Vasco: il trionfo del “re del rock” e del suo popolo
Silvio Sbrigata
31 Lug 2003 - Commenti live!
Milano – Sono oramai passati più di venti giorni dall'ultima data milanese. Tutte le polemiche sono state chiuse, e gli echi delle ultime note suonate la sera dell'8 Luglio, non si sentono più. Mi piace ricordare quelle giornate, nella certezza di avere vissuto una delle più intense e forti esperienze della mia vita. Il tutto, per quel che mi riguarda, è cominciato a Marzo quando ho comprato il biglietto. Da quel momento è partito il mio conto alla rovescia personale, e dopo quattro mesi di trepidante attesa, finalmente arrivava l'8 Luglio. Il tempio del calcio, si prestava ancora una volta, a diventare per tre giorni un'arena del rock.
Quando sono entrato allo stadio, ho subito avuto la sensazione della festa. Una festa giunta alla terza giornata e con 240.000 invitati. C'erano due grandi protagonisti: il più importante, inutile a dirlo, era lui. Il re del rock made in Italy, Vasco Rossi, classe 1952, da Zocca, Modena. Del secondo facevo parte anch'io: l'enorme massa di persone che lo venerano, lo amano, lo rispettano, lo cantano, lo seguono in tutta l'Italia. I suoi fans: il popolo di Vasco ci chiamano. Quelli che in lui ci riconosciamo, che da lui ci sentiamo descritti, conosciuti, voluti bene. Capaci anche di percorrere tutto lo stivale pur di essere presenti ad uno suo concerto. Descrivere come ho vissuto quel giorno, mi risulta oltremodo difficoltoso. Di sensazioni, emozioni, stati d'animo ne ho provati troppi per avere la pretesa di descriverli in solo articolo. E poi seguo Vasco da più di vent'anni, mi manca quindi, il minimo di distacco necessario per scrivere il pezzo in modo critico. Preferisco allora iniziare da quanto di più oggettivo possibile, cioè i numeri: 240.000 biglietti venduti in prevendita in sole tre settimane, a quattro mesi dall'evento. Tre stadi pieni, ma le richieste facevano pensare ad altre due date che, se concesse, avrebbero anch'esse registrato il sold-out. Il palco, a forma di vascello, era imponente: 110 m di lunghezza, 30 m di larghezza e 20 m di altezza. Due pedane per lato, di cui una rialzata, e due grandi passerelle a V -sarà stata quella di Vasco? – che dal palco andavano verso il centro del campo. Sei schermi giganti e due laterali per consentire una visione ottimale a tutti. Un numero impressionante di scanner e fari, il tutto alimentato con un milione di watt. Ma poi soprattutto le persone. Eravamo già in tanti alle 17 -chissà in quanti erano già lì dalla mattina-. E a poco a poco vedevo riempire i tre anelli ed il parterre dello stadio. Un bel colpo d'occhio: tante persone a formare un immenso abbraccio umano a stringere il palco e, soprattutto, chi lo avrebbe occupato. Mi era già capitato di partecipare ad un concerto di Vasco con 80.000 e più persone, ma quella sera c'era qualcosa di diverso. Un'atmosfera elettrica, una forte energia che si respirava nell'aria. Forse la consapevolezza che quella era l'ultima delle tre sere, che non ci sarebbe stata una quarta serata. C'era nell'aria la certezza dell'evento irripetibile, del concerto dei concerti.
Per occupare il tempo che mi divideva dall'inizio dello spettacolo, non ho avuto certo problemi: vedere riempire il Meazza era già uno spettacolo. Poi c'erano tanti striscioni da leggere: alcuni non valevano la stoffa impiegata, ma altri scritti davvero con il cuore. Il Blasco non li avrebbe letti mai, almeno non durante il concerto, ma chi li ha esposti lo ha fatto per comunicare agli altri un messaggio, che sia la provenienza, o la dichiarazione d'amore a Vasco poco conta. L'importante era farlo leggere agli altri. E poi lo spettacolo dei cori. Praticamente li si ascoltava con continuità . Trentamila, quarantamila o chissà quante persone ad urlare Vasco, Vasco . Le ola che da una parte all'altra percorrevano tutto lo stadio concludendosi con un applauso, sembrava che scandissero il tempo del count-down all'inizio del concerto. La sola idea che di lì a pochi minuti avrei visto sul palco ancora una volta il mio mito, mi faceva entrare in fibrillazione. Prima scarica di adrenalina quando sono stati accesi gli schermi e si sono intraviste dal tunnel di accesso al palco, le sagome dei musicisti. Ma poi soprattutto quella del Blasco, in tuttuno con quella dell'inseparabile Danilo Roccia D'Alessandro, sua storica guardia del corpo. La scaletta sapevo fosse identica a quelle delle altre serate, ormai nota. Questo però non rappresentava certo un freno alle mie emozioni. E poi Vasco è imprevedibile: ricordo che anni fa durante un concerto ebbe l'ardire di scendere dal palco ed andare verso il pubblico provocando un'invasione di campo. I primi ad entrare in scena sono stati i musicisti: Maurizio Solieri -è sempre una goduria risentirlo- e Steff Burn alle chitarre, Alberto Rocchetti il Lupo Maremmano, alle tastiere -incredibile, l'ho incontrato tra il pubblico mentre faceva il suo abituale giro preconcerto-, Andrea Cucchia Innesto fiati, Frank Nemola tastiere e programmazione, Clara Moroni cori, Claudio Gallo Golinelli basso, Mike Baird, l'unico nuovo della combricola, alla batteria – un professionista dall'innegabile talento. Nulla da invidiare a Kenny Aronoff o a Jonathan Muffet dei passati tour, ma mi sarebbe piaciuto potere riapplaudire Deen Castronovo-. Poi finalmente il momento tanto atteso: tutti sono al loro posto sul palco. Ore 20:53, dopo una breve intro corale, si apre il concerto con le note di Credi davvero. So già che Vasco uscirà dalla vela destra del vascello e proprio per questo ho il mio binocolo puntato là : avrei voluto carpire dalla sua espressione, la prima emozione provata appena entrato in scena. Ma poi penso che una risposta, me l'ha già data il Blasco stesso con Lo Show con cui, guarda caso, apre uno dei due dischi che amo di più: Gli spari sopra. Vasco è con un tranch nero, sotto il quale si intravede la tanto polemizzata maglietta con la scritta Legalized, sopra una foglia di marijuana. Stasera è veramente carico, ed il concerto si prospetta sin dai primi istanti un evento insuperabile. L'adrenalina è alle stelle, ma con Vasco non si può mai dire di avere raggiunto il massimo. Infatti con Asilo Republic , Ti prendo e ti porta via e Splendida Giornata – la ascoltavo sempre prima di andare a fare un'esame all'università – siamo tutti completamente travolti dal ciclone emotivo che parte dal palco. Riscontro poi come con questa canzone, Vasco tolga quel minimo di tensione che gli rimaneva e comincia a stare sul palco, come se fosse un immenso giocattolo e lui il bambino che ci gioca. Ne esplora tutti gli angoli, percorre interamente tutti i pedanamenti. Tira sul pubblico, da subito completamente in delirio, gli oggetti che arrivano verso di lui. La dinamica della serata è stata preparata con grande cura: la scaletta è stata concepita prevedendo un'alternanza di momenti durante i quali le chitarre graffiavano, con momenti nei quali veniva fuori lo spirito romantico di Vasco. Grande sorpresa nell'ascoltare per la prima volta dal vivo Se è vero o no, seguita a ruota dalla straodinaria Vivere, e dall'introspettiva Ogni Volta. Poi il ritmo si eleva gradualmente con Fegato, Fegato Spappolato, proposta con un arrangiamento po' funkeggiante, per poi farci saltare tutti 80000 con Rewind. Gli schermi sono importantissimi, specialmente quando completamente occupati dal Blasco, nei pochi momenti durante i quali sta fermo. Sono questi i minuti in cui canta le ballate come Io no. Quando Burn ha guadagnato il centro del palco, e tutti i riflettori erano puntati su di lui, capiamo che è arrivato uno dei momenti, per quel che mi riguarda, più attesi. Sta per partire Stupendo, nel cui titolo c'è la perfetta sintesi di quello che si prova all'ascolto. Gli accendini cominciano a brillare e Vasco è visibilmente emozionato: e quando chiude la parte cantata con …se ritorno, ci mette una grinta, una forza, un'energia, una rabbia traducibile in note solo dalle vibrazioni del lungo assolo di Stef. E adesso un regalo, dice Vasco. Una canzone nuova, scritta dieci minuti fa in camerino, continua sarcastico e sorridente. Così introduce l'inedita Rock and Roll Show che sarà pubblicata sul prossimo disco in uscita (forse) a fine anno. Il pezzo è orecchiabile e spinto dalla chitarra di Solieri, come sempre travolgente. Con Non appari mai, canzone di denuncia, non solo viene fuori l'ironia che da sempre caratterizza Vasco, ma modificando di poco il testo, fa anche un riferimento all'attuale situazione politica italiana. Ancora nell'area dell'introspezione con Stupido Hotel, il luogo della mente dove non si fa differenza tra farsi la barba o uccidere. Questo è uno dei momenti più toccanti dell'intero concerto: all'ascolto delle voci del suo popolo Vasco, si commuove e gli schermi vengono colmati da un primo piano con cui si evedenziano i suoi occhioni così azzurri e profondi, ma anche luccicanti per l'intensità dell'emozione. E' il previsto intervento di Diego Spagnoli, direttore di palco e dal '96 anche il presentatore ufficiale della band, che permette al Blasco di smorzare la tensione. Diego entra sul palco vestito da giardiniere e con un mazzo di marijuana, falsa ovviamente, ed uno per volta presenta i musicisti. Il tempo necessario per cambiare la maglietta è stato coperto da un guitar solo di Burn, per la prima parte, e Solieri per la seconda. Quando Vasco rientra sul palco apre le porte alle tante donne del suo immaginario: ecco quindi Toffee, cantata seduto davanti la batteria e con gli asciagamano bianchi che arrivano dai musicisti, Gabri, Una canzone per te e, per chiudere, lo straodinario esempio di capacità compositiva vascorossiana che è Sally. Il ritmo aumentava nuovamente con l'anarchica C'è chi dice no, la ribelle Mi si escludeva, fino all'esplosione di energia de Gli Spari Sopra e l'ironica Delusa. Ancora tre ballate per riprendere fiato: l'amara Siamo Soli, l'omaggio a De Gregori con Generale, ormai ufficialmente adottata da Vasco e dal suo popolo, ed infine l'esistenzialista Liberi, Liberi. Poi ancora un altro break di cinque minuti e di nuovo sul palco per il gran finale. Erano le passate le 23 da una decina di minuti e, dopo il rientro, tutti sapevamo che il concerto stava per giungere al termine. C'era il tempo solo per tre o quattro canzoni al massimo e non era neanche difficile capire quali fossero. La variabile era solamente l'ordine. Con Bollicine lo stadio si è riempito di luci e di colori, ma il tripudio di tutti noi è arrivato con Siamo Solo Noi. Tutti ci sentiamo descritti in quella canzone, e tutti la cantiamo come un inno, pensando che quel Noi del titolo ci comprenda tutti. Vasco in quel momento sul palco non canta più la storia della sua vita, ma quella di tutti i presenti. La penultima è stata Vita Spericolata altro inno: potevano anche essere spenti gli amplificatori. Da come cantavamo tutti, erano praticamente inutili. Non dimenticherò mai lo sguardo che Vasco ha rivolto al pubblico attraverso gli schermi, nel riscontrare con amarezza che di canzoni in scaletta ne mancava solamente una. Qualche secondo per non farsi travolgere da tutta l'energia che gli arrivava, e poi Rocchetti inizia con le note di Albachiara. Quello che è successo nei successivi dieci minuti, lo può capire solamente chi li ha vissuti. Vasco ha provato a cantare poi, vuoi per l'emozione, vuoi per il gusto di ascoltare 80000 voci, lo ha fatto solamente a tratti pronunciando appena qualche parola del testo. Inizia così l'ultimissima parte e cioè quella dei saluti e dei ringraziamenti. Il Blasco non ha dimenticato nessuno: per primi tutti noi presenti, poi i tecnici, gli addetti alle luci, i facchini, gli avvocati. Poi, mentre si accendevano le luci, e Solieri ha cominciato a suonare l'assolo composto da lui stesso nel '79, ha lasciato il palco, accompagnato da Floriano Fini e Roccia. Grazie Vasco, per quello che mi hai dato, per questi tre indimenticabili concerti, per tutte le canzoni scritte fino adesso, per quelle che scriverai. Per i sogni che alimenti, per i viaggi che mi fai fare. Spero di rivederti presto a saltellare su un palco degno della tua grandezza, e non ci lasciare troppo tempo senza le tue favole. E senza i tuoi concerti.
Grazie a Liliana per la pazienza, e Lello di www.vivereunafavola.it
(Silvio Sbrigata)