, non si può maidirlo/ché noi balordi siamo dentro il lampo del vivere/ e iltroppo darsi da fare è figlio dell’ignoranza,/una corsaalla bara nell’affanno del morire.”E questo aprire il petto dell’uomo figlio delle mai sepolte“magnifiche sorti e progressive”, questo suo gonfiarsifurioso che lo porta ad essere il misuratore del perimetro umano..
Dice ancora Loi: “Se l’uomo misura il mondo, chi misura/ilmodo di misurare dell’uomo e la misura?/.. ché noi nelmisurare falsiamo il metro/ ché ci piace comunque farci bellinel giudicare../E allora lasciamo fare ai grandi sarti/ chéanche dio ha sempre tanto da fare..”
E forse l’uomo non solo non può misurare ma non puòessere misurato per il suo stato di precarietà e finitezzadentro la vita terrena “Carletto, vieni qua..vieni qua che timisuro..”/ “misurare cosa, eh?..misurare cosa?”/“Ti misuro l’ombra della cassa../che tanto nel corpo nonc’è niente da misurare..”
E ancora i figli dei figli di questo sbigottito andare senza direzione,che assume il verso a volte di una violenza occulta “Ci sonogiovani che tu vedi già morti../ adesso ti vengono addosso anchein metro../loro, i padroni del tram, la razza nera,/ che fanno soldicon gli occhi e ti derubano/ perfino l’anima nel tuo letto dasera..”
Violenza dicevo e facile guadagno, facile divertimento, in cui il sensodel sacrificio si occulta nel lampo del godere dell’attimo“Te la ricordi, Gino, la fatica/ i giorni del carneval pertrovare un centesimo?/Oggi è uno spasso anche a essere mocciosi./ Ma guardali lì, questi stronzi, han tanta figa/…./Nonc’è più religione!troppa abbondanza econfusione!/…
Questa lacerazione, frantumazione dell’orizzonte umano si fa poipiù evidente proprio quando il poeta per contrasto, glisovrappone nitide diapositive di paesaggi marini, “Nel gioco iovorrei come un ciuffolotto/ perdermi nell’aria, essere foglia nelvolare,/farmi grandi risate e andare nell’acqua nudo/ el’onda è ancora aria nel nuotare/ e non siamo piùnoi, ma corre l’acqua nel vento/ e l’aria si fa noi nel suofiatare”, o di luoghi anche cittadini ma traversati per un attimodi natura come la pioggia che informa di lentezza fluviale i vialid’una Milano altra “Come piove! Come fresca la cittànel piovere!/ quel verde del camion, l’ombrello che cammina,/ laluce del tram che scivola a stento/ e io che sogno il fumo d’unamore lontano/…e c’è la luna e tanti uccelli nelcielo,/ e un piovere che nel pensiero vien su dal mare,/ un ‘ondache torna e che lascia il fiele/ d’una Milano che dorme senzagente.”
Assistiamo qui ad una parola che si quieta, si distende si fa preghiera naturale.
A volte invece è capovolta nei toni interlocutori ed ironiciverso un loro impersonale “Come ce l’hanno imbrattata, Dio,questa nostra vita,/ quando sarebbe così bello guardarenevicare/e guardar piovere…/ e correre le strade e con gli amicipisciare..”
Il poeta è queste voci che si fanno protesta drammatica nel lorodire di bestemmia, “Che vita sciatta! tra le rondini che sibeccano/…Ah madre avara,/che mi hai messo al mondo senzapensarci!” o è la voce essenziale del panettiere che dallasaggezza d’un mestiere antico dice “…/…noi siamopoeti….piccoli e forestieri../senza padre némadre…siamo brutta gente.. /ai quali il giorno è come la nottenel buco del prestinaio…/…” nasce insomma da tuttequeste presenze del mondo e nel mondo e poi ne fa summa nella suapagina per un dire unico e insieme molteplice.
Franco Loi credo ci suggerisca di percorrere la strada del vissuto,quella più fonda, degli uomini drammaticamente inascoltatiperché ultimi di una catena, occorre insomma per intenderlaquesta vita rigirarla da sotto perché “non basta infilarebelle parole,/occorre segnarle con l’olio, e, sacramento,/conl’unghia della vita, e con le noci amare/ che abbiamo cagatofuori dal sangue del sentimento.”
Gli spunti di riflessione esistenziale si intrecciano, si parlano e Loida esploratore di quella sottilissima dimensione che terrena svolaverso qualcosa d’altro, dà forma a questi interrogativi,li accende come quando ci parla in una poesia, del sonno umano vistonella sua dimensione doppia di riposo ma anche di abbandono e perditadi quel senso razionale che ci fa essere coscienti alla vita“…/gli occhi chiusi, un peso d’ombra scura/ appenasopra il naso, un dimenticarsi la vita../ sta li quieto, poi arrivaall’improvviso/ e tu senza accorgertene ci sei giàdentro../…non c’è nemmeno il tempo di dire e disorridere,/ già l’aria la respiriamo senza piùvedere.”
Questo respirare senza più vedere, è lo stato dipre-morte, è la visione anticipata di quell’esserci finaled’ognuno.
Il tratto poi che imprime nelle poesie finali del libro all’uomo-padre-vecchio è quello di un corpo traversato e consunto dallavita, dai suoi colpi ed è come se in fondo, nel fondo di quellaesistenza, fosse passato senza traccia con la mente fissa a un pensieroo a qualcosa…“C’è un giornale tra le mani bianche di mio padre/ elui sorride come nel pensarsi../..e gli occhi guardano qualcosa nelpassare del tempo../..sta lì nel vuoto, è lì comenel ventre/d’un suo soffiare dell’aria edimenticanze…/..un fiato nella pazienza di aspettare,/ una vitache sembra spersa nella mente.
L’uomo-padre visto poi nell’ultimo momento dopo la morte,assume una sembianza in-figurabile come in-figurabile si prefigura lapossibilità oramai svanita di capire la dimensione paterna nelfarsi della sua storia sociale ed individuale “Gli occhi sonosciocchi nell’aria dietro la morte,/la mano di palta su unlenzuolo tutto bianco/ mio padre guarda il sole come fossenotte../…Dov’è? cos’è? mio padre? Cosase n’è andato?/cosa rimarrà di lui nel venire delverde/…sono qui a guardare uno sconosciuto fatto niente/ eadagio si perde del padre la mia eterna/ fatica di capire l’ariail suo tempo.
Quel “adagio” è terribile piolo che batte es’incunea nel vero delle relazioni umane destinate a disunirsi,come lentamente, nel chiaro volere-destino umano

(Guido Monti)


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