“Un’invincibile estate”, l’ultimo libro di Fernando Romagnoli


di Maurizio Minnucci

23 Set 2017 - Libri

La fortuna di vivere
…Ma io sono fortunato,
ad avere due occhi
per amare,
due aquiloni per volare,
ad avere un cuore
per soffrire e cercare
e rimpiangere e ricordare,
a vivere adesso,
questo minuto d’oro incantato,
che sembra passare e non passa,
che sembra non passare ed è già passato…
goccia di miele rara, preziosa,
che già scolora di nostalgia,
che provo a sorseggiare adagio,
ed è già destino,
è già elegia.
(da Il tempo e i giorni)

Dopo aver letto Un’invincibile estate di Fernando Romagnoli, ho voluto rileggerlo in maniera più approfondita, con una matita in mano per sottolineare alcuni punti, perché credo che questa sia l’opera in cui lo scrittore ha dato il meglio di sé, in cui ha raggiunto l’apice della sua parabola letteraria. Ho avuto modo, negli anni, di seguire il suo percorso letterario e umano, e posso dire che in questa sua ultima fatica Fernando riesce a mettere a fuoco perfettamente il suo pensiero, e anche se lo fa con un saggio, tutto può essere ricondotto ad un filo che lega tutte le sue opere. Non a caso ho inserito nell’articolo anche quattro poesie, perché la scrittura di Fernando Romagnoli non deve essere chiusa in camere stagne, a generi letterari delimitati, ma deve essere fruita nella sua essenza, nella sua “permeabilità”.
Fernando ha sempre amato Albert Camus, fino ad arrivare alla stesura di questo saggio che è una sorta di autobiografia, non a caso la frase con cui mi ha dedicato il libro recita: a Maurizio, il mio breviario e “autobiografia” spirituale. Con sincera amicizia “secolare”. Fernando. Sì, autobiografia ideale, perché leggendo il libro si percepisce che i contenuti non sono altro che il pensiero dell’autore sulla vita, la sua personale prospettiva umana, dall’inizio fino all’Epilogo, a quell’ «esserci, qui, ora», a quel vivere oggi, il presente, che è una sorta di motivo centrale di tutti i suoi libri, insieme all’amore per la vita e per la poesia. E anche la dedica stampata in terza pagina parla chiaro: a se stesso. Ma ascoltiamo le parole dell’autore.

Ho compreso, infine,
che nel mezzo dell’inverno
vi era in me
un’invincibile estate.
Albert Camus

«La voce limpida, inconfondibile di Albert Camus, nella sua lucidità insonnemente desta, nel suo amore vibrante per la bellezza, nel suo bisogno caparbio di dire la verità, una voce che invita a tener dritta, sempre, la barra dell’umano e, come Sisifo (il personaggio mitologico che egli prende ad emblema della sua filosofia, per disegnare una metafora smagliante e commovente della condizione umana), a lottare senza arrendersi mai, cavalca sicura l’onda del tempo e risuona ancora, dopo il tramonto delle ideologie, fraterna e appassionata nel nostro mondo. Un mondo che vede ancora l’innocenza perseguitata, la bellezza insultata e il male attraversare le nostre vite.
Il tema della passione di vivere, dell’amore per la vita (che costituisce il motivo fondamentale, il filo rosso che lega le varie pagine e le varie sezioni di questo saggio), insieme all’altro, quello della presenza ossessionante della malattia e della morte, domina già nelle prime prove dello scrittore, nelle prose liriche de Il rovescio e il diritto. «C’è più vero amore in queste pagine sgraziate», scriverà, «che in tutte quelle che son venute poi».
I due temi, amore e disperazione, andranno sempre “a braccetto”, si richiameranno costantemente nella sua opera, come due polarità reciprocamente attraentesi: «Non c’è amore di vivere senza disperazione di vivere». Sono, quelle pagine, scritte a ventidue anni, la scaturigine segreta, la sorgente di luce a cui egli tornerà costantemente ad abbeverarsi. Anche in quelle più tristi e disperate, dove l’ombra minacciosa della morte si disegna più netta, più cupa, prorompe e “risplende”, appena velata da una nascente indifferenza, una tenerezza enorme e una enorme “passione”. Emerge il disordinato appetito di vivere, il desiderio ardente di godere fino in fondo la vita, nella sua pienezza, nella sua insidiata bellezza, di sostituire al cielo la terra, alla vuota eternità l’intensità dell’esperienza. Il suo istintivo rifiuto di accettare le “morte idee” lo porta a venerare e ad «amare soltanto ciò che deve morire», e a consentire alle sole verità “che la mano può toccare”. Verità “terrestri”, bagnate dall’oro del giorno. A celebrare, insomma, le sensuali Nozze col mondo, come ribadirà, liricamente, in un’altra contemporanea raccolta di brevi prose.
L’unica altra vita in cui è dato di credere, che è dato di sperare, è “una vita in cui possa ricordarmi di questa”, urlerà Meursault, il protagonista de Lo straniero, in faccia all’importuno e “untuoso” cappellano, entrato quasi a forza nella sua cella di condannato a morte, per “tentarlo” con la speranza. E già nel nome del personaggio, che unisce, “sposa”, mare e sole, avvertiamo, in trasparenza, tutto il sentire, nietzscheano, “terrestre”, dello scrittore.
Pensiero mediterraneo e solare, pensiero del Sud (un pensiero sempre emulsionato dall’arte, dalla poesia), nutritosi alla lezione del mondo greco, che brucia al calore della passione di vivere e al coraggio della non-speranza. Di contro al pensiero del Nord, tetro, cupo, notturno, teutonico, che ha partorito i mostri del totalitarismo del XX secolo e messo l’Europa a ferro e fuoco, ridotta a un “campo di schiavi”, a un “mondo d’ombre e di rovine”.
Camus è un artista che ha vissuto compiutamente le sue idee, in un’ansia profonda di onestà e coerenza, e questo ha forse anche un posto nella sua morte, nel tragico incidente automobilistico che gli costò la vita e su cui si addensano ancora cupe, sinistre ombre.
Un artista che ha scelto di essere (come affermò Sartre a proposito di Gide), “la propria verità”. Per “scolpire”, infine, “la propria statua” (usando, qui, un’espressione di Plotino, oggetto, tra l’altro, della sua tesi di laurea), ritrovare cioè la propria misura profonda, edificare il più autentico se stesso.
E custodirà sempre, nell’anima, per tutta la vita, come una bussola e un talismano, la memoria viscerale di una luce nativa, di una luce d’infanzia, della sua infanzia povera, a Belcourt, popoloso quartiere proletario di Algeri. Come testimoniano le pagine del manoscritto rinvenuto tra le lamiere contorte, che verrà pubblicato postumo, col titolo Il primo uomo. Una toccante autobiografia sul filo della memoria, un tuffo nel proprio passato, in un universo infantile che l’avvenire, come per una illuminazione retrospettiva, colorerà e alonerà di leggenda. Una luce che brilla segretamente (la stessa che rischiarava le pagine delle sue prose giovanili), come una dolce, lancinante nostalgia del passato, come il faro di un porto inviolabile e inespugnabile, a scaldare il cuore, a rischiarare anche la solitudine, la miseria, l’opacità e la negatività del mondo, l’umiliazione e la deprivazione dei senza voce, degli uomini senza parole per dire la dura realtà della propria condizione.
Una scrittura, quella di Camus, imparentata con la filosofia, una filosofia imparentata con l’arte. Come in Leopardi, che tanto amava. Un pensiero “poetante” che è, prima di tutto, e soprattutto, un pensare con il cuore, sulle orme di Pascal. A dar vita a una “poesia del mondo”, di contro all’analisi e alla riflessione sul mondo, propria del pensiero “sistematico”, della sua pretesa di “catalogare” la vita, comprimerla, martellarla dentro un Tutto conchiuso e circoscritto. La vita che, anarchica, insondabile, balena, trascolora, sfugge da ogni parte. Un’opera dove le idee si sposano alle immagini, a dar vita a una scrittura luminosa e vibrante, un inno alla bellezza e alla solarità, all’ardore e alla passione di vivere. Passione senza domani, che è invito ad aderire alla natura profonda del mondo, alla sua gioia pagana, a rivolgere un grande, incondizionato sì alla terra, sacra immanenza, a benedire la vita.
L’efflorescenza e la vitalità dell’universo sensibile, “la poesia del mondo” che si offre ai sensi voraci, spalancati, fluttuante, fragile, precaria, votata all’estinzione, inghiottita dal nulla che divora le cose, è il senso e il fondamento dell’esserci, dell’essere qui, ora, nell’al di qua, fedeli al mondo così com’è, fedeli alla vita, inscritta nella nietzscheana innocenza del divenire. La poesia è ebbrezza, passione di vivere, è puro sguardo incantato, è strappare la bellezza del mondo alla sua sorte caduca, alla sua programmata durata, ai giorni “contati”».

Contemplazione
Seduto su un muretto,
riparato
in una piega del mondo,
nel silenzio azzurro
di un pomeriggio d’autunno…
Limpido e terso ride il cielo,
sotto il suo smalto squillante
s’incurva docile la campagna.
Lontano, glauco, scintilla il mare.
Il vento sussurra tra i fili d’erba
e le ombre vellutate, stillanti degli ulivi.
L’aria risplende di un alito d’argento.
Le pietre hanno ancora addosso il calore del sole.

Un naufragio
in un tempo sospeso
e senza tempo,
nella pura presenza
al cospetto del mondo,
della sua segreta, primordiale indifferenza.
Nell’anima il vuoto,
nient’altro che i trasalimenti
del mio sguardo,
in questo adesso
che è il mio mattino,
il mio tempio e il mio destino.

Sono qui,
nel palpito lucente delle ore,
cullato dalla loro carezza
impalpabile e lieve,
stordito dalla bellezza
quieta
del mondo
che nella limpidezza dello sguardo
mi appare.
Qui, immerso nel presente,
simbolo e attimalità,
a contemplare
la mia fortuna,
a due dita appena dalla felicità,
mentre il cielo indora
e si fa sera,
ed è una muta, struggente preghiera.
(da Di sangue e d’oro)

Un’ invincibile estate è un libro che tuttavia non è soltanto un appassionato approfondimento dell’opera e della figura umana dell’autore de Lo straniero ma, nelle intenzioni di Fernando Romagnoli, qualcosa di più intimo e di più ambizioso. Il tentativo di definire e comunicare, attraverso lo scandaglio delle pagine camusiane, una propria weltanschauung, una propria personale visione del mondo. Un colpo d’occhio “riassuntivo”, riepilogativo, su la vita e la morte, sui temi eterni della bellezza, della giustizia, sull’autenticità, la sincerità, la devozione alla verità. E sulla fedeltà al mondo dei poveri, degli esclusi, degli emarginati, dei senza voce. Ma soprattutto, e fondamentalmente, un libro che, col suo andamento lirico da prosa poetica, batte continuamente l’accento sulla poesia del vivere Adesso, dell’Essere qui, ora, per riuscire ad «attingere, lungo la freccia del tempo, l’unico regno da conquistare, l’unica eternità possibile». Perché, come scrive il grande poeta francese René Char, a cui l’autore lascia nel suo saggio l’ultima parola, “se noi abitiamo un lampo/esso è il cuore dell’eterno“.

Qui, ora
Tutto è qui,
in questo raggio di sole,
in cui si consuma ogni dolcezza, ogni dolore,
nel vento leggero,
che ti scompiglia i capelli,
nelle labbra aperte
dei tuoi occhi belli…
…Qui, dove piove la luce della luna,
bianco velluto sulla nostra fortuna,
in questi guizzi d’argento vivo tra le mani,
in questo presente senza illusioni, senza ieri, senza domani.
Tutto è qui,
in questo invulnerabile, irreparabile momento,
scavato nell’onda bianca del mare,
strappato alla corsa cieca del tempo.
E’ qui la vita,
in questo battito d’attimo
infinitesimo,
eternità balenante
di strazio e incantesimo,
in questo istante ebbro di luce,
che ci sorprende ad esistere,
che a niente conduce.
(da Il tempo e i giorni)

Infine, una notazione. Per sottolineare quanto questo tema dell’essere qui, ora (come recita significativamente e “programmaticamente” l’epilogo del libro), quest’aspirazione a vivere intensamente, con “un’anima perennemente cosciente, il presente e la successione dei presenti” (per dirla con Camus) e, più in generale il tema del tempo, siano ricorrenti, centrali, “decisivi”, nella poetica di Fernando Romagnoli.
E mi corre qui, irresistibilmente, sotto la penna, una frase di Pavese: «Ogni autentico scrittore è splendidamente monotono», a voler proprio sottolineare, nel corso degli anni, lo scavo incessante, quasi ossessivo, pure se variamente modulato, dello stesso “filone”, degli stessi motivi fondamentali.

Essere qui
nello splendore caduco, abbagliante
dell’attimo
-compiutezza
senza pena, senza tormento-
è ebbrezza e senso e salvezza,
per noi, che viviamo sempre altrove.
Sospendersi
per ascoltare
la melodia del mondo,
il miracolo
aurorale
delle cose
che appaiono
e parlano al cuore.
Assisterle
e sorprenderle
respirare, gonfiarsi, prendere il volo
e vibrare
esistere
accadere
in uno iato di tempo
inutile,
qui, ora,
appesi a un filo di luce,
nel tempo pacato, dilatato,
carico di tempo,
nelle cesure dell’inespresso,
nel tacere del chiasso,
nel silenzio,
bellezza e soglia,
che prende corpo
nel corpo
e lieve,
quieto,
canta.
(da La bellezza quieta)

E allora, per dare conto di questa continuità, di questa particolarità di accento nella produzione di Fernando, quasi un filo rosso principale che regge la trama dei suoi libri, li lega e li “cuce” insieme, ho voluto riportare alcune liriche tratte dalle sue raccolte.
La prima è una poesia che apre la sua prima opera in versi (Il tempo e i giorni), in chiusura quella che chiude la sua ultima raccolta (La bellezza quieta), come a disegnare una parabola ideale, colma di corrispondenze e richiami segreti; e altre due, pescate qua e là, tra le tante, all’interno dei suoi libri. Quattro liriche (molte altre ce ne sarebbero) per esemplificare il “percorso di un’anima”, un percorso di scrittura imbevuto, impregnato costantemente degli stessi temi, dello stesso “sentire”, della stessa emozione.

Nota biografica:
Fernando Romagnoli risiede a Fermo. Laureato in Filosofia all’Università di Macerata, in Sociologia e Lettere all’Università di Urbino, si interessa di musica e letteratura. Collaboratore delle Edizioni De Agostini e bibliotecario, da molti anni è insegnante di Lettere. Si è dedicato alla scrittura poetica e critica, partecipando al dibattito culturale con interventi e saggi. Collabora con MusiCulturaonline (www.musiculturaonline.it).
Ha pubblicato, per la poesia, “Il tempo e i giorni” (Pescara, 1989), “Di sangue e d’oro” (Pescara, 2010), “La bellezza quieta” (Pescara, 2015). E i saggi “L’inarrivabile vita – Lettura di Pavese” (Bologna, 1991-Premio Bontempelli-Marinetti) e “Una luna in fondo al blu – Poesia e ironia nelle canzoni di Paolo Conte” (Foggia, 2008).
Maggiori informazioni http://m.illaboratoriodigrenouille.it/la-stanza-degli-ospiti

Tag: , , , ,