Successo dei “Carmina Burana” allo Sferisterio di Macerata
di Francesca e Alberto Pellegrino
12 Ago 2024 - Commenti classica
Grande successo di pubblico per i “Carmina Burana” allo Sferisterio di Macerata. Ottima esecuzione e bellissima scenografia per immagini realizzata dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Macerata.
(Foto di Luna Simoncini)
Carl Orff (Monaco di Baviera, 1895 – 1982) è stato un importante compositore tedesco che si occupato anche di pedagogia e didattica e che ha influenzato profondamente l’educazione musicale in Germania. Dopo un periodo di formazione durante il quale mostra una spiccata predilezione per la musica sinfonica di Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven, Franz Schubert, Wagner e Strauss, il giovane si avvicina a Claude Debussy. Finito il servizio militare durante la Prima guerra mondiale, Orff rivolge la sua attenzione agli autori contemporanei, mette in musica diverse liriche di Bertolt Brecht, per poi riscoprire l’importanza di Claudio Monteverdi, diventando uno dei più importanti pionieri della Monteverdi-Renaissance. Nel corso del regime hitleriano, Orff non si è mai iscritto al partito nazista e non ne ha condiviso l’ideologia; è stato intimo amico di Kurt Huber, filosofo, psicologo ed etnomusicologo, professore all’Università di Monaco, membro fondatore del movimento di resistenza “Die Weiße Rose” (la Rosa Bianca), condannato a morte e decapitato a Monaco nel luglio del 1943.
A partire dagli anni Quaranta, accanto allo studio degli “antichi maestri”, definisce una personale drammaturgia musicale del tutto svincolata dalle tradizioni operistiche ottocentesche, wagneriane e straussiane. Nel secondo dopoguerra Orff elabora la sua più importante produzione con un ritorno alla classicità soprattutto con Catulli Carmina (1943) e il Trionfo di Afrodite su testi di Catullo, Saffo ed Euripide (1953), completando la trilogia iniziata con i Carmina Burana.
Una radicale svolta nella sua drammaturgia musicale inizia con l’Antigonae nella traduzione di Friedrich Hölderlin (1949), opera con cui segna la riscoperta della tragedia greca attica, che prosegue con “Oedipus der Tyrann” (1959) e si conclude con il Prometheus (1968) composto sul testo originale greco di Eschilo. La sua carriera si conclude con De temporum fine comoedia, un lavoro che rappresenta la summa del teatro lirico di Orff, il quale si rifà all’idea di Origene della “apokatàstasis pànton”, del ritorno di tutte le cose in Dio per poi arrivare alla fine dei tempi: il Male, simboleggiato da Lucifero, l’angelo ribelle, torna in seno al Padre e questo evento porta alla liberazione del mondo dalle tragiche conseguenze provocate dal male stesso.
La opera di Orff più celebrata
I Carmina Burana, composti nel 1937, rimangono la sua opera più popolare ed eseguita in tutto il mondo. Essa consiste nella riscrittura sinfonica di 24 testi poetici provenienti dal manoscritto 4660 della Biblioteca di Stato Bavarese. È lo spettacolo che l’8 agosto ha chiuso in bellezza la sessantesima edizione del Macerata Opera Festival 2024 in una Sferisterio superaffollato. Si è trattato di un’ottima esecuzione sotto la direzione del M° Andrea Battistoni che ha guidato l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, il Coro Lirico “V. Bellini”, i Pueri Cantores “D. Zamberletti”, con la partecipazione del soprano Giuliana Gialfaldoni, del baritono Mario Cassi e del tenore Dave Monaco.
Lo spettacolo è stato arricchito da una bellissima scenografia per immagini realizzata dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Macerata Aurora Carassai, Anastasia Dal Monte, Marco Fratini, Laura Galetti, Minyan Hou, Edoardo Montelli, Chiara Morbidelli, Lucrezia Perchiazzi, Sara Raggetti, Eleonora Sabbatini e Gloria Sosi, sotto la guida del prof. Francesco Calcagnini (Scuola di scenografia) e la collaborazione di altri docenti.
Lo spettacolo è stato aperto e chiuso dalla celebre Fortuna Imperatrix Mundi (“O Fortuna, /come la luna/di stato variabile, /sempre cresci/o decresci. /la vita detestabile/ora smorza/ora rinforza /- per gioco – della mente l’ardire, / paupertate/potestate/come neve fa svanire”). Altri momenti salienti sono stati l’Inno alla primavera (“Il lieto aspetto di primavera/alla terra è donato, /l’esercito invernale/è vinto e fugato. /In veste variopinta/su tuto regna Flora, /celebrata dal canto/dolcissimo dei Boschi”); In taberna (“Nave senza nocchiero/vado alla deriva, /come uccello vagante7per le strade dell’aria; /non mi legano lacci, /non mi tiene chiavistello, /con canaglie a me simili/faccio comunella”), Cour d’amour che è un inno alla bellezza femminile e al desiderio amoroso, quindi il tema d’amore si è chiuso con Blanzifor et Helana (“Ave bellissima, /gemma preziosa, /decoro delle vergini, /vergine gloriosa: /Ave luce del mondo, /ave, del mondo rosa, /Elena e Biancifiore, /Venere generosa!”).
La scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Macerata
Per la scenografia visiva si è pregevolmente scelto di connettere creativamente le eccellenze culturali del territorio coinvolgendo l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Gli studenti hanno così creato, durante l’Anno Accademico, un affascinante e immersivo racconto visuale dei Carmina Burana. Una narrazione suddivisa in venticinque sequenze, una per ogni canto, legate tra loro da elementi visivi ricorrenti. Le sequenze di apertura e di chiusura, per il primo e ultimo canto ‘O Fortuna’, duplicano una figura antropomorfa in direzione inversa che, in una sorta di ‘riavvolgimento del nastro’, genera una narrazione senza soluzione di continuità. Tra questo inizio, che è anche fine, si apre un mondo di suggestioni che creano un viaggio nel tempo e nel mondo, un dialogo tra poesia e tecnologia, tra cultura e scienza, tra razionalità e religione, tra ascetismo e ritualità popolare, tra mondi rappresentati e luoghi immaginati.
Questo viaggio è popolato di visi e corpi di donne e uomini, piante, fiori e paesaggi, animali e figure antropomorfe. Protagonisti sono anche oggetti tecnologici della storia dell’uomo, come ingranaggi che creano universi capovolti, invertono terra e acqua, meccanismi mobili che trasformano animali, angeli, uomini e organi pulsanti in balocchi e ciondoli. A questi si aggiungono, e s’integrano, utensili di uso quotidiano, come girarrosti e bilance, ‘strumenti’ di credenza popolare, come carte e tarocchi, elementi ludici come giochi da tavolo, ruote dei colori, cavalli a dondolo, marionette, combattimenti tra aracnidi. Forte la presenza di riferimenti iconografici come melograni, rune o glifi, tatuaggi, ma anche di suggestioni che rappresentano il peccato originale, donne e uomini vitruviani, il femminino e il mascolino che convivono in tutti gli esseri viventi, il legame tra natura e origine della vita.
Dal punto di vista stilistico vi è un chiaro richiamo all’arte medievale e al Rinascimento europeo, all’arte fiamminga, ai ‘giardini’ di Bosch, all’odalisca di Ingres, al Surrealismo magrittiano. Nelle sequenze che, grazie a sistemi meccanici, creano scenografie di cornici vengono inseriti anche elementi fotografici o frammenti animati. Altre sequenze, invece, applicano un salto temporale stilistico nelle architetture, negli oggetti e nei tratti delle figure rappresentate anche tramite sequenze video contemporanee.
L’uso ricorrente di piani prospettici sfalsati e timing differenziati per i diversi oggetti e personaggi rendono ancor più poetica la narrazione e catturano continuamente l’attenzione alla ricerca di nuove e differenti emozioni visive. Alcune imprecisioni dell’area di proiezione e alcune asincronie tra canti e animazioni, riscontrate in alcuni sequenze e su alcuni effetti dall’impatto quasi stroboscopico, non hanno inficiato l’eccellente progetto realizzato dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti, un’opera eccellente sia nella qualità narrativa e tecnica, sia nella forza immersiva generata.
L’importanza dei Carmina Burana
I Carmina Burana costituiscono una straordinaria raccolta di 315 testi (quasi tutti poetici) scritti in latino o in medioevale tedesco del XII-XIII secolo e sono probabilmente un repertorio giullaresco realizzato per la corte del vescovo o del signore laico di Bressanone. Il manoscritto, conservato e ignorato per secoli nella abazia di Benediktbeuern in Baviera, è stato ritrovato nel 1803 da Johannan Christoph von Aretin.
La sua scoperta ha prodotto una conflagrazione culturale, perché ha rivelato un mondo letterario e musicale che presenta caratteristiche sentimentali, satiriche, politiche e sociologiche fino ad allora non sufficientemente documentate. Infatti queste composizioni, insieme ai tesi di giullari e giullaresse italiani spagnoli e francesi, sono la testimonianza che nel Medioevo non esistevano solo il teatro religioso e la poesia cortese. Davide Daolini, nel recente saggio Carmina Burana: una doppia rivoluzione (Carocci, 2024), propone una nuova immagine del Medioevo perché accanto a una mondo letterario cavalleresco, religioso, didascalico si colloca una realtà letteraria impregnata di fisicità, violenza, pathos e dinamismo socio-culturale. Questa realtà è ben rappresentata dai Carmina, che si possono suddividere in tre sezioni. La prima è formata da canti di argomento morale, irriverenti o sdegnati contro il degrado morale e l’ipocrisia della curia papale; la seconda da canti d’amore a volte delicati, a volte decisamente sessuali; la terza da canti di taverna che hanno per argomento il gioco dei dadi e degli scacchi, il piacere del bere, l’esaltazione della vita spensierata e spericolata. Un esemplare testo di controcultura è l’Apocalisse di Golia, dove si finge di condannare ma in realtà si esaltano valori contrari al perbenismo della società del tempo, mettendo in risalto il fascino di una esistenza maledetta e bohémienne. Lo stesso nome di Golia si riferisce a un movimento contestatore di chierici, condannato da San Bernardo, che rovescia i paradigmi teologici correnti e darà l’avvio alla “goliardia”. Infatti Codex Buranus contiene opere poetiche che si presume siano nate nell’ambiente dei clerici vagantes, studenti appartenenti al clero minore che viaggiavano per l’Europa per frequentare varie Università. Erano “spiriti liberi” dotati di una sferzante ironia, che indirizzavano i loro lazzi contro le gerarchie ecclesiastiche accusate di scarsa moralità e di lassismo, ma erano anche autori di componimenti di tipo teologico-didascalico, oppure di testi amorosi spesso licenziosi a cui si accompagnavano canti di taverna che esaltano il buon cibo, il vino, il gioco e le donne. Il fascino “misterioso” di questa raccolta non sta solo alla varietà e laicità dei contenuti, ma anche dal loro anonimato, il cui velo si squarcia solo per alcune poesie attribuite, sulla base di associazioni stilistiche, ai trovatori Gualtiero di Chatillon e Pietro di Blois, ai minnesanger Heincich von Morungen e Walter von der Vogelweide.