Torino:Sylvia Hamvasi su tutti nei “Carmina Burana”
Valter Carignano
31 Gen 2002 - Commenti classica
Carl Orff: Carmina Burana, cantata profana per soli, coro e orchestra (1937)
Auditorium Giovanni Agnelli
Torino, 24 e 25 gennaio 2002
Orchestra Nazionale della RAI, Coro del Teatro Regio di Torino e Coro di voci bianche del Conservatorio “G. Verdi” di Torino diretti da Bruno Casoni.
Zoltan Pesko, direttore.
“I Carmina Burana aprono la serie delle mie opere complete”, con queste parole Carl Orff definì in modo netto la posizione e l'importanza di questo lavoro all'interno della sua produzione. Dopo alcune composizioni che risentivano di influenze romantiche ed impressioniste, e sopratutto dopo un accurato studio delle tecniche monteverdiane e dell'opera pre-barocca, il compositore tedesco nato nel 1895 perviene con i “Carmina Burana” (rappresentati con enorme successo nel 1937 a Francoforte con la regia di Oskar Waelterlin) ad un lavoro artisticamente ben definito che racchiude in sè tutti gli elementi propri di quel teatro come luogo di magia, ritualità e simbolismo come lo si troverà in tutti i suoi lavori successivi, dai “Catulli Carmina” sino a “De temporum fine Comoedia” del 1979.
Le armonie post-romantiche, ricche di cromatismi e di modulazioni, vengono sostituite da chiare melodie diatoniche (tacciate di primitivismo dai suoi detrattori) che si rifanno idealmente ai modelli medievali e folklorici, siano essi danze, canzoni strofiche con variazioni o sequenze, cioè ripetizioni progressive di diverse successioni melodiche. Presenti anche reminiscenze di passi quasi melismatici (ad esempio il brano “Ego sum abbas cucaniensis” affidato al baritono) ed “ariosi” chiaramente operistici, affidati alla voce del soprano. Ma gli elementi predominanti sono sicuramente da un lato quello ritmico, estremamente vario nella sua strumentazione e caratterizzato da lunghi “ostinati” spesso in crescendo, come nel brano che apre e chiude la composizione, O Fortuna; e la scelta di sonorità “magiche” di sapore arcaico, ottenute con la frequente presenza di quarte e quinte parallele e con quelle ricerche timbriche che non erano inusuali nei primi trent'anni del Novecento e che hanno interessato anche compositori come Goffredo Petrassi o Igor Straviskji (per quest'ultimo in particolare ne Le noces).
I testi sono tratti dalla raccolta di brani medievali rinvenuta nell'abbazia di Benediktbeuren e pubblicati dal filologo Johann Andreas Schmeller nel 1847 con il titolo di “Carmina Burana”, dividendoli a seconda del testo e dell'argomento (sacri, dedicati al vino, al cibo ed alle feste, all'amore, al gioco, morali). Orff ne scelse alcuni, li ordinò secondo le proprie esigenze senza tener conto in alcun modo delle ricerche su quelle che erano state le melodie che li accompagnavano e componendo quindi le musiche in maniera originale; e li intitolò “cantiones profanae cantoribus et choris cantandae comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis” (canti profani per cantanti solisti e coro con accompagnamento di strumenti e di immagini magiche).
All'esecuzione torinese la grande sala del Lingotto era completamente esaurita, come avviene quasi sempre in occasione delle esecuzioni di questo lavoro che a Torino è particolarmente popolare e può rivaleggiare – a livello di afflusso di pubblico – solo con la IX Sinfonia di Beethoven. La direzione di Zoltan Pesko è stata ottima, lineare ed energica, attenta a cogliere le variazioni ritmiche e timbriche della partitura ed a rendere sia il senso di ineluttabilità meccanica proprio di alcuni brani sia la grazia quasi disimpegnata di altri. L'orchestra ha mostrato di saperlo seguire con proprietà , specie per quanto riguarda gli archi, i legni e le percussioni, mentre qualche piccolo difetto di intonazione può essere imputato agli ottoni, sebbene occorra precisare che la sezione è particolarmente impegnata in questa composizione e che i tempi di produzione previsti spesso non consentano una preparazione accurata come sarebbe auspicabile.
Per ciò che riguarda le voci soliste, sicuramente la migliore è stata il soprano Sylvia Hamvasi, voce ben impostata dal timbro rotondo e brillante, a suo agio nella parte; discreti il baritono Ivan Kusnier, sebbene in alcuni passaggi la parte richiedesse una voce maggiormente flessibile e dall'emissione più rilassata, ed il tenore Alezei Grigorev, che ha caratterizzato molto bene la sua aria (in falsetto, e non cercando di risolverla con la forza e la fibra come spesso accade) ma che è andato incontro ad una defaillance abbastanza vistosa proprio nel finale. In ogni caso, un cast di cantanti solisti sicuramente di livello più alto di quelli che in genere è dato di ascoltare nella stagione RAI.
Un discorso a sè merita la parte corale, in cui credo si debbano fare dei distinguo. Veramente buono il Coro di voci bianche del Conservatorio “G. Verdi” di Torino, ben preparato ed amalgamato, dalla pronuncia chiara e corretta anche nelle parti in tedesco. Il Coro del Teatro Regio, sicuramente più avvezzo ad un diverso repertorio, ha negli ultimi tempi migliorato il proprio livello grazie a nuove acquisizioni ed alla direzione di Bruno Casoni; tuttavia, sin dalle prime pagine si è potuta notare qualche intemperanza, qualche coda, qualche voce che spiccava dall'insieme. Specialmente nei “forti”, poi, l'amalgama delle voci non era quello che ci si poteva aspettare (specialmente negli uomini e nel registro acuto dei soprani) ed il coro nel suo complesso talvolta tardava a recepire i cambi di tempo impressi dal direttore. Tutte cose di poco conto, se si vuole, ma che hanno un po' guastato un esecuzione che avrebbe potuto essere buona specialmente per la direzione, lo ripetiamo, di Zoltan Pesko e che invece ha lasciato qualche dubbio qua e là .
(Valter Carignano)