Successo per il “Pensaci Giacomino!” interpretato da Leo Gullotta
di Alberto Pellegrino
8 Gen 2020 - Commenti teatro
Un efficace Leo Gullotta interpreta Pensaci Giacomino! di Luigi Pirandello a Matelica e Jesi.
Il 3 e 4 gennaio 2020 è andata in scena, rispettivamente nei Teatri Piermarini di Matelica e Pergolesi di Jesi, la commedia Pensaci, Giacomino! di Luigi Pirandello con la lettura drammaturgica e la regia di Fabio Grossi, uno spettacolo prodotto alla fine del 2018 dal Teatro Stabile di Catania e da Enfi Teatro, ripreso quest’anno dopo il successo di pubblico riscosso nella precedente stagione teatrale.
La commedia riprende la trama dell’omonima novella scritta da Luigi Pirandello nel 1910, trasposta in dialetto siciliano nel 1916 e successivamente tradotta in italiano nel 1917, riscuotendo un immediato consenso di pubblico, tanto da essere portata sullo schermo da un film del 1936, interpretato dal grande attore comico siciliano Angelo Musco.
Si tratta di un’opera segnata dai tipici “topoi” del teatro pirandelliano: diffidenza verso lo Stato incapace di risolvere i problemi dell’individuo, i paradossi esistenziali derivanti dalla solitudine, dalla crisi d’identità, dalla difficoltà di comunicare di fronte ai pregiudizi e agli stereotipi di una società bigotta, la quale preferisce condannare piuttosto che comprendere ed aiutare. Il tutto è accompagnato da quel sottofondo di amara ironia che caratterizza il cosiddetto umorismo pirandelliano, che ha spesso sfocia in quella sottile crudeltà che troviamo nei protagonisti del Berretto a sonagli, del Piacere dell’onestà, del Gioco delle parti, dell’Enrico IV. Siamo di fronte a un testo classico che fa ancora sorridere con amarezza dei nostri difetti a distanza di oltre un secolo.
Il professor Toti, scapolo e avanti con gli anni, insegna nel Ginnasio di un piccolo paese con scarsa presa e autorità verso gli studenti tanto da essere ripreso dal preside Cavalier Diana per non sapere mantenere la disciplina in classe. Amareggiato nei confronti della società e dello Stato che ha sottopagato, decide di prendere in moglie la giovane Lillina, figlia dei Cinquemani una coppia di bidelli della sua scuola per assicurargli una dignitosa pensione anche dopo la sua morte. C’è solo un problema: Lillina è incinta per opera di Giacomino, un giovane disoccupato che è stato un allievo del professore. Toti non si scompone dinanzi a questa situazione ed è disposto dare alla ragazza il ruolo giuridico di moglie, accogliendola in casa, dove Giacomino potrà avere libero accesso per continuare ad adempiere ai suoi doveri matrimoniali. Dopo una burrascosa discussione, che coinvolge tutta la famiglia, il professore riesce a imporre questo suo progetto di ménage à trois, perché gli scopi che si prefigge sono più importanti della stupidità della gente, sempre pronta a malignare per quelli che ritiene comportamenti al di fuori della morale corrente.
Nasce Ninì e nella casa della nuova famiglia la vita si svolge con serenità fino a quando intervengono alcune persone scandalizzate dalla vicenda e preoccupate dalle lamentele della popolazione: il primo è il preside della scuola che invita il professore ad accelerare i tempi del pensionamento; poi arrivano i genitori della ragazza a condannare i comportamenti della figlia e del finto marito; infine si presenta Padre Landolina, un sacerdote inviato Rosaria, la sorella maggiore di Giacomino, come portavoce del giudizio di condanna morale della gente di fronte a questa grottesca situazione familiare. Toti non si scompone anche perché ha ricevuto una cospicua eredità dopo la morte di un lontano parente che gli assicura la tranquillità economica.
A casa di Rosaria, Padre Landolina annunzia che Toti è disposto a firmare una carta dove smentisce tutte le dicerie che circolano in paese. All’arrivo del professore lo stesso Giacomino dichiara di essere stanco di questa situazione comicamente patetica, dichiara di avere una nuova fidanzata e di essere pronto ad abbandonare il figlio e la sua compagna. Alla fine Toti, dopo aver minacciato di rivelare tutta la storia alla nuova fidanzata, mette Giacomino di fronte alle proprie responsabilità e gli lascia in consegna il figlio, perché ormai è troppo tardi per tirarsi indietro. Quindi il professore attacca Padre Landolina, dicendogli «Vade retro! Distruttore delle famiglie! Vade retro!» e quando il sacerdote tenta di ribattere, iniziando a dire “Io credo…”, Toti gli urla contro «Che crede? Lei neanche a Cristo crede!».
Tipico personaggio pirandelliano, il professor Toti è stato interpretato con sorniona ironia da Sergio Tofano, con distaccata eleganza da Ernesto Calindri, con intensa drammaticità da Salvo Randone, con intrigante e sulfurea ironia da Turi Ferro. Leo Gullotta, dall’alto della sua esperienza di consumato attore, ha scelto la chiave interpretativa di un’umanità “anarchica” e nello stesso tempo “angelica”, portatore di una bonaria ma inflessibile razionalità che sfocia nella disobbedienza civile con la quale sfida il perbenismo di un’ipocrita cittadina di provincia. Toti è un’anima candida che non rinuncia al sarcastico “sentimento del contrario” e al gioco pirandelliano delle maschere: “Ridano, ridano pure di lui tutti i maligni! Che risate facili! che risate sciocche! Perché non capiscono… Perché non si mettono al suo posto… Avvertono soltanto il comico, anzi il grottesco, della sua situazione, senza saper penetrare nel suo sentimento! Non si metta codesta maschera davanti a tutto il paese! La vostra è una maschera!”.
Sulla scena i volti enormi e colorati, che si muovono da un punto all’altro del palcoscenico per segnare i tempi della rappresentazione, sono stati creati dalla scenografa Angela Gallara Goracci, rifacendosi ai violenti cromatismi e alle grottesche deformazioni dell’Espressionismo tedesco, per rievocare le “maschere” pirandelliane, ma anche per ricordare al pubblico che essi sono lo specchio in cui tutti possono riconoscersi. Il regista ha “prosciugato” i tre atti del testo in soli novanta minuti, riducendo all’essenziale la dialettica pirandelliana per dare maggiore rilievo alla vicenda e ai personaggi. Ha spostato la vicenda negli anni Cinquanta, quando le trasformazioni sociali non hanno ancora mutato le condizioni di vita della donna e della famiglia ed ha affidato il commento di tutta la storia alle incisive musiche di Germano Mazzocchetti, alle canzoni composte sui versi dello stesso Pirandello e cantate da Claudia Portale. Efficace l’interpretazione di Valerio Santi e Rita Abela nei panni della coppia Cinquemani, di Valentina Gristina nei panni della burbera Rosaria, di Gaia Lo Vecchio nelle comiche caratterizzazioni delle serve Rosa e Filomena. Rilevante risulta lo spessore conferito da Sergio Mascherpa alla untuosa, intrigante e beffarda figura di Padre Landolina, rappresentante della morale della Chiesa e dell’intera società.