Una “Turandot” elegante e metafisica al Verdi di Trieste


di Gianluca Macovez

17 Mag 2023 - Commenti classica

La Turandot di Giacomo Puccini in scena al Teatro Verdi di Trieste fino al 21 maggio. Successo di pubblico per uno spettacolo riuscito. Abbiamo assistito alla prima. Trionfatore della serata Amadi Lagha.

(Foto Teatro Verdi Trieste/VisualArt – Fabio Parenzan)

Trieste, 15 maggio 2023 – Grandi applausi salutano il ritorno di Turandot a Trieste.

Si tratta di uno spettacolo riuscito, per il quale Paolo Vitale riprende le strutture ideate quattro anni fa, le rende più agili, le arricchisce con delle proiezioni eleganti, le illumina in modo suggestivo, a dimostrazione di un’ottima capacità creativa, ma anche di una sicura conoscenza delle caratteristiche del palcoscenico triestino.

Altrettanto interessanti i costumi, ideati da Davide Coppola: neri per il popolo di Pechino, bianchi, con frammenti di porcellana, per la corte imperiale.

Una divisione solo apparentemente manichea, che ci sporta in una ambientazione metafisica, intensa e fortemente suggestiva, che la regia di Davide Garattini Raimondi, coadiuvato da Anna Aiello, ha esaltato, anche attraverso una serie di citazioni, dotte ma mai saccenti.

Il regista sceglie di rinunciare ad orientalismi e maniera, a favore di una lettura poetica, che si fa alle volte struggente, come quando Ping, Pong, Pang accartocciano, nella metafora della maschera muta, il loro futuro.

Ci sono momenti struggenti, come l’accartocciare delle maschere mute dei tre consiglieri, che scelgono di vestire quelle ufficiali di corte, consci che significa rinunciare alla propria vita, non solo all’identità personale.

Atmosfere magiche, fra colore e misticismo, popolano la notte della Città Proibita.

Il racconto della prigionia è affidato ai ritmi concitati ed imposti del passaggio di mano di scatole, citazione di una contemporaneità virtuale ma non virtuosa.

Non ci dilunghiamo oltre, ma l’elenco degli spunti e delle citazioni potrebbe essere lunghissimo, tanto lo spettacolo è ricco di idee, sviluppate con misura, competenza, attenzione e raffinato garbo da Davide Garattini Raimondi, che si conferma uno dei registi più interessanti della sua generazione.

Meno interessante la lettura musicale di Jordi Bernàcer, impostata su volumi sonori opulenti, che ha messo in difficoltà alcuni degli interpreti, ma sembra essere apprezzata dal pubblico che applaude con convinzione il maestro spagnolo, alla guida di una sicura orchestra del Verdi, affiancata dalla Civica Orchestra di Fiati ‘G.Verdi’-Città di Trieste.

Volumi altissimi quelli richiesti al coro, diretto da Paolo Longo, affiancato da I Piccoli Cantori della città di Triestediretti da Maria Cristina Semeraro.

Un taglio così non punta ad atmosfere intimiste od a letture raffinate, ma comporta un canto spiegato, perennemente forte, che non tutti hanno potuto reggere.

Nei ruoli minori di grande efficacia sia il sicuro principe di Persia di Massimo Marsi, che le efficaci ancelle delle brave Luisella Capoccia e Federica Guina, che ritroviamo con piacere in una parte solistica. Di grande impatto, sia vocale che scenicamente, il Mandarino di Italo Proferisce.

Non altrettanto convincenti né l’Altoum, di Gianluca Sorrentino, né l’affaticato Timur di Marco Spotti.

Apprezzatissime, vocalmente e scenicamente, le tre maschere: Pang era il tecnicamente solido Saverio Pugliese; Pong, il sempre elegante, nel canto e nella gestualità, Enrico Inviglia; Ping, Nicolò Ceriani, sempre generoso nel canto, attento nell’interpretazione, divertente nella recitazione.

Non brilla Ilona Revolskaya, Liù dalla voce insolitamente scura, suggestiva negli acuti ma disomogenea nei registri centrale e basso, spesso in sofferenza per i volumi orchestrali.

Ad onore di cronaca va detto che a fine spettacolo ha raccolto, comunque, copiosi applausi.

Amadi Lagha, tenore generoso, brilla per acuti, colore della voce, volumi possenti che gli hanno permesso di tenere costantemente testa all’orchestra.

Tutte le arie sono state cantate in modo efficace, fino ad una suggestiva ‘Nessun Dorma’, che ha scatenato una vera ovazione della platea, facendolo diventare il vero trionfatore della serata.

Kristina Kolar, Turandot, ha superato le difficoltà di cui è irto il ruolo con solidità di mezzi ed interessante capacità interpretativa. La sua principessa di ghiaccio è prigioniera di una sorta di corazza di porcellana, che la rende aliena dal mondo, vittima del passato, prosciugata nei sentimenti, almeno fino alla morte di Liù, quando l’armatura comincia a cadere a pezzi, ipotizzando una conclusione che non ci è dato di conoscere, perché il sipario si chiude all’ultima nota autografa di Puccini, anche se inspiegabilmente il programma di sala riporta la trama con la conclusione musicata da Alfano.

Alla fine, copiosi applausi per tutti ed ovazioni per Lagha, autentico trionfatore della serata.

TURANDOT

  • Musica di Giacomo Puccini
  • Dramma lirico in tre atti e cinque quadri su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
  • Edizioni Casa Ricordi, Milano
  • Maestro Concertatore e Direttore JORDI BERNÀCER
  • Regia DAVIDE GARATTINI RAIMONDI
  • Scene e disegno luci PAOLO VITALE
  • Costumi DANILO COPPOLA
  • Assistente alla regia e movimenti scenici ANNA AIELLO

Personaggi e interpreti

  • Turandot: KRISTINA KOLAR
  • Calaf: AMADI LAGHA
  • Liù: ILONA REVOLSKAYA
  • Timur: MARCO SPOTTI
  • Ping: NICOLO’ CERIANI
  • Pang: SAVERIO PUGLIESE
  • Pong: ENRICO IVIGLIA
  • L’imperatore Altoum: GIANLUCA SORRENTINO
  • Mandarino: ITALO PROFERISCE
  • Prima ancella: FEDERICA GUINA
  • Seconda ancella: LUISELLA CAPOCCIA
  • Il principe di Persia: MASSIMO MARSI
  • Con la partecipazione del coro I Piccoli Cantori della città di Trieste diretti dal M° CRISTINA SEMERARO e della CIVICA ORCHESTRA DI FIATI “G. VERDI” – CITTÀ DI TRIESTE
  • ALLESTIMENTO DELLA FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI DI TRIESTE
  • Maestro del Coro PAOLO LONGO
  • ORCHESTRA, CORO E TECNICI DELLA FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI DI TRIESTE
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One response

  1. Rossana Ciabattoni ha detto:

    Personalmente sono convinta che Turandot dovrebbe sempre finire con le ultime note scritte dal Maestro.

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