Stanley Jordan: quando la chitarra non ha più sei corde


Silvio Sbrigata

2 Ott 2003 - Commenti live!

Milano – Non è impresa da poco trovare gli aggettivi per qualificare Jordan, il suo stile, la sua tecnica e lo spettacolo che porta in giro per il mondo. Per lui sono state usate parole come: funambolo, equilibrista, giocoliere delle sei corde. In più, il nome del suo show sembra un po' pretenzioso: ma a giudicare dalle facce imbambolate degli spettatori, dall'entità degli applausi, dalla standing ovation finale, nessuno ha urlato allo scandalo. Anzi, forse chiamare il tour Solo Magic Touch, quindi usare l'aggettivo magic è fin troppo riduttivo. E magic di Jordan lo si dice fin dall'85 quando, allora venticinquenne, ha pubblicato, addirittura per la Blue Note, il disco Magic Touch presentandosi all'attenzione internazionale con una tecnica nuova per suonare la chitarra. Fino ad allora si parlava di tapping, o per i più virtuosi di double-tapping: ma di lì a poco fu inventato il termine two-handed tapping, intendendo con questo il tapping fatto non più con due dita, bensì con otto. Il chitarrista americano, ha quindi sviluppato una tecnica che lo rende unico al mondo ed ha tutti i titoli per occupare un posto d'onore nel gotha dei musicisti viventi. Ai suoi spettacoli non si va solamente per ascoltare, ma anche per guardare: intanto fa vibrare le corde con entrambe le mani. Poi la vibrazione non parte solamente dalla cassa armonica, ma da una qualunque posizione sul manico. Le mani sono assolutamente indipendenti e sembrano seguire strade ormai completamente spianate: si inseguono lungo tutto il manico, si superano, si incontrano e le note prodotte prendono forma, anche nelle rughe di espressione di Jordan. E talvolta le accompagna pure con dei movimenti garbati ed armonici del corpo. Il palco è occupato solamente da Stanley e dalla sua chitarra, o meglio sarebbe dire dalle sue chitarre, dato che la particolare tecnica porta a pensare che di strumenti non ce n'è solamente uno, ma almeno una coppia, e per di più, suonati da persone diverse. La pecularietà del tour è che non è legato alla promozione del suo ultimo disco Ragas: esso infatti è realizzato con Jay Kishor, uno dei più virtuosi suonatori di sitar, e con Vedang Londhe al tablas e nessuno dei due era presente. In più le musiche proposte sono state ripescate dal suo repertorio, ben nutrito del resto, e che va da Magic Touch, a Cornucopia del '90, allo straordinario Stolen Moments del '91, al pluripremiato Bolero del '94. Il demiurgo Jordan non è avezzo a seguire i rigidi schemi delle partiture, e quindi anche chi conosce perfettamente le sue composizioni fa fatica a riconoscerle. Esse sono solo il frutto dell'estro creativo di un momento, fissato sui nastri dai registratori nelle sale d'incisione e solo quando, talvolta anche dopo parecchi minuti dall'inizio dell'esecuzione, viene fuori il ritornello scatta l'applauso del pubblico attento. Il quarantacinquenne americano è davvero bravo a tenere in sospeso il suo pubblico ed in alcuni momenti si arriva perfino al parossismo, per cui l'applauso non serve solamente a manifestare l'assenso dello spettatore, ma acquisisce una funzione liberatoria, quasi catartica. Due sono stati i momenti di grande intensità della serata: quando Stanley si è avvicinato al microfono ed ha musicato con la voce, in una sorta di scat, il pezzo che stava eseguendo, e quando ha suonato una lunga suite di almeno venti minuti durante la quale ha fatto confluire non meno di cinque pezzi pescati dal suo variegato repertorio. In più, tanto per fugare ogni poco probabile dubbio sulle sue capacità tecniche, approfittando della presenza sul palco di un pianoforte, l'ha suonato contemporaneamente alla chitarra, con un'alternanza delle mani da lasciare i presenti di stucco. Quasi due ore di spettacolo, ed un ritorno durante il quale esegue una sua personale ed elaborata versione di Starway to Heaven dei Led Zeppelin non bastano di certo a saziare ogni aspettativa del pubblico che sarebbe rimasto per ore ad ascoltare e vedere i mirabolanti virtuosismi del chitarrista. Sul grado di soddisfazione però, basta citare la standing ovation finale, con applausi per più di cinque minuti e l'interminabile fila per acquistare i cd con l'autografo del genio Jordan.

(Silvio Sbrigata)


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