Urbisaglia chiude con una straordinaria “Fedra”
di Alberto Pellegrino
6 Ago 2014 - Commenti teatro
URBISAGLIA (MC). La stagione dell’Anfiteatro Romano di Urbisaglia si chiude, dopo Medea, con un altro evento teatrale legato alla performance di una grande attrice come Galatea Ranzi che incarna una Fedra modernissima, disegnata da Eva Cantarella con un testo che s’ispira a Seneca e a D’Annunzio più che a Euripide. La regia di Consuelo Barillari fa due scelte precise: un contesto tecnologico basato su immagini e un gioco di astrazioni iconiche; una insistita fisicità della protagonista che parla prima con il proprio corpo poi con la voce per costruire un personaggio che parte dall’esterno per penetrare nelle profondità più riposte dell’animo umano. La Nuova Fedra, secondo la regia, è una donna “consapevole anche se tormentata, ribelle e determinata nella trasgressione, pronta a sfidare, nella ricerca della libertà, la condanna morale della famiglia e della società”. Questa Fedra, che indossa abiti eleganti come un’eroina cinematografica degli anni Sessanta, vuole rompere gli schemi della cultura classica, della tradizione della famiglia e della società, rifiutando la facile giustificazione della predestinazione divina (cara a Euripide) e della maledizione genetica a favore di una libera scelta personale. Il mito di Minosse e di Pasife, dell’innaturale accoppiamento con il toro che genera il mostruoso Minotauro, del tragico destino di Arianna vittima dell’infido Teseo è rievocato attraverso delle immagini molto suggestive che costituiscono l’antefatto di quanto sta per accadere sulla scena.
Tutto ha inizio con una sequenza di Phedra, il film noir di Jules Dassin (1961), nella quale la macchina di Ippolito si scontra con un camion, precipita lungo una scarpata e scompare in mare. Da questo tragico evento parte il racconto di Fedra come un lungo e inquietante flash back, nel corso del quale si aprono le porte della memoria e delle pulsioni più segrete e più inconfessabili. È la donna a parlare in prima persona di questo suo amore proibito per il figlio di Teseo, per questa passione che lei stessa dichiara a Ippolito (come avviene in Seneca e in D’Annunzio); è sempre lei a denunciare il giovane di fronte al padre, accusandolo di averle fatto violenza. Tutto avviene in modo diretto, senza la mediazione della complice nutrice, proprio perché Fedra rivendica il suo diritto di essere donna, il suo diritto di amare finalmente per una sua libera scelta e non per un disegno perseguito da un marito che gli è stato imposto dal destino o dalle circostanze.
Questa Fedra si propone di essere una sfida alla classicità, perché fa riferimento all’antropologia culturale e alla psicanalisi per rappresentare una donna moderna, responsabile delle proprie azioni, forte e determinata nel bene e nel male, capace di attrarre a sé l’ammirazione dello spettatore, pronto a schierarsi dalla sua parte piuttosto che dalla parte di un Ippolito paladino della morale corrente. È la sua persona che urla e si dibatte non perché ha orrore della passione che la divora, ma perché questa non è corrisposta da un partner che rifiuta la legge dell’amore e della giovinezza.
Alla fine di questo percorso fisico e interiore per Fedra non esiste catarsi, non esiste la giustificazione di peccati originali o il peso di colpe ataviche, ma solo la sua responsabilità di donna che si appella al tribunale interiore della propria coscienza, che non si autoassolve, ma che s’infligge la morte come “giusta” punizione del proprio operato. Fedra decide di lasciare il mondo usando un veleno dall’azione lenta, che le dà il tempo di scegliere come sacello una domestica e umile vasca da bagno a ricordare che lei è in fondo solo una donna alle prese con la propria vita come accade ogni giorno nel mondo.
Galatea Ranzi si conferma una delle grandi signore della scena italiana, un’attrice versatile che tuttavia dà il meglio di sé sulla scena di prosa, tanto da essere l’attrice “feticcio” di Luca Ronconi (memorabili prove sono state Strano interludio di O’Neil, L’uomo difficile di Hofmannsthal, Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus), un’interprete pluripremiata come dimostrano gli ultimi Premio Duse e Premio Ubu 2012. La Ranzi è anche eccellente attrice cinematografica che ha lavorato con registi importanti come i Fratelli Taviani, Placido, Virzì, Piccioni, fino alla sua incisiva partecipazione al film La grande bellezza di Paolo Sorrentino, Premio Oscar 2014.