Successo della “Norma” allo Sferisterio di Macerata
di Roberta Rocchetti
5 Ago 2024 - Commenti classica
Successo della “Norma” di Vincenzo Bellini al Macerata Opera Festival 2024. Di grande livello e professionalità il comparto musicale. Molti applausi per tutti. La marchigiana Torbidoni sugli scudi.
(Foto Luna Simoncini)
È Norma, la sacerdotessa, una delle protagoniste del 60º Macerata Opera Festival.
Una delle figure più carismatiche ed emblematiche per quello che riguarda i soggetti d’opera, una figura sfaccettata e profonda che ha dentro di sé tutto il bene e il male della natura umana, colei che la vita la dà e la toglie, Dea Madre e Parca, morte e vita.
Sono molte le riflessioni che nascono seguendo le vicende di questa donna che non riesce ad emanciparsi dalla propria spuria umanità, così come non riesce Adalgisa che dovrebbe seguirne le orme, paradossalmente forse quello che subisce suo malgrado una “promozione” spirituale è proprio l’unico che non la cerca, quel Pollione che per tutta la vicenda si fa guidare da una sola entità, Eros, per poi in chiusura trovare una chiave per mondarsi dalla vigliaccheria che l’ha contraddistinto in precedenza. Chiave piuttosto cruenta.
Composta da un giovane Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani pochissimi anni prima della morte ha al suo interno una delle preghiere universali più note di tutte i tempi, quel Casta Diva che è un inno al cosmo e alla natura da cui tutti dipendiamo, modernissima nella musica tanto che è ancora molto utilizzata per esempio in campo pubblicitario, ma anche nel testo, anticipando nel lontano 1831 quella rivalutazione dei fenomeni e meccanismi naturali che sono gli unici capricci divini a cui siamo realmente soggetti e che ci influenzano.
La Norma di Macerata 2024 si apre infatti con la scenografia che presenta una gigantesca, luminosa luna a parete (luci di Peter Van Praet, video di Lois Patino), che si tingerà di bianco virginale o di rosso sangue durante lo svolgersi della narrazione e che poggia su una scenografia di Daria de Seta in collaborazione con Carles Berga (Bonet Arquitectes) composta da quattro scale di metallo, secondo le note di regia ispirate alla scalinata che sovrasta la casa di Curzio Malaparte a Capri.
La regista Maria Mauti alla sua prima regia d’opera dice di aver voluto lasciare molto all’immaginazione dello spettatore sia dal punto di vista visivo che interpretativo e di non aver voluto sovraccaricare la prossemica con improbabili pantomime, dobbiamo però dire che tra la pantomima e la fissità del gesto c’è la recitazione che, se si vuole evitare l’enfasi teatrale, può essere anche naturale facendo tesoro degli ultimi 100 anni di evoluzione cinematografica, cosa che è purtroppo mancata in questa messa in scena rendendola un po’ orfana di eros e thanatos.
Dobbiamo riconoscere però alla regia che il poco dinamismo interpretativo quasi alle soglie della forma semi scenica ha avuto il pregio di aver sempre tenuto cantanti e coro a favore di pubblico senza mai penalizzare le voci con evoluzioni sacrificanti.
I costumi di Nicoletta Ceccolini senza spazio e senza tempo fanno riferimento a qualcosa che si trova tra il post-atomico, lo storico e la fantascienza. Siderali e archeologici, in una parola universali.
Per quello che riguarda il comparto vocale il nostro apprezzamento pieno va a ad un cast di grande livello e professionalità, partendo dalla Norma di Marta Torbidoni soprano marchigiano con carriera proiettata verso la luna grazie ad una voce naturalmente piena e potente affinata da anni di studi con Mariella Devia che hanno lasciato il segno nella capacità di Torbidoni di passare dalle sospensioni auliche alle note drammatiche e funeree che questo caposaldo del Belcanto richiede, le agilità elegantissime, mai gridate, i centri corposi e il fraseggio dominato con naturalezza fanno di questo soprano una promessa ampiamente mantenuta.
Ottima anche l’Adalgisa di Roberta Mantegna, il giovane soprano palermitano ha dato prova di grande padronanza scenica e vocale delineando un’Adalgisa degna coprotagonista di cotanta Norma, rendendo le due figure due piatti di una bilancia precisa.
Il Pollione di Antonio Poli ha lo squillo e la virilità che occorrono per questo ruolo, la voce è trasparente e corre tra le colonne dello Sferisterio, il cammino che Poli ha intrapreso da qualche tempo anche verso ruoli più corposi vocalmente sembra essere dopo tutto abbastanza privo di ostacoli.
Buoni anche l’Oroveso di Riccardo Fassi e l’adamantino Flavio di Paolo Antognetti.
Chiudiamo con la Clotilde di lusso di Carlotta Vichi.
Fabrizio Maria Carminati ha optato per una versione integrale dello spartito attenendosi ad agogiche e dinamiche che hanno beneficiato della grande familiarità del direttore con il compositore, della sua capacità di maneggiarlo con discrezione senza farsi male, senza istrionismi interpretativi, grande respiro e insufflate spirituali nel Casta Diva, quasi delle folate di vento tra le sacre, antiche piante e giusta potenza, ritmo serrato e solennità nei cori bellicosi dei Galli.
Bellini dice, Carminati, giustamente, fà.
L’Orchestra Filarmonica Marchigiana e la Banda Salvadei sono stati il braccio brillante di questa volontà.
Splendido come sempre il Coro Lirico Marchigiano che porta proprio il nome di Bellini, quest’anno sembra, se possibile, addirittura più preciso e coeso del solito guidato da Martino Faggiani.
Successo per tutti alla chiusura dell’immaginario sipario dello Sferisterio, particolarmente per il comparto musicale, ovviamente Torbidoni sugli scudi.
Il commento si riferisce alla recita di domenica 4 agosto.