Un grande Nabucco al Teatro dell'Opera di Roma


Alberto Pellegrino

21 Mar 2011 - Commenti classica

Roma. Un grande, grandissimo Nabucco ha debuttato il 12 marzo 2011 al Teatro dell'Opera di Roma nel quadro delle celebrazioni per il 150 dell'Unità d'Italia, sotto la direzione del M Riccardo Muti che si è confermato (qualora ce ne fosse bisogno) come il più grande interprete verdiano del momento. Muti è stato capace di imprimere all'orchestra ritmi possenti e veloci nei passaggi drammatici o guerreschi per poi passare con elegante armonia all'esecuzione dei brani melodici, ottenendo una straordinaria fusione di effetti, riuscendo a calibrare la presenta dei protagonisti e gli interventi del coro a sua volta tra i protagonisti assoluti di questa opera grandiosa e solenne del giovane Verdi. Dopo un tiepido successo e un insuccesso, il compositore nel 1842 scrive uno spartito che dà l'avvio alla sua clamorosa carriera che d'ora in poi sarà costellata solo di successi. All'affermazione dell'opera ha in parte contribuito anche il libretto di Temistocle Solera, che aveva già scritto per Verdi Oberto e successivamente I Lombardi, Giovanna d'Arco e Attila. Questo dramma lirico in quattro quadri, rifiutato da tutti i compositori di Casa Ricordi, costituisce quasi sicuramente il suo lavoro migliore, in quanto Solera, usando come modello la tragedia Nabuchodonosor di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu, ha saputo rappresentare (pur con qualche caduta di stile) il confronto tra gli oppressi e gli oppressori, la vicenda amorosa di Fenena e Ismaele, la dura lotta per il potere tra Nabucco e Abigaille. Verdi poi ci mette del suo fin dalla sinfonia basata su possenti temi di tipo corale per arrivare al celebre Va pensiero , che cattura quasi subito il favore del pubblico e colpisce l'immaginario collettivo fino a diventare uno degli inni più cantati del nostro Risorgimento. Il regista Jean-Paul Scarpitta ha puntato sulla drammaticità delle situazioni, muovendo e collocando sulla scena interpreti e masse, messi in risalto dai costumi tradizionali ma molto eleganti di Maurizio Millenotti. La sua scena minimalista, costituita da un fondale e da quinte scorrevoli che riflettono cieli azzurri e nubi tempestose, si è rivelata essenziale e funzionale proprio per il suo carattere atemporale e astorico, capace di proporsi come il contenitore di una vicenda dove gli Ebrei diventano la metafora di ogni popolo oppresso senza accentuazioni risorgimentali, ma con l'intenzione di presentare una storia collocabile nel passato, nel presente e nel futuro dell'umanità . Lo stesso disegno luci, studiato da Urs Schonebaum, è riuscito a delineare gli spazi e a creare le giuste atmosfere in modo assolutamente efficace.
Per quanto riguarda gli interpreti, Leo Nucci si è rivelato ancora una volta un grande baritono verdiano in un mixage di malvagità e tragica nobiltà (soprattutto nel momento della follia e nella romanza Dio di Giuda che segna la conversione di Nabucco); possente si può definire lo Zaccaria di Dmitry Beloselskij; efficaci le interpretazioni di Antonio Poli (Ismaele) e Anna Malavasi (Fenena). Infine il soprano Csilia Boross ha saputo calarsi in modo efficace nelle vesti di Abigaille, inflessibile nel perseguire la strada verso il potere, furiosa di fronte al suo impossibile amore per Ismaele, possente anche nella decisione finale di togliersi la vita di fronte al fallimento del suo sogno di gloria e di potenza.
(Alberto Pellegrino)


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