“Tacete, ‘O maschi. Le Poetesse marchigiane del ‘300”: la riscoperta di una generazione perduta
di Alberto Pellegrino
2 Ott 2021 - Letteratura, Libri
Argolibri ha pubblicato recentemente un prezioso libretto, Tacete, ‘O maschi. Le Poetesse marchigiane del ‘300, a cura di Andrea Franzoni e Fabio Orecchini, con illustrazioni di Simone Pellegrini. Ce ne parla il nostro direttore.
È apparso recentemente nelle librerie un prezioso libretto intitolato Tacete, ‘O maschi. Le Poetesse marchigiane del ‘300 (Argolibri, Ancona, 2020) a cura di Andrea Franzoni e Fabio Orecchini, arricchito da belle illustrazioni di Simone Pellegrini. Il merito di questa riscoperta va attribuito ai due studiosi Mercedes Arriaga Flórez e Daniele Cerrato dell’Università di Siviglia e dell’Università Ateneum Gdansk (Polonia), che hanno pubblicato diversi studi sulle poetesse marchigiane dimenticate e definite una “generazione perduta”.
Hanno scritto un importante saggio introduttivo, nel quale ricordano che Andrea Gilio da Fabriano, uno degli eruditi più importanti del Rinascimento italiano, aveva pubblicato nel 1580 il trattato Topica poetica sulle diverse parti del discorso e sulle figure retoriche, dove nella parte finale del volume aveva incluso dieci componimenti di tre poetesse marchigiane del Trecento fino a quel momento sconosciute. Erano delle scrittrici vissute intorno al 1350 nell’area del fabrianese e, cosa assolutamente straordinaria, tutte in comunicazione fra loro a dimostrazione di come nel Medioevo esistesse già una forma di circolazione culturale non solo tra autori maschi ma anche tra donne letterate, le quali cercavano di conquistare uno spazio nella società di quel tempo.
In quel trattato erano riportati quattro sonetti di Ortensia di Guglielmo, una nobildonna di Fabriano che “ai tempi del Petrarca, e per la nobiltà dello stile fu degna di moltissima lode”. Altri quattro erano assegnati a Leonora della Genga, un’altra nobildonna di Fabriano anche lei una seguace del Petrarca. Infine, due sonetti erano stati scritti da Livia da Chiavello, vissuta tra 1380 e il 1410, una dama appartenente a una illustre famiglia marchigiana in quanto moglie di Chiavello Chiavelli, Capitano delle milizie di Filippo Maria Visconti Duca di Milano, divenuto successivamente Signore di Fabriano.
Questo elenco è stato completato da Giovanni Cinelli, il quale nel 1686 ha pubblicato un sonetto di Elisabetta Trebbiani da Ascoli, amica e ammiratrice di Livia da Chiavello. Nel 1730 Giovanni Mario Crescimbeni nella Storia della volgar poesia ha ricordato Giovanna d’Arcangelo di Fiore da Fabriano, una poetessa discepola di Livia da Chiavello. Sulla base di queste notizie e di informazioni più recenti è legittimo definire queste poetesse marchigiane come la prima generazione di scrittrici della letteratura italiana. Non solo perché esse vivono nello stesso territorio e nello stesso periodo storico, ma sono anche legate fra loro da affinità culturali, tematiche e affettive. Leonora della Genga ha dedicato due sonetti a Ortensia di Guglielmo; a sua volta Elisabetta Trebbiani si è rivolta a Lidia da Chiavello definendola “perita d’onne arte/La qual sì a l’orecchi, ed occhi piace/O se veggia in persona, o scriva in carte”. Sempre la Trebbiani si è rivolta all’amica di Fabriano per chiedere che la preziosa materia per scrivere prodotta dalle celebri cartiere di quella città (“La carta bianca di più tu l’accenna/Che del suo bel Paese ella ne mandi/Per scrivervi sue gesta inclite e sole”).
Da tutto questo viene fuori un quadro di donne letterate capaci di tessere le lodi delle loro amiche e maestre, di definirle degne di onori, di farne oggetto di ammirazione e venerazione. Le poetesse marchigiane non solo affermano il diritto delle donne di partecipare ai problemi delle relative comunità di appartenenza, ma rivendicano un riconoscimento che legittimi la loro appartenenza al mondo della letteratura, non come icone femminili create dalla scrittura maschile, ma come vere e proprie autrici che aspirano alla dignità e alla gloria letteraria al pari degli scrittori.
Naturalmente queste poetesse non sono viste in modo benevolo da una società che assegnava alle donne un ruolo specifico, relegandole all’interno della sfera privata da vivere con discrezione e riservatezza. Nonostante le difficoltà e le ostilità, queste autrici hanno sostenuto le stesse ragioni presenti nella scrittura femminile nel Trecento sia nella prosa religiosa, sia nella poesia lirica: soggetti femminili che sfidano le convenzioni e i pregiudizi per collocarsi allo stesso livello degli uomini.
Le poetesse marchigiane vengono così a costituire il tassello mancante utile per completare il quadro letterario del Medioevo, perché mettono in evidenza che la dissidenza femminile non è stata un fenomeno marginale nella nobiltà e nella borghesia, ma una realtà già dotata di una propria espressione letteraria in ambito religioso (si vedano Chiara d’Assisi, Caterina da Siena) e laico, basti pensare alle prime poetesse della letteratura italiana come Compiuta Donzella. Queste scrittrici marchigiane si pongono alla pari e si collegano alle poetesse della tradizione trobadorica provenzale presenti in Francia e in Spagna. Queste donne non solo sostengono l’affermazione del proprio io in amore e si oppongono alle imposizioni familiari in materia di matrimonio, ma rifiutano di essere emarginate e derise, di essere considerate “indecenti” e “poco femminili” e, nei casi più estremi, essere descritte come “donne mostro” o degli “errori della natura”. Al contrario, soprattutto Ortensia di Guglielmo e Livia da Chiavello, per la loro personalità, lo stile e i temi trattati, i modelli femminili idealizzati, possono essere avvicinate alla straordinaria generazione di poetesse del Rinascimento (Gaspara Stampa, Veronica Franco, Vittoria Colonna). Queste scrittrici rivendicano inoltre il loro diritto di partecipare alla vita politica e sociale e sono una diretta testimonianza di questo impegno alcune loro composizioni. Si veda il sonetto di Leonora della Genga, che rivendica parti diritti tra uomo e donna:
Tacete, o maschi, a dir, che la Natura A far il maschio solamente intenda, E per formar la femmina non prenda, Se non contra sua voglia alcuna cura. Qual’ invidia per tal, qual nube oscura Fa, che la mente vostra non comprenda, Com’ ella in farle ogni sua forza spenda, Onde la gloria lor la vostra oscura? Sanno le donne maneggiar le spade, Sanno regger gl’ Imperi, e sanno ancora Trovar il cammin dritto in Elicona. In ogni cosa il valor vostro cade, Uomini, appresso loro. Uomo non fora Mai per torne di man pregio, o corona.
Ortensia di Girolamo si rivolge direttamente al Papa per condannare la sua permanenza ad Avignone, rimanendo lontano da Roma senza ascoltare i lamenti del gregge dei fedeli che è stato abbandonato dal suo Pastore (“Ecco, Signor, la greggia tua d’intorno/Cinta di lupi a divorarla intenti;/Ecco tutti gli onor d’Italia spenti;/Poiché fa altrove il gran Pastor ritorno”). Lidia da Chiavello condanna con grande forza poetica le lotte intestine che insanguinano le vie delle città italiane:
Veggio di sangue uman tutte le strade D’Italia piene, il qual per tutto corre: E disdegnoso e reo Marte discorre Lance porgendo ognor, saette, e spade. Quindi convien, ch’in lungo esilio cade Fuggendo Astrea con le compagna, a porre L’albero, ond’al mal nulla soccorre, E l’onor prisco e l’ornamento cade. Ma se desio di vera gloria accende L’italico valor rivolga l’arme Contra colui, che ‘l Cristianesmo sface. Contro se stesso ognun più tosto s’arme; Perché quel Dio, ch’in su la Croce pende, Dio di guerra non è, ma Dio di pace.
Tre poetesse contemporanee, Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli, stabiliscono un dialogo tra epoche e scritture diverse, tra generi fra loro apparentemente lontani con il risultato di attualizzare e rafforzare il messaggio che arriva dal passato. A proposito di generi diversi, s’integrano perfettamente con queste composizioni poetiche le illustrazioni dell’artista Simone Pellegrini (Ancona, 1972) che insegna pittura nell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Egli ha ampliato il dialogo tra ambito poetico e ambito figurativo con delle immagini visionarie che mescolano l’umano, il vegetale, il biologico con la poesia, rimanendo perfettamente in linea con quel «Tema, e speranza entro al cor mio fan guerra» di Ortensia di Guglielmo e con le voci delle altre autrici.