Un’“Adelaide” dietro i candelabri al ROF


di Andrea Zepponi

21 Ago 2023 - Commenti classica

Al Rossini Opera Festival la nuova produzione di Adelaide di Borgogna con la geniale, anche se non nuova, idea registica di Arnaud Bernard che rompe il diaframma tra “testo”, messa in scena e pubblico. Decisamente buona la parte musicale, su tutti il tenore René Barbera.

(Ph Amati Bacciardi)

Si capisce subito di non avere di fronte una scenografia normale: ai lati si scorgono gli ingressi per gli artisti del Rossini Opera Festival con tanto di insegna e logo, toilettes, guardaroba e camerino per trucco e costumi a sinistra, a destra postazioni per regista, scenografo e loro aiutanti, al centro un sipario metallico a saracinesca che fa appena intravedere quello che poteva essere l’accesso al palcoscenico del Teatro Rossini ingombro di macchine sceniche negli anni ’80-’90. I cantanti, i tecnici necessari per le prove della giornata, il coro, la dirigenza del teatro arrivano a poco a poco e gli interpreti vestono solo parte dei loro costumi di scena di tradizionale sontuosità. Comparse in abiti e calzature di quegli anni, persino le macchine distributrici di bevande calde e fredde danno l’idea precisa che si sta assistendo alle prove di un’Adelaide di Borgogna a poche settimane dal debutto di una nuova produzione al ROF. Questa idea dalla chiarezza ed efficacia sorprendenti permette ad Arnaud Bernard, regista della suddetta opera rossiniana andata in scena il 13 agosto alla Vitrifrigo Arena, ore 20, con la scenografia di Alessandro Camera,  i costumi di Maria Carla Ricotti e le luci complici di Fiammetta Baldiserri, di creare un nuovo rapporto tra il pubblico e lo spettacolo lirico, tra gli stessi interpreti e la scena aumentando i livelli narrativi: la trama dell’opera rossiniana è sullo sfondo, mentre in primo piano sono le tensioni personali della vita privata degli interpreti che avvengono dietro il sipario, lontano dai “candelabri” della ribalta e influenzano i lavori della messa in scena dell’opera; un terzo livello narrativo riguardava la costruzione tecnica dello spettacolo che prendeva corpo durante il suo svolgimento e si manifestava con la messa in sesto progressiva di apparati scenici tradizionali, quinte dipinte, addobbi e suppellettili ottocenteschi la cui bellezza suscitava una certa vaga nostalgia. Ma il fragile equilibrio tra vita personale e attività professionale mette a repentaglio la calma e il futuro stesso della produzione. Al di qua il pubblico assiste a una totale operazione di metateatro che finisce per risultare antiteatro dove l’azione scenica espressa dalla trama dell’opera non viene più concepita come realizzabile e non si crede più che sia soggetto teatrale. La geniale, anche se non nuova, potente idea registica muove dalla rimozione della “quarta parete” bucando il diaframma che separa il teatro dalla realtà, ma lascia al pubblico la libertà di farsi coinvolgere e la decisione di entrare nel gioco brechtiano di distanziamento: non manca, nel finale, l’offerta del grano d’incenso al mainstream in cui la prima donna, dopo aver rotto con il tenore (Adelberto), squallido fedifrago, accetta le profferte amorose, finalmente dichiarate di fronte a tutta la compagnia, del contralto che rivela le sue tendenze lesbiche. Quello che il pubblico crede sia il momento dell’unione tra Ottone e Adelaide, secondo la trama dell’opera, si converte in coming aut, una dichiarazione d’amore tra le due donne e il tenore – esempio di tossicità maschilista – rimane scornato. Solo allora, nella pienezza della scena finale, con la scenografia maestosamente innalzata e i protagonisti interamente investiti della loro dignità scenica, si comprende che l’azione appartiene ai nostri giorni perché alcuni fra i coristi filmano la scena con i loro iPod.

La regia parla, nelle sue note, di naïveté del libretto di Giovanni Schmidt, ma forse il vero problema dell’Adelaide (composta in fretta e furia per il Teatro Argentina di Roma nel 1817 mentre Rossini aveva in cantiere opere come Armida e poi Mosè) sta nella dicotomia tra il suo essere “azione eroica” e avere una musica dalla efficacia e dalla qualità controverse e da sempre dibattute in sede critica: definita mediocre già dai tempi di Giuseppe Radiciotti, oggi Luca Zoppelli ritiene che Rossini la compose attenendosi a quelli che gli sembravano gli orizzonti d’attesa standard di un pubblico italiano generico senza percorrere quelle soluzioni audaci e inaspettate  messe in atto quando scriveva per il vorace San Carlo di Napoli con una compagnia canora di collaudata eccellenza. Manca insomma quell’elemento flamboyant che dirompe a teatro. E non bastano a colmare questa latitanza, secondo il saggio di Gabriele Gravagna, la coerenza e costanza di posizioni estetiche rossiniane fondate su una visione ideale e distaccata della musica che rifiuta ogni inflessione realistica la quale sarebbe forse emersa se vi fossero prevalsi la sensiblerie medievalista romantica per un verso e, per un altro, gli intenti celebrativi della recente Restaurazione che vedevano nel ruolo di Berengario lo sconfitto Napoleone e in quello di Ottone il ritorno dei legittimi sovrani. Il critico, curatore dell’edizione dell’Adelaide della Fondazione Rossini, ricorre alla categoria di apollineo per caratterizzare, in questo lavoro del pesarese, la linea originaria della sua musica classicheggiante di ascendenza mozartiana, quando poi il successo delle opere rossiniane è dovuto in gran parte proprio a quel filone dionisiaco che, ahimè, latita sensibilmente nell’Adelaide. Ben venga allora una scenoregia compensativa della minore efficacia teatrale di un’opera che ha comunque un tono eroico di gran pregio e risolve la messa in scena con una straordinaria efficacia adeguata a questo tipo di soggetto.

Adeguati erano anche gli interpreti che, tenuti lontani da un atteggiamento paludato e retorico, hanno evidenziato lo scarto dei registri tra l’aulica scrittura rossiniana e la medietas della scena; ottima vocalità quella del tenore René Barbera in Adelberto dalla voce maturata che guadagna in ampiezza e ricchezza di armonici, con agevole ascesa alla zona acuta mantenendo agilità nei passi di coloratura.  Buon timbro di basso, quella di Riccardo Fassi, che ha speso bene la propria figura vocale e scenica nel ritagliato ruolo vilain di Berengario (ricorda l’Orbazzano del Tancredi) al quale è destinata un’aria di non grande risalto e peraltro non di Rossini. Adelaide era il soprano di coloratura Olga Peretyatko, conoscenza abituale del ROF, che ritorna dopo un periodo di assenza, la cui entità strettamente vocale non è entusiasmante, tuttavia, anche per lei la maturità e la notevole presenza scenica hanno prevalso in una parte dove la coloratura non è la cifra principale e il canto disteso e spiegato permette di far sentire un certo spessore espressivo. La deuteragonista, il mezzosoprano Varduhi Abrahamyan in Ottone, cui spetta addirittura l’aria finale dell’opera Vieni: tuo sposo e amante, si è confermata credibile interprete di ruoli en travesti con una omogeneità in tutti i registri, l’agilità sgranata e il fraseggio nitido anche se la pronuncia italiana non è ancora ben scolpita. Sempre all’altezza delle prime parti quelle di fila del ROF con il soprano Paola Leoci in Eunice con la sua aria interpretata ottimamente secondo una osservante linea belcantistica: Sì sì, mi svena e il tenore Valery Makarov come Iroldo ben stagliato nei momenti corali in cui compare il più delle volte. Il tenore Antonio Mandrillo completava adeguatamente un cast più che dignitoso per un’opera che non consente grandi exploit vocali.

La direzione di Francesco Lanzillotta dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ha onorato con eleganza stilistica il lato classicheggiante della musica valorizzando la ricca e accurata scrittura orchestrale rossiniana con particolare attenzione alla timbrica: un esempio per tutti quella dei corni tanto cari al Rossini strumentale e presaghi di romanticismo. La giustezza della tempistica ha contribuito a uno speciale equilibrio nei rapporti vicendevoli tra voci, orchestra e il Coro del Teatro Ventidio Basso diretto con altrettanto equilibrio di livelli sonori dal M° Giovanni Farina.

Va ascritta forse alla programmazione del ROF 2023 che ha puntato su opere poco note e fattualmente non tra le più felici di Rossini – il festival ha aperto con la prima ripresa italiana in tempi moderni e la prima esecuzione assoluta dell’edizione critica di Eduardo e Cristina, che contiene vari autoimprestiti dall’Adelaide – la calorosa ma non entusiastica risposta del pubblico che non gremiva la sala.

Questo non deve sorprendere né allarmare perché il ROF fin dalla sua nascita fa soprattutto cultura, non solo spettacolo.


Vitrifrigo Arena – 13, 16, 19 e 22 agosto, ore 20.00

Adelaide di Borgogna

  • Dramma per musica in due atti di Giovanni Federico Schmidt
  • Musica di Gioachino Rossini
  • a cura di Gabriele Gravagna e Alberto Zedda.
  • Direttore FRANCESCO LANZILLOTTA
  • Regia ARNAUD BERNARD
  • Scene ALESSANDRO CAMERA
  • Costumi MARIA CARLA RICOTTI
  • Luci FIAMMETTA BALDISERRI
  • Interpreti
  • Ottone VARDUHI ABRAHAMYAN
  • Adelaide OLGA PERETYATKO
  • Berengario RICCARDO FASSI
  • Adelberto RENÉ BARBERA
  • Eurice PAOLA LEOCI
  • Iroldo VALERY MAKAROV
  • Ernesto ANTONIO MANDRILLO
  • CORO DEL TEATRO VENTIDIO BASSO
  • Maestro del Coro GIOVANNI FARINA
  • ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI

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