Urbisaglia (MC): Teatro Antico, stagione 2002


di Alberto Pellegrino

11 Ago 2013 - Senza categoria

Teatro: Approfondimenti

Urbisaglia è una cittadina in provincia di Macerata che vanta antiche tradizioni storiche, poichè le sue origini risalgono all'antica Urbs Salvia, municipio romano in epoca repubblicana, poi fiorente città della V Regio Augustea come testimoniano i resti monumentali del Parco Archeologico fra cui spiccano il Serbatoio dell'acquedotto, il Teatro, il Tempio e il Criptoportico, le ville nobiliari e il grande Anfiteatro che oggi ospita la stagione di prosa del Teatro Classico che per l'edizione 2002 presenta un cartellone di notevole spessore e interesse.

Pentesilea (18-19-20 luglio).
La stagione 2002 si apre con un avvenimento teatrale di importanza internazionale: l'arrivo ad Urbisaglia di un grande spettacolo che ha già debuttato al Teatro Greco di Epidauro e al Teatro Greco di Siracusa. Si tratta di un classico del teatro romantico tedesco, la Pentesilea di Heinrich von Kleist, in un allestimento ideato e diretto da Peter Stein, uno dei maggiori registi del nostro tempo, chesi è avvalso della collaborazione di Dionisas Fotopoulos per le scenografie, Franca Squarciapiano per i costumi, Andrè Gingas per le coreografie, A.J. Wiessbard per le luci, Valery Oreshkin e Luigi Marzola per la direzione del coro. La composizione delle musiche di scena è stata affidata ad Arturo Annecchino, un autore di consolidata esperienza teatrale e abituale collaboratore del regista tedesco. Il cast degli attori si presenta di alto livello a partire da Maddalena Crippa, che promette di essere una Pentesilea appassionata e veemente, capace di colorazioni particolarmente intense e drammatiche. Gli alti interpreti sono Graziano Piazza (Achille), Anita Bertolucci (Sacerdotessa), Pia Lanciotti (Protoe), Debora Zuin (Meroe), Giuseppe Antignani (Ulisse), Alessandro Riceci (Diomede), Giuseppe Vettorazzo (Capitano). Vi è poi un Coro di Amazzoni composto da 29 attrici danzatrici appartenenti a quattro diversi paesi.

L'autore. Heinrich von Kleist (1777-1811) nasce da una aristocratica famiglia prussiana dalle salde tradizioni militari. Arruolatosi a soli quindici anni e ben presto deluso dall'ambiente militare, il giovane si ritira a vita privata dedicandosi agli studi di matematica, diritto e filosofia. La lettura delle opere di Kant lo fanno precipitare in una profonda crisi esistenziale, per cui abbandona gli studi e la fidanzata per condurre una vita errabonda e produrre le sue prime opere letterarie, da cui emerge l'idea primaria dell'eroica lotta dell'individuo contro la morte. Dopo aver peregrinato per l'Europa sconvolta dalle guerre napoleoniche ed essere stato arrestato per un sospetto di spionaggio, von Kleist ottiene un modesto impiego a Konigsberg, dove scrive alcune delle sue opere più importanti: La brocca spezzata, il racconto La marchesa di O, l'Anfitrione, la Pentesilea, il dramma cavalleresco Caterina di Heilbronn. Raggiunto un certo successo, abbandona l'impiego e si dedica all'attività letteraria, lavorando per alcune riviste e scrivendo il dramma La battaglia di Arminio, i saggi Catechismo dei tedeschi, Sul teatro delle marionette e due raccolte di racconti. Nel 1811 von Kleist pubblica il dramma Il principe di Homburg basato sul conflitto fra gli impulsi dell'individuo e l'astratta ragione di stato. Incompreso dal pubblico, emarginato dalla società e dalla famiglia, amareggiato dalle vicende politiche e in gravi difficoltà economiche, von Kleist si uccide sulle rive del fiume Wannsee insieme alla sua compagna Henriette Vogel. Questo autore, sottovalutato dai contemporanei, è una delle maggiori personalità della stagione romantica europea proprio per le contraddizioni e i tratti personali che porta nella sua vita e nella sua opera. Von Kleist concepisce il titanismo romantico non è solo come affermazione dell'io nei confronti della società e del destino, ma soprattutto come espressione dell'angoscia e della solitudine dell'individuo e dell'artista.

La Pentesilea (1808).
La trama. Durante l'assedio di Troia le Amazzoni giungono sul campo di battaglia al comando della loro regina Pentesilea. Ulisse e Achille si sono recati al loro accampamento per cpumicare che vorrebbero avere queste indomite guerriere come alleate. Nel corso del colloquio la regina, bella come una dea, non ha prestato molta attenzione alle parole di Ulisse, ma ha sempre fissato Achille e affermare, al termine del colloquio, che avrebbe mandato la risposta sulla punta delle su frecce . Diomede riferisce che, durante uno scontro con i Troiani, la regina delle Amazzoni ha ucciso Deifobo, che stava per colpire Achille, per poi allontanarsi velocemente sul suo cavallo. Achille, adirato per il gesto, vorrebbe inseguire, sconfiggere e sottomettere Pentesilea, malgrado Ulisse e gli altri compagni tentino di convincerlo a non affrontare le Amazzoni. La regina, saputo che i Greci ritengono le Amazzoni destinate alla sconfitta, decide di accettare la sfida e prepara la festa per la vittoria: ogni amazzone cingerà con una corona di rose il capo del guerriero fatto prigioniero, che sarà suo sposo per un mese per essere poi sacrificato a Diana. Ma nello sconto Pentesilea viene battuta da Achille, che la riconsegna svenuta alla compagne ed accetta di apparire alla regina come sconfitto per non umiliarla. Pentesilea, una volta ritornata in sè, si illude di aver fatto prigioniero il suo avversario e gli narra la storia delle Amazzoni, le loro origini, i loro costumi, mostrando di essere profondamente innamorata dell'eroe greco che, da parte sua, pensa di poterla fare sua sposa. Allontanatosi Achille, la regina scopre di essere stata ingannata e manifesta un furore che confina con la follia. Ritornata sul campo di battaglia con una muta di cani, affronta Achille invano trattenuto dai suoi, ferisce l'eroe greco e lo fa sbranare dai cani, partecipando anche lei al sanguinario e feroce rito di vendetta consumato sul corpo dell'uomo amato. Quindi, fra l'orrore delle compagne, fa deporre il cadavere dilaniato dell'uomo ai piedi della sacerdotessa, ma a quel punto Pentesilea si riprende dal suo sanguinoso delirio e si rende conto di quello che ha fatto. Deposte le armi, la regina afferra un pugnale e decide di darsi la morte: Questo minerale, lo tempro nella brace del dolore, duro come l'acciaio; e poi lo imbevo da cima a fondo del veleno rovente e corrosivo del rimorso; lo pongo sull'incudine eterna della speranza e lo trasformo in un pugnale affilato e appuntito; a questo pugnale, adesso, porgo il mio petto! . Nel momento in cui la regina si dà la morte, la sua fedele compagna Protoe grida: E' caduta, perchè troppo orgogliosa e forte fioriva! La quercia morta resiste alla bufera, ma quella sana ne è schiantata e travolta, perchè la tempesta può afferrarla per le fronde .
Il personaggio. Pentesilea è una femmina guerriera che irrompe dalle ombre del mito classico, da un mondo primordiale dove l'umano e il ferino tendono a confondersi. L'autore capovolge però il significato del mito, dato che secondo la tradizione Achille ferisce Pentesilea in battaglia e s'innamora di lei morente. In von Kleist invece l'amazzone s'innamora di Achille e ne è ricambiata, ma credendosi umiliata e derisa l'eroina sbrana l'uomo amato in un eccesso di furore orgoglioso ed erotico. Pentesilea si presenta come una trasgressione culturale e sessuale alle regole classiche della sessualità , dell'amore e della morte, rispondendo alle leggi dell'orgoglio, del sangue e della follia in un mondo barbarico e così raccapricciante da contrappone all'umanesimo morale goethiano e al rasserenante classicismo tedesco il dominio dei sensi e della pazzia, la forza anarchica dell'istinto, il potere del sangue che rende il cuore dell'uomo è un enigma indecifrabile, per cui Pentesila può affermare, contro ogni tipo di razionalizzazione dell'esistenza, che Amore e orrore fa rima . L'amazzone è pronta a scoprirsi femmina sconvolta dal turbine della passione, a sottomettersi alla virilità prorompente del maschio ma, quando sente vacillare il suo mondo, il suo codice d'onore e di vita, il suo modo di essere donna, si lascia travolgere dall' ebrezza dei sensi più primordiali che annullano la ragione. Avvinghiata al corpo straziato dell'uomo che ama, Pentesilea celebra un rito dove confluiscono amore ed odio, masochismo e sadismo, paura di abbandonare la propria femminilità fra le braccia di un uomo che desidera palesemente e ardentemente di volerla possedere. La risposta a questa passione maschile è la violenza, il sangue e la morte in un impeto di ebrezza, durante il quale la donna non smarrisce mai completamente la consapevolezza del suo agire, perchè questa donna meravigliosa, metà Furia, metà Grazia trova solo nella morte il modo per esprimere la propria sensualità e per recuperare il proprio equilibrio interiore.

La regia. Peter Stein ha firmato in passato prestigiose regie fra cui segnaliamo il Torquato Tasso di Goethe, il Peer Gynt di Ibsen, Il Principe di Homburg di von Kleist, l'Oresta di Eschilo, il Giulio Cesare di Shakespeare e il Faust I e II di Goethe in edizione integrale. Per la messa in scena di questa tragedia particolarmente complessa, Stein ha deciso di isolare i momenti eroici del confronto fra i due protagonisti (Pentesilea e Achille), affidando la restante parte narrativa all'azione del coro delle Amazzoni, che nel testo originale ha un peso molto limitato. Attraverso precisi movimenti coreografici, una partitura vocale e delle musiche appositamente studiate, questo gruppo di giovani guerriere potrà far rivivere sulla scena quello che nel testo viene solitamente raccontato da alcuni personaggi, rendendo l'azione teatrale drammaturgicamente più viva e coinvolgente. La scena, disegnata da Dionisis Fotopoulos, contribuisce a creare un tragico contesto alle vicende, che si svolgono su di un pianoro simile ad una grande onda di lava nera che parte dal basso per salire fino ad oltre tre metri di altezza, con un fronte di venti metri ed una profondità di oltre trentacinque metri.

Lettura su Medea (24 luglio).
Due importanti attori di teatro e di cinema come Iaia Forte e Tommaso Ragno hanno deciso di adattare la tragedia di Euripide secondo un progetto appositamente studiato per l'Anfiteatro Romano di Urbisaglia, riportando sulla scena la vicenda di uno dei più inquietanti personaggi del teatro classico, la maga Medea, donna fiera selvaggia come una leonessa, impersonificazione di un sinistro potere distruttivo che finisce per colpire le persone più amate. Combattuta tra l'amore per il proprio uomo e l'amore per i propri figli, Medea, oltre che una presenza minacciosa, è una figura portatrice nel proprio intimo di mai sanate contraddizioni proprio nel rapporto con il suo uomo. Per questo la tragedia è stata ridotta ad uno scontro a due voci fra Medea e Giasone proprio per evidenziare al massimo il nucleo tragico che sta alla base della vicenda.
La trama. Rappresentata ad Atene nel 431 a. C., la tragedia è incentrata sul personaggio della protagonista che, in continuo scontro con l'antagonista (Giasone) combatte la sua guerra tra ragione e istinto. Con intuizione geniale Euripide introduce nel teatro tragico il motivo erotico inteso come una delle molle fondamentali dei comportamenti umani ed ancora controcorrente appare la polemica a favore della donna. Addirittura rivoluzionaria, rispetto alla filosofia socratica, secondo la quale il male si compie per ignoranza del bene: Medea è perfettamente consapevole del delitto che sta per compiere, eppure agisce ugualmente.
L'eroe greco Giasone ha potuto conquistare nella lontana Tracia il mitico vello d'oro grazie all'aiuto di Medea, che ha successivamente sposato diviso tra amore e riconoscenza e dalla quale ha avuto due figli. Dopo il ritorno in Grecia, Giasone ha deciso di abbandonare Medea per sposare la figlia di Creonte re di Corinto. Apparentemente rassegnata, dopo uno scontro con il suo uomo, decide di vendicarsi ed invia in dono alla figlia del re delle vesti intrise di veleno, facendola morire fra atroci tormenti insieme al padre accorso in suo aiuto. Subito dopo uccide i suoi stessi figli ed appare all'atterrito e disperato Giasone su di un carro alato su cui è salita con i cadaveri dei due bambini per seppellirli lontano dal padre e per sfuggire alla vendetta dei corinzi.

I Menecmi. Due gemelli napoletani (30 luglio).
Si tratta di una delle più note commedie di Plauto, dove si racconta la storia di un mercarcate che ha avuto due gemelli, Menecmo e Fosicle. Partito per un viaggio di affari con Menecmo, lo aveva perso a causa di un rapimento ed era successivamente morto per il dolore. Il secondo figlio, il cui nome era stato mutato in Menecmo per ricordare il primo, una volta divenuto adulto, intraprende le ricerche per ritrovare il fratello e durante uno dei suoi viaggi giunge ad Epidamno, città lussuriosa e decadente dove vive Menecmo I, che sta litigando con la moglie, mentre il parassita Spazzola si appresta come il solito a scroccare il pranzo presentandoci il padrone dica come un giovane ricco e brillante amante della buona tavola e delle donne. Menecmo I si reca insieme a Spazzola casa della cortigiana Erozia con cui ha una relazione ed alla quale vuole regalare un elegante mantello. Dopo averle raccomandato di preparare il pranzo per loro tre al cuoco Cilindro, si allontana con il suo amico. Ecco allora sopraggiungere Menecmo II e il servo Messerione ed il cuoco di ritorno dal mercato lo scambia per l'amante della padrona, che a sua volta lo scambia per l'amante. Da questo momento in poi la serie degli equivoci non ha più sosta con risultati veramente comici ed ha fine solo quando i due fratelli s'incontrano ponendo fine ad ogni imbarazzante scambio di persona.
L'attore napoletano Tato Russo ha, nel sua adattamento, trasportato l'azione da una città greca ad una Neapolis colorata e vivace, piena di servi e padroni, cortigiane ed ancelle, passati e femminielli in un vortice di avvenimenti dalla grande valenza comica graffiante e un po' gaglioffa. Tato Russo è molto abile ed efficace nel ricoprire il doppio ruolo dei due gemelli, impiegando con parsimonia il codice dialettale, esprimendo una comicità ammiccante e raffinata, vagamente surreale, quasi in chiave chapliniana con uno stile lontano da ogni tentazione naturalistica che conferisce al collaudato congegno della commedia un surplus di ironia, un ritmo vivacissimo, una forte capacità di divertire il pubblico.

La schiva dalla Casina di Plauto. Adattamento di Enrico Vaime (2 agosto).
Ancora un capolavoro è questa Casina che è l'ultima commedia scritta da Plauto. Essa prende nome da una schiva che non compare mai in scena anche se costituisce l'oggetto del desiderio per un quartetto di uomini che se la contendono con accanimento. L'anziano Lisidamo, stanco della moglie Cleustrata, vuole avere come concubina la giovane e bella schiava Casina ed ha intenzione di farla sposare al servo Olimpione che assume l'impegno di lasciarsi sostituire nel letto nuziale fin dalla prima notte. Anche il figlio di Lisidamo vuole per sè la bella schiava ed ha deciso di farla sposare al suo fedele servo Calino che poi dovrà consentirgli di sostituirlo nel letto nuziale. Il giovane ha anche l'aiuto della madre Cleustrata che ha scoperto il piano del marito e si lamenta con la sua amica Mirrina. Da parte sua Lisidamo offre la libertà a Calino, purchè rinunci a sposare Casina. Calino rifiuta la proposta e ugualmente fa Olimpione quando la padrona gli fa un'identica proposta. Si ricorre allora al sorteggio e la spunta Olimpione che potrà sposare la bella schiava. Lisidamo ottiene la promessa dallo sposo di godere il frutto del suo complotto e si fa dare dall'amico Alcesimo la casa per accogliere la giovane sposa. Ma Calino ha sentito tutto il piano e lo riferisce a Cleustrata che fa travestire Calino da sposa, inviandolo nel letto del marito al posto della schiava. Al momento dell'incontro la sposa si rivela un po' troppo robusta e riempie di randellate sia Olimpione che Lisidamo, che viene schernito dalla moglie che alla fine lo persona. Nel finale si scopre che Casina è di nobili natali per cui potrà sposare il figlio di Lisidamo e Cleustrata. Vaime nel suo adattamento, che punta sulla comicità senza tuttavia la sostanza e lo spirito del testo plautino, ha deciso di far apparire Casina in scena proprio perchè si vuole rafforzare l'idea di una donna vittima consapevole di una società che prende le decisioni al di sopra della sua testa, e per consolidare questa visione della donna, sarà la stessa attrice ad interpretare i due personaggi femminili.
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IL CALENDARIO

18-19-20 luglio 2002
PENTESILEA
di Heinrich von Kleist
ideazione e regia Peter Stein
attrice protagonista MADDALENA CRIPPA

24 luglio 2002
LETTURE SU MEDEA
dalla Medea di Euripide
adattamento e interpretazione di IAIA FORTE e TOMMASO RAGNO

28 luglio 2002
Rocca di Urbisaglia
ANTIGONE E LE ALTRE
di Guido Ceronetti

30 luglio 2002
I MENECMI. DUE GEMELLI NAPOLETANI
da Plauto
adattamento di Tato Russo
regia di Livio Galassi
interpreti Tato Russo. Rino Di Martino e Clelia Rondinella

2 agosto 2002
LA SCHIVA
da Plauto
adattamento di Enrico Vaime
interpreti Gianfranco D'Angelo e Brigitta Boccoli

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informazioni e prenotazioni: ProLoco Urbisaglia 0733/512651
www.urbisaglia.com
(Alberto Pellegrino)


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