Un “Nabucco” controverso a Trieste


di Gianluca Macovez

9 Apr 2024 - Commenti classica

Una riflessione sullo spettacolo ‘Nabucco’ in scena al Teatro Verdi di Trieste. Successo di pubblico. Allestimento discutibile. Buona la parte musicale.

(Foto Fabio Parenzan – Fondazione Teatro Lirico G. Verdi di Trieste)

Trieste, teatro Verdi, 23 e 24 marzo 2024 – Il Teatro Verdi di Trieste sta presentando una Stagione Lirica e di Balletto che passerà agli annali per il coraggio degli allestimenti proposti.

Dopo una ‘Manon Lescaut’ visivamente sconclusionata; un ‘Flauto Magico’ colorato e suggestivo; ʽAnna Bolena’ nello storico allestimento di Vick; una ‘Ariadne auf Naxos’ più bella da ascoltare che da vedere, adesso è la volta di ‘Nabucco’.

Per questo titolo si è scelta una locandina di grande richiamo: la regia di Giancarlo Del Monaco, le scene ed i costumi di William Orlandi, la direzione di Daniel Oren, le voci di Burdenko, della Siri, di Ventre. Doveva essere un successo annunciato, sold out da settimane. Tanti applausi, ma, per chi scrive, anche una occasione persa. O meglio, che lascia lo spazio a grandi considerazioni.

Abbiamo lasciato passare una settimana dall’ultima delle rappresentazioni, perché c’era bisogno di calma per cercare di farsi una idea dello spettacolo. Era necessario lasciar appassire le chiacchiere ed individuare la sostanza. Ma abbiamo anche cercato di vedere com’era realmente lo spettacolo originale, quello del teatro Croato, in modo da avere un po’ più di cognizione di causa.

Iniziamo quindi con una premessa importante: un grande apprezzamento al Teatro Verdi che, visto lo spettacolo di Del Monaco a Zagabria, nel 2022, ha scelto la via coraggiosa del nuovo, cogliendo il senso profondo di un lavoro che parte dai moti del 1848 per raggiungere una dimensione metafisica, che non parla di eventi ma di persone, che lavora di citazioni raffinate, da Turner a Nivive, da Visconti a Pellico.

Partire dai fatti storici, persino dagli stereotipi, per arrivare ad una narrazione dei cuori. Per mettere i personaggi davanti alle loro azioni, senza maschere e senza giustificazioni. Una lettura tutt’altro che scontata, non immediata, che arriva piano piano, che invita alla riflessione e che va sedimentata, quasi conquistata.

Scegliere un lavoro di questa portata è una mossa forte, che abbraccia la via del rinnovamento, accettando il rischio di scontrarsi con lo zoccolo duro dei tradizionalisti, in nome della vitalità e dell’apertura al nuovo, unica condizione per la sopravvivenza dei teatri.

Di grande spessore, poi, la scelta di proporre lavori di respiro internazionale, che consente di non dissanguare le casse con troppi allestimenti nuovi, ma anche di cercare di riportare il teatro triestino nel novero dei grandi palcoscenici italiani, obiettivo che pareva perso di vista nelle ultime stagioni.

Accanto a queste considerazioni così positive, però si apre un baratro: cosa è successo al lavoro di Del Monaco? In rete si trova la registrazione dello spettacolo originale, quello nel teatro croato e, francamente, quello cha abbiamo visto a Trieste è altra cosa.

Completamente mancato l’obiettivo della divisione su piani differenti, che guidava lo spettatore dalla situazione contingente a quella interiore; la sublimazione del coro, che con il suo canto converte Nabucco, guadagnando anche narrativamente il ruolo di personaggio centrale a tutti gli effetti. Abigaille che in origine moriva sola, dirigendosi verso le fiamme, nella terza recita appare fra gli altri cantanti, si aggira fra le persone e muore in mezzo a loro. Addirittura, il bis del ‘Va Pensiero’, quasi imposto dal direttore che ha replicato ad ogni recita, viene cantato spostando i cantanti al proscenio. Potrebbe essere una azione metateatrale, se avesse un senso. Invece sembra solo uno sgarbo alla storia. Oltretutto un continuo sali e scendi dei sipari frammenta la vicenda che a Zagabria scorreva fluida.

Non parliamo poi di espressività: la gran parte degli interpreti era tiratissima, monolitica nell’espressione, con lo sguardo fisso sul direttore, che applaudiva vistosamente a fine delle arie, chiedeva applausi al pubblico se riteneva che quelli spontanei non fossero abbastanza, sembrava dirigere anche il parere della sala, oltre che le voci sul palcoscenico.

Va detto che lo stile istrionico di Oren è noto e che quella che ho descritto è solo una opinione personale. Visti i malori occorsi alla compagnia ed i cambi all’ultimo momento, vien da pensare che le voci di tensioni fossero più di uno di quei gossip che ammorbano la gran parte degli spettacoli.

Certamente le mie parole sono contraddette dal trionfo finale di uno spettacolo che il pubblico pare aver gradito. Ma che sicuramente avrebbe avuto un altro senso ed un altro spessore se anche noi in sala avessimo potuto vedere lo spettacolo che ci era stato promesso e non una performance ‘in itinere’, che cambiava a seconda di chi cantava la parte della protagonista e dalla quale il regista si è dissociato con classe, non presentandosi in palcoscenico.

Una considerazione: al di là dei successi mediatici e della popolarità, ricordiamoci che Giancarlo Del Monaco vanta una carriera di sessanta anni, è stato sovrintendente di cinque teatri, firmato regie entrate nella storia del teatro dell’opera. Esiste un pubblico che va a teatro per ascoltare alcune celebri pagine musicali, ma esistono anche degli appassionati che si sono sobbarcati spese e lunghe trasferte per assistere al ritorno, dopo un po’ di anni, del Maestro in patria. Non sono stati trattati come meritavano. Al di là di ogni altra plausibile spiegazione. Peraltro, non abbiamo idea di come credibilmente si possa giustificare quella che agli occhi dei più non può che apparire una violazione della tutela dei diritti d’autore.

Non raccoglieremo nessuna delle inverosimili storie che si sono sentite nel foyer del teatro: era un gran parlare di insulti gridati davanti ad una sala piena di bambini, di scontri fra agenti, di cantanti protestati all’ultimo minuto, di regie inventate nottetempo. Nell’opera è sempre un fiorire di leggende metropolitane, ma prima di lanciare accuse così, farebbero bene a ricordarsi che parliamo di un teatro di lunga e luminosa tradizione, con un Sovrintendente che ha dato prova di voler bene all’istituzione che dirige e dalla cui orchestra è partito per una carriera importante, che ha messo la faccia nella scelta di programmazioni coraggiose e che sicuramente non avrebbe mai avallato giochi che appannino l’immagine del suo teatro e della città.

Probabilmente in questo ‘Nabucco’ le personalità in campo erano fortissime e la sensazione è stata che più che lavorare insieme alla riuscita dell’allestimento, vi abbiano partecipato contemporaneamente. Che qualcuno non abbia saputo stare al suo posto e che, forse per smania di protagonismo, forse semplicemente per troppo trasporto, si sia fatto prendere la mano e non ci sia stato nessuno in grado di mediare efficacemente. Certo sono questioni che si sono svolte dietro le quinte, che non giudichiamo e che fondamentalmente non ci interessano. A noi sarebbe interessato vedere lo spettacolo che ci era stato promesso.

Chiarito che nulla possiamo dire sulla regia vista, se non invitare a guardare il video di Zagabria per capire cosa ci siamo persi e sottolineato che scene e costumi di Orlandi erano di grande effetto, anche se ovviamente molte delle soluzioni proposte erano prive di senso nell’edizione tergestina, passiamo agli aspetti musicali.

Il pubblico triestino conosce ed apprezza il maestro Oren, che anche in questa occasione riesce a far brillare l’Orchestra del teatro affiancata dalla Civica Orchestra di Fiati “G. Verdi” – Città di Trieste. Il direttore all’inizio non entusiasma la sala: tutto il primo atto raccoglie pochissimi applausi. Anche la Sinfonia iniziale, nella quale domina la componente ritmica, è accolta con un apprezzamento tangibile ma misurato. ‘Gli arredi festivi’ passa sotto silenzio, nonostante la buona prova del coro, diretto da Paolo Longo. Analoga sorte per l’aria di Zaccaria e per il bel terzetto. 

Le cose cambiano dal secondo atto, quando Oren sembra prendere la scena: canta, gesticola, salta, emette suoni indecifrabili, con un faretto che esalta il gesto elegante delle mani. Talento ed esagerazione sembrano duettare, come quando, alla fine di ‘Va Pensiero’, il Maestro si gira ripetutamente, avvicina la mano all’orecchio e di fatto chiede al pubblico un consenso che motivi il bis. Gag non proprio raffinatissima, reiterata nelle repliche, a dimostrare come ci fosse la volontà di eseguire il bis a tutti i costi, anche se il plauso spontaneo non era così oceanico. Oltretutto il coro, come dicevamo, nella reiterazione del brano veniva portato al proscenio, abbandonando la precedente posizione, che già era del tutto differente rispetto alle scelte originarie di Del Monaco, che lo aveva pensato in alto, sul terrazzo venutosi a creare sollevando uno dei muri.

Alla fine, il maestro applaude molto lungamente, educatamente seguito dalla sala, che smette solo quando le mani di Oren si acquietano. Sicuramente è l’entusiasmo per la prova portata a termine con valore, anche se è innegabile, soprattutto per chi ha colto qualche criticità probabilmente dovuta all’esiguità dell’organico, la sensazione sgradevole di un consenso guidato. Sfumature, si dirà. Certamente. Come va sottolineato che siamo davanti a sensazioni personali, che non hanno nessun valore assoluto. Gli applausi alla fine dimostrano come i dubbi che manifestiamo non dovrebbero aver ragione d’essere.

Le voci erano quasi tutte straniere. Come troppo spesso accade nei nostri teatri. Italiana la bravissima Fenena della seconda compagnia: Francesca Di Sauro, che ha messo in risalto colore interessante, volume stentoreo, buona musicalità. Cristian Saitta è stato un riuscito gran sacerdote di Belo: vocalmente appropriato, sicuro tecnicamente, offriva una lettura del personaggio fra le più credibili della serata. Christian Collia, era corretto e piacevole come Abdallo mentre Elisabetta Zizzo, era una Anna di lusso, per spessore vocale, volume ed eleganza della figura. La Fenena della prima compagnia era Elmina Hasan che ha assolto la parte con competenza e misura. Abigaille richiede un soprano drammatico con agilità; necessario possedere solidi do sovracuti, ma anche note gravi profonde; bisogna essere in grado di proporre trilli di forza; acrobatici salti d’ottava. Questo, poi, è uno di quei ruoli che richiede anche una grande interprete, perché altrimenti il personaggio canta, ma non coinvolge. Rimane sulla partitura, fatto questo quanto di più lontano dalla volontà di Verdi. Molto più della trasposizione al 1848. Se la titolare del secondo cast, Olga Maslova, brillava in entrambe le componenti e le poteva essere rimproverata solo una dizione che sarebbe opportuno fosse più curata, Maria Josè Siri esibiva uno strumento possente, più aspro e dal volume meno strabordante che in passato, ma una visione monolitica del ruolo, che disegnava una donna cattiva, severa, torva e brusca anche nei movimenti, che la morte ostinatamente in primo piano avvicina più ad Imelda Marcos che una figura biblica. Carlo Ventre ha cantato con una vocalità piena, con acuti solidi e spinti ed ha fatto di Ismaele una figura determinante, per certi versi incombente, prevaricante nelle scene d’insieme e tonante nei pezzi solistici. Marko Mimica deve ancora maturare l’autorevolezza vocale per il ruolo di Zaccaria, che comunque ha portato a termine con correttezza. Youngjun Park, Nabucco della seconda compagnia, ha voce educata, di volume non particolarmente possente.  Risulta più a suo agio nelle arie della seconda parte, dolenti e ricche di atmosfera, piuttosto che in quelle iniziali, che richiedono maggiore baldanza. Roman Burdenko tratteggia un intenso Nabucco, affronta con bravura le agilità, ostenta fiati possenti, acuti sicuri, un volume potente che sa governare con gusto e misura, ma soprattutto regala un personaggio autentico, credibile dal punto di vista interpretativo, nell’arroganza dell’invasore, nel dolore del padre preoccupato, nel pentimento e nella riacquisita lucidità. Il suo ‘Dio di Giuda’, coinvolge grazie al lavoro sulla parola, la capacità introspettiva unita ad una tecnica precisa ed ad una opulenza di sfumature ricchissima. Certamente il momento più alto della serata che, come detto, si è conclusa con un generale ed indistinto trionfo di pubblico.

A nessuna delle recite si è presentato al proscenio il Maestro Del Monaco. Ha visto ferire il suo lavoro, ma ha dimostrato la classe dell’artista, evitando polemiche, scontri, negando interviste e lasciando che la sala gustasse quello che di buono c’era da gustare e si facesse una sua idea. Quando si dice: una dimostrazione di stile.

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NABUCCO di Giuseppe Verdi

Dramma lirico in quattro parti di Temistocle Solera

  • Maestro Concertatore e Direttore DANIEL OREN
  • Regia GIANCARLO DEL MONACO
  • Scene e costumi WILLIAM ORLANDI
  • Light designer WOLFGANG VON ZOUBEK
  • Assistente alla regia MARTINA ZDILAR SERTIĆ
  • Assistente alle scene e costumi FRANCESCO BONATI
  • Maestro del Coro PAOLO LONGO

Personaggi e interpreti

  • Nabucco ROMAN BURDENKO (22, 24, 27, 30/III) /YOUNGJUN PARK (23, 29/III)
  • Abigaille MARIA JOSE’ SIRI (22, 24, 27, 30/III) / OLGA MASLOVA (23, 29/III)
  • Ismaele CARLO VENTRE
  • Zaccaria RAFAL SIWEK (22, 29/III) /MARKO MIMICA (23, 24, 27,30/III) 
  • Fenena ELMINA HASAN (22, 24, 27, 30/III) / FRANCESCA DI SAURO (23, 29/III)
  • Il gran sacerdote di Belo CRISTIAN SAITTA
  • Abdallo CHRISTIAN COLLIA
  • Anna ELISABETTA ZIZZO
  • Con la partecipazione della Civica Orchestra di Fiati “G. Verdi” – Città di Trieste
  • Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
  • Allestimento del HRVATSKO NARODNO KAZALIŠTE DI ZAGABRIA
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