“Vespri siciliani” a Genova


Alberto Bazzano

31 Ott 2007 - Commenti classica

Imperdibili I vespri siciliani di Verdi, in scena al Teatro Carlo Felice di Genova. L'opera di sempre più rara esecuzione la partitura richiede un pool vocale di notevole caratura -, mancava dalle scene genovesi dal 1939. Anche allora inaugurò la stagione lirica del teatro. Nei panni di Giovanni da Procida si distinse il grande basso Tancredi Pasero, nei confronti del quale i cronisti del tempo furono prodighi di lodi. In particolare, il Giornale di Genova sottolineò l'inutilità di ogni parola al cospetto grandezza raggiunta dall'artista.
Prima del 39, tracce del capolavoro verdiano si ebbero solo nell'Ottocento. La prima testimonianza genovese risale al 1856 (anno della prima esecuzione italiana dell'opera); la seconda è invece del 1864. Interpreti di tale ultima edizione furono il leggendario baritono Antonio Cotogni, capostipite della Scuola vocale romana e maestro del baritono Mattia Battistini, ed il tenore Emanuele Carrion, raro esempio, per la seconda metà dell'Ottocento, di cantante versato ugualmente nel repertorio rossiniano ed in quello verdiano.
Anche quest'anno la scelta della compagine vocale è caduta su artisti valenti e preparati, a partire dal Manforte di Franco Vassallo, voce ampia e risonante, per passare al convincente Procida di Orlin Anastassov, per terminare, infine, con il generoso Arrigo di Francisco Casanova.
Menzione a parte merita la prova di Sondra Radvanovsky, eccellente nei panni di Elena. La cantante, dotata di un strumento di soprano (drammatico d'agilità ) assai dovizioso, ha impersonato il ruolo della protagonista con intensità , dispiegando una linea sicura, culminata nel lucentissimo Mi naturale sovracuto interpolato al termine della Siciliana, Mercè dilette amiche , nel quinto atto dell'opera. Altrettanto convincente è parsa la direzione di Renato Palombo, una direzione curata nel dettaglio e connotata da incisività e brio.
Lo spettacolo di Richard Hudson, proveniente dall'Opèra Bastille, ha fatto leva sulla trasposizione della vicenda dall'epoca medioevale alla seconda metà dell'Ottocento, periodo altrettanto carico di entusiasmi indipendentisti. Purtroppo unica nota dolente dello spettacolo la regia di Andrei Serban, avara di illuminazioni, non ha saputo sviluppare adeguatamente gli stimolanti suggerimenti impliciti nel lavoro dello scenografo.
(Alberto Bazzano)


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