“Una storia unica come tante altre” il libro fotografico di Romano Folicaldi
di Alberto Pellegrino
6 Mar 2025 - Arti Visive, Libri
Romano Folicaldi racconta con le parole e le immagini la storia di una “mitica” Comacchio nel suo libro “Una storia unica come tante altre”, edito da Volta la carta.
Romano Folicaldi è uno dei più importanti fotografi italiani vissuto tra la Romagna e le Marche; è l’autore di numerosi lavori fotografici ed è stato insignito nel 2011 del Premio nazionale Friuli-Venezia Giulia Fotografia. Ha vissuto come collaboratore a fianco di Luigi Crocenzi (1923-1984), un autorevole studioso di fotografia e protagonista della grande stagione del Centro per la cultura nella fotografia di Fermo, la città che è stata negli anni Sessanta/Settanta un punto di riferimento internazionale per il Neorealismo, il rinnovamento del linguaggio fotografico e soprattutto la nascita del “racconto per immagini”, che ha visto la presenza attiva di grandi fotografi come Paul Strand, Cecil Beaton, Robert Doisneau, Piergiorgio Branzi, Carla Cerati, Mario De Biasi, Mario Giacomelli, Pepi Merisio, Nino Migliori, Ugo Mulas, Federico Scianna.
Folicaldi ha pubblicato il volume Una storia unica come tante altre (Volta la carta, Ferrara, 2024), nel quale ha messo insieme narrazione letteraria e racconto fotografico con immagini scattate negli anni Sessanta nel pieno di quella stagione fotografica vissuta nel segno del Neorealismo, attingendo dagli angoli più remoti della memoria un prezioso patrimonio di ricordi incentrati sulla città di Comacchio e le sue Valli cariche di storia e di antiche tradizioni. È nato così un importante contributo nel quale la “rimembranza” di sapore leopardiano si è fusa con la storia e l’antropologia e si è intrecciata con magistrali fotografie tutte segnate da un velo di poesia e di nostalgia.


La prima chiave di lettura è fornita dall’immagine di copertina con la prua di una barca protesta verso una sconfinata distesa marina a segnare lo stretto rapporto che ha sempre legato questa terra al mare, ma anche quella smania d’infinito che unisce passato e presente.
La seconda chiave di lettura è data dall’immagine di un’arida landa sabbiosa e desertica, segnata dagli pneumatici dei camion e dai cingoli dei mezzi meccanici di movimento terra che stanno a indicare come quel paesaggio stia decisamente e drammaticamente cambiando a causa dell’uomo che maschera questa operazione dietro l’innocuo termine di “bonifica”, mentre in realtà si tratta di un progetto che trasforma una comunità nata sull’acqua e un’economia basata prevalentemente sulla pesca in un’economia agricola.
Questa realtà è il segno della progressiva scomparsa di un’intera civiltà che è nata e si è sviluppata all’interno di un ecosistema formato da 13 isole urbanizzate e collegate fra loro da canali e da ponti di legno, poi diventati di pietra come il celebre “Treponti”, che ancora oggi rimane il simbolo della città di Comacchio.
Il racconto di Folicaldi costituisce la preziosa testimonianza di un mondo di cui rimangono poche tracce e testimonianze che sono ormai entrate a far parte di un percorso turistico. Siamo di fronte a un’opera dove le pagine scritte si alternano alle immagini per formare un “poema” fotografico in un continuo susseguirsi di volti, canali, paesaggi lagunari, strutture produttive e commerciali che uniscono il realismo della documentazione al sentimento umanissimo della nostalgia e dell’empatia.


Viene da ricordare quello straordinario racconto che è stato Un Paese di Cesare Zavattini e Paul Strand (1955), un capolavoro del neorealismo fotografico nato con l’immediato confronto tra uno scrittore e un fotografico con una realtà ancora presente e pulsante di vita, ripresa secondo un preciso progetto narrativo. Al contrario, il lavoro di Folicaldi nasce in modo quasi spontaneo e rappresenta una recherche du temps perdu (una ricerca del tempo perduto) per riportare alla mente un mondo quasi del tutto scomparso attraverso delle immagini velate dalla patina grigia del passato, ma nelle quali sembra possibile avvertire ancora l’odore dei canali e dei banchi di pesce; lo sciabordio di remi dei barchini, che sono stati il più antico mezzo di locomozione e di trasporto per una città nata sull’acqua e legata all’economia del mare; le immagini di una città più rude e popolare rispetto alla principesca e sfolgorante Venezia, ma resa affascinante da una elementare e armonica architettura, da una fitta rete di vie d’acqua, dall’ingenua eleganza dei pontili.
Folicaldi rievoca quei canali ancora solcati dai mitici “barchini” guidati dalle salde e abili mani del barcaioli; le antiche Comacine, le grandi barche capaci di navigare in alto mare, un tempo adibite al proficuo commercio del sale, mentre ora sono ridotte a relitti spiaggiati come scheletri di balene; le rive lungo i canali con i banchi del pesce frequentati da una vivace e variegata umanità; le piccole case affacciate lungo le rive; la “Pescheria” e le fabbriche per la lavorazione delle anguille dove, oltre agli uomini, sono impegnate molte lavoratrici dai volti forti e sorridenti.


Vi sono poi le sequenze dedicate alla caccia in una laguna malinconicamente avvolta nelle nebbie; con i barchini che scivolano silenziosi tra le isole ormai deserte, abitate solo dai “fantasmi” dei casali abbandonati; con le trattorie che servono anguille marinate e folaghe arrosto. Le ultime sequenze sono dedicate a un paesaggio in profonda trasformazione e a coloro che vi lavorano, secondo un progetto destinato a provocare una profonda mutazione antropologica ed economica, trasformando in agricoltori un popolo del mare. Infatti si sono ormai dissolti quei volti di pescatori e marinai, artigiani e massaie, lavoratrici e lavoratori di prodotti ittici che un tempo popolavano il grande Delta del fiume Po e dei suoi affluenti. Le fabbriche sono chiuse o sopravvivono a stento; le case del centro storico sono disabitate o abitate da turisti; i “barchini” sono diventati oggetti da museo; i canali sono ormai delle silenziose e deserte via d’acqua. Tutto questo mondo, fatto d’ingenua poesia e abitato da uomini e donne pieni di umanità, avrebbe rischiato di essere cancellato dalla memoria collettiva, se non fosse tornato a rivivere attraverso le immagini e le parole di Romano Folicaldi.