Successo per “La forza del destino” a Salerno
di Marco Ranaldi
23 Apr 2016 - Commenti classica, Musica classica
Salerno. Quello che Giuseppe Verdi ha sempre cercato di dimostrare con il suo operato è l’anelito all’alto, all’immenso nei cieli, entità astratta ma terrena, una divinità in essere e in divenire, insomma un potente padre che perdona e che rimette i debiti. Gran parte della vita di Verdi è stata pervasa dal senso dell’impotenza, dal senso di non essere abbastanza forte di fronte alle prove della vita. Certo non ebbe vita facile e i continui successi, intervallati da alcuni tonfi, non gli dettero forse mai la vera entità della sua geniale maestria. Il carattere non propriamente espansivo, la profonda ricercatezza di giustizia e l’anelito all’alto fecero di Giuseppe Verdi un uomo dei suoi tempi, un romantico conturbato da tanta forza cristiana. Ed è in alcune sue opere che tutto ciò è fortemente presente, pressante addirittura. Quando Piave gli scrive il libretto per La forza del destino, Verdi veniva fuori dal periodo “popolare” ovvero dalle tre opere di incredibile successo quali furono La traviata, Il trovatore, Rigoletto. La sua forza gravitava verso la ricercatezza, il suo interesse volgeva verso la drammaticità della vita, forse perché colpito dagli eventi personali. Non si perse, trovò sempre forza di reagire. Il suo scrivere diventa altro, si avvicina alla complessità psicologica e ad una certa profondità dei personaggi. Scrive quindi La forza del destino per il Teatro di San Pietroburgo e da lì a poco scriverà una grandissima opera come il Simon Boaccanegra. Ma è nella Forza che Verdi sintetizza l’idea di infinito superiore, del grande perdono, del padre generoso. La narrazione dell’opera è forte, anche se è inframezzata da alcune scene di gruppo che non consento una certa fluidità allo scorrere dell’opera. L’allestimento voluto dal Teatro Verdi di Salerno mira proprio a recuperare l’originaria enfasi verdiana, quella degli anni di galera, quando componeva febbrilmente per rincorrere il suo personale estro creativo, la sua ricerca di un Dio supremo. Quindi l’allestimento del Verdi nato assieme al Teatro Sociale di Rovigo è stato molto ben fatto, fondamentalmente profondo. Un bel cast formato da Nicolas Testè, Anna Pirozzi, Simone Piazzolla, Rudy Park, Ekaterina Semenchuck, Simon Lim. Su tutti ha spiccato il soprano Anna Pirozzi intensissima Donna Leonora e Simon Lim un Padre Guardiano molto convincente. Non sempre il tenore Rudy Park ha saputo reggere il suo ruolo. Ottimo il coro così come la banda in scena con un assolo di tamburo basco a solo sostegno del coro. E questo è stato uno dei grandi effetti musicali del direttore Daniel Oren, mago del suono, della ricercatezza e del colore. A suo sostegno il coro diretto da Tiziana Carlini, il corpo di ballo diretto da Pina Testa, la regia di Pier Francesco Maestrini e le luci di Antonino De Rosa. L’Orchestra del massimo salernitano funziona molto bene. Ma su tutti Oren che rende La vergine degli Angeli un’aria perfetta, nel silenzio della preghiera, nella ricerca eterna di Dio.