Successo del “Don Giovanni” al Regio di Parma
di Roberta Rocchetti
23 Gen 2023 - Commenti classica
Torna, dopo 29 anni, al Teatro Regio di Parma, il Don Giovanni di Mozart, per la empatica regia di Mario Martone ripresa da Raffaele di Florio. Sul piano vocale il livello è decisamente di qualità così come la parte musicale, diretta da Corrado Rovaris.
(Foto di Roberto Ricci)
Basta la prima manciata di note dell’ouverture del Don Giovanni di Mozart per capire che per circa tre ore si verrà trasportati in una dimensione che annulla le distanze e capovolge le posizioni in cui si collocano paradiso e inferno, morte e vita, vigliaccheria e coraggio, allegria e paura, razionale e trascendente.
Il Don Giovanni è un’opera che essenzialmente insegna a non essere certi di nulla, all’inutilità insita nella pretesa di avere una qualche sicurezza rispetto a ciò che si ha di fronte, perché nulla è come appare e anche se lo è qualunque cosa può rivelare di sé una sfaccettatura inedita e inaspettata destinata a cambiare la nostra percezione.
L’unica sicurezza che possiamo avere è di essere circondati da misteri perlopiù insondabili, celati nella natura umana e in ciò che ne determina la miracolosa esistenza.
Mozart ci dice tutto questo attraverso la musica mentre Lorenzo Da Ponte ci racconta la storia del seduttore irriducibile e determinato fino alle estreme conseguenze a non cambiare la propria indole.
Al Teatro Regio di Parma il burlador torna dopo 29 anni e lo fa con la nota regia di Mario Martone ripresa da Raffaele di Florio. Una regia che non lascia mai cadere la tensione e usa tutto il teatro e non solo il palco per potersi esprimere, dalla platea ai palchi fino ad una sorta di semi passerella da avanspettacolo che corre di fronte alla buca orchestrale e consente una estrema vicinanza tra interpreti e pubblico, quasi ad aumentare l’empatia, a far recepire i sentimenti espressi come reali e tangibili, il leggero squilibrio sonoro che ne deriva è ampiamente compensato dalla resa scenica e nell’opera si sa, ogni disciplina artistica lavora in sinergia con le altre e non conviene mai disgiungerle.
Sergio Tramonti al quale sono affidate sia scene che costumi opta per personaggi abbigliati come coevi del compositore in una scenografia atemporale composta di una gradinata destinata ad ospitare ora le donne del protagonista, ora i contadini del villaggio, ora gli inquietanti abitanti del cimitero ove dovrebbe riposare, ma non riposa, il Commendatore.
Il dramma giocoso svela subito la sua nota straniante greve di presagi, già da quando le donne citate da Leporello a Donna Elvira nella celeberrima aria del catalogo prendono corpo e forma ma non volto, prima velate e poi mascherate sono indistinte, inquietanti ed irreali, come velata è anche la cameriera a cui Don Giovanni eleva la sua serenata, senza volto, munita di una lanterna, più fuoco fatuo che donna, i segnali non sono incoraggianti per il povero donnaiolo.
Sul piano vocale il livello è decisamente di qualità, partendo dal protagonista interpretato da Vito Priante, dotato di una vocalità dal timbro non troppo ambrato ma pieno, agile nei passaggi e supportato da un fraseggio elegante e preciso, l’unica annotazione vorremo porla sull’interpretazione del personaggio che è parso più un violento e prepotente molestatore che non un luciferino e persuasivo seduttore, forse qualche raffinatezza registica in più avrebbe potuto centrare questo bersaglio.
La Donna Anna di Mariangela Sicilia è apparsa ottima, capace di attacchi soavi e senza difficoltà nelle agilità di cui la parte non è certo avara. Molto ci ha colpito il Don Ottavio di Marco Ciaponi, giocando con le dinamiche e con le agogiche ha dato spessore ad ogni singola parola, ad ogni sentimento, ad ogni frase, cesellando ogni passaggio senza lasciare nulla alla routine, trasformando le due arie del suo personaggio in incantesimi quasi ipnotici a cui il pubblico ha risposto con entusiasmo.
La Donna Elvira di Carmela Remigio vocalmente eccellente agile e potente è apparsa sul piano recitativo forse più arrabbiata e desiderosa di rivincita che dolente, e sembra questo non rassegnarsi ad aver perso che la fa cadere ogni volta nelle trappole che le tende Don Giovanni, ogni volta spera di portarsi a casa la rivincita, una ludopatica dei sentimenti.
Leporello interpretato da Riccardo Fassi ha svelato, al di là della vocalità ineccepibile, un ottimo attore, moderno, divertente, spigliato, dai tempi scenici perfetti. Il Masetto di Fabio Previati al pari di un cast vocalmente davvero di qualità così come la Zerlina di Enkeleda Kamani, che ha rivestito il suo personaggio di una maliziosa, a tratti sfrontata e al contempo candida sensualità.
La direzione di Corrado Rovaris ha avuto un andamento brillante, a volte forse anche troppo, sicuramente è stata evidenziata la modernità e la dinamicità della partitura mozartiana a volte forse a discapito del trascendente di cui l’opera gronda. C’è da dire in ogni caso che in tanti anni di frequentazione teatrale e tanti Don Giovanni visti dal vivo e non pochissimi sono stati quelli che, secondo il nostro modestissimo parere, hanno saputo rendere scenicamente tanto quanto è capace di farlo la musica la solenne, drammatica, misteriosa e profonda simbologia del finale e per quanto vocalmente valido il Commendatore di Giacomo Prestia non è stato agevolato dalla regia che lo ha confinato a fondo scena in cima alla gradinata, a sviluppare tutto il potenziale della propria maestria vocale ed interpretativa, anche se all’apparizione finale dell’uom di sasso un brivido lungo la schiena è corso e l’eleganza estrema dell’interprete è arrivata tutta.
Personalmente abbiamo apprezzato le variazioni che Corrado Rovaris ha disseminato nelle arie dei protagonisti, non nuocciono a Mozart e creano un “effetto sorpresa” stimolante e che tiene accesa l’attenzione, nessuno ne contesta la perfezione o mette mano alle partiture originali, si tratta soltanto di sangue vivo che scorre nelle vene dell’opera.
Successo pieno in un teatro gremito di un pubblico notoriamente esigente, dove l’approvazione è tutt’altro che scontata o concessa per cortesia. La recensione fa riferimento alla recita di sabato 21 gennaio.
Le variazioni per fare più bello e meno noioso Mozart?
Come ho scritto nel pezzo non credo che Mozart abbia bisogno di miglioramenti, forse è l’unico a non averne nessun bisogno. Ma nel teatro dal vivo e in una forma artistica multidisciplinare come l’opera diverte vedere e ascoltare quello che chi la “maneggia” in quel momento pensa di poter appunto “variare” per mantenerla una forma espressiva in divenire. Nessuno andrà a mettere mano agli spartiti. Poi comprendo che non a tutti possano piacere, a me sono piaciute.