Sonoro in nero
di Emidio Saladini
20 Feb 1982 - Approfondimenti cinema
Contrariamente a quanto s`immagina, i rapporti tra cinema di Hollywood e la musica d`ispirazione e di derivazione africane, sia quella a carattere religioso come lo “spiritual” e il “gospel” sia quella a carattere profano come il canto di lavoro (“work song”), il “blues”, il “ragtime” e il “jazz”, sono sporadici, frammentari e, in massima parte, deludenti. Spesso furono presentate sotto etichetta jezzistica musiche che con il jazz o con il repertorio afro-americano non avevano nulla da spartire. L`equivoco iniziò fin dalla prima pellicola sonora che, pur intitolata The Jazz Singer (1928), non conteneva neppure una nota di jazz. L`incontro tra il cinema e la musica dell`America nera non si fece però attendere. Avvenne l`anno successivo, il 1929, per merito di Hallelujah! diretto da uno dei registi più celebri del muto, King Vidor, che, reduce dai trionfali successi di The Big Parade ( “La Grande Parata”, 1926) e di The Crowd (“La Folla”, 1928) scelse, per il suo esordio sonoro, un soggetto assai rischioso per le polemiche razziali che inevitabilmente avrebbe suscitato. Il film, ambientato nel profondo sud degli Stati Uniti (il Tennessee), infatti, non solo descriveva in maniera cruda e graffiante, le miserevoli condizioni di vita della gente di colore ma presentava anche una novità ritenuta, da molti, scandalosa; un “cast” di tutti attori negri. Secondo le previsioni, il cammino di Hallelujah! non fu facile. Al suo debutto a New York suscitò proteste ed incidenti. Ugualmente tempestose furono le proiezioni in altre città americane. Ottenne, invece, un`accoglienza favorevole in Europa dove si misero in risalto alcune ardite innovazioni tecniche e linguistiche tra cui, assai apprezzato, l`impiego funzionale del sonoro. Andrè Gide lo descrisse come una sinfonia visivo-sonora. Ho avuto la fortuna, nel lontano 1956, di assistere, al fianco di King Vidor, ad una proiezione (organizzata dal “Film Club Roma” di cui ero segretario) dell`unica copia, purtroppo malridotta, dell`edizione italiana di Hallelujah! gelosamente custodita dalla “Cineteca Nazionale”. Al termine della proiezione chiesi a Vidor i motivi che lo indussero a realizzare un film così scomodo e così diverso dai consueti schemi hollywoodiani. Mi rispose che l`unico motivo doveva essere ricercato nel suo grande amore, nella sua grande passione per la musica negra, una musica che da sempre lo aveva affascinato e che, fin dagli anni giovanili nel Texas, lo avevano indotto a strimpellare il banjo e la chitarra. Adorava immensamente il patrimonio musicale del folklore afro-americano: dagli inni sacri e dalle invocazioni religiose ai “Work songs” dei raccoglitori di cotone, dei pescatori, dei taglialegna e degli operai delle ferrovie intenti a deporre le rotaie; dalle numerose “bands” di New Orleans (presenti in ogni occasione: sia matrimoni che funerali) ai teneri motivi d`amore cantati lungo le rive del Mississipi; dai frenetici “Tip-Tap” danzati, nei giorni di festa, sulle aie delle fattorie delle comunità rurali ai disperati “blues” di protesta provenienti dai ghetti di New York e di Chicago; dai “ragtimes” suonati da frenetici pianisti ai nuovi travolgenti ritmi delle orchestre dei pionieri del jazz. “A questo affascinante e straordinario mondo musicale – concluse Vidor – è dedicato Allelujah!. La prova? Dapprima scelsi, con estrema cura, i brani musicali e poi, su di essi e per essi, costruii la storia del film”. La trama (scritta da Vidor e poi sceneggiata da Richard Schayer e Wanda Tuchock) narra la triste odissea di un raccoglitore di cotone (Zeke) che, pazzo d`amore per una giovane sgualdrinella Chick, viene coinvolto in una serie di tragiche vicende e spinto fatalmente verso il delitto. La parte di Zeke fu affidata a Daniel L. Haynes che si era messo in luce nella commedia musicale Show Boat di Jerome Kern mentre la parte della ragazza spettò alla diciassettenne Nina Mc Kinney, ballerina di fila nella rivista Blak Birds. Lo sviluppo narrativo, come abbiamo sentito dalla viva voce del regista, risulta al servizio ed in funzione della componente musicale. Sono, in effetti, le immagini a commentare e a sostenere la musica, traendo da essa ispirazione e validità drammatica. La colonna sonora perde la sua prerogativa sussidiaria di accompagnamento per assumere, a pieno diritto, il ruolo di protagonista. I brani inseriti nel film sono tratti, nella quasi totalità, dalla tradizione musicale del folclore negro (“spirituals” e “negro folk songs”). Citiamo i più significativi: Swanee River, un “work song” che sottolinea la raccolta del cotone; Swing Love, Sweet Chariot e Nobody Knows, due canti religiosi che accompagnano, il primo, la veglia funebre e, il secondo, i funerali del fratello di Zeke ucciso in una rissa; All God`s Chillum un “negro-spiritual” utilizzato in maniera suggestiva nella scena della predica; Going Home, un “tradizional song” che annuncia festosamente il ritorno a casa del protagonista redento. Assai suggestivo è anche il “blues” intonato, al calare della sera, per addormentare i suoi bambini da Fannie Belle De Night nel ruolo di Mammy. Di questi brani molto noto è Swing Lowe, Sweet Chariot che il musicista boemo Antonin Dvorak, l`autore della sinfonia del Nuovo Mondo definì il “più bello dei canti dei negri del sud”. Di Swing Love, Sweet Chariot diamo le prime quattro strofe. “If salvation was a thing money could buy, The rich would live and the po` would die. But I`m soglad God fixen it so That the rich mus` die yes` as well as the po`” [Se la salvezza fosse una cosa che il denaro potrebbe comprare, allora il ricco vivrebbe e il povero morirebbe. Ma io sono tanto contento che Dio abbia deciso così Che il ricco deve morire esattamente come il povero.] Ai motivi tradizionali furono aggiunti, sembra contro il volere di King Vidor altri tre brani: il celebre St. Louis Blues di W. C. Handy e due canzoni commissionate a Irving Berlin (Waiting At the End of the Road e Swanie Shuffle, cantata, quest`ultima, nella scena del bar, in maniera mirabile e intensamente sensuale, da Nina Mc Kinney. Trascorrono sette anni prima di vedere riapparire sullo schermo un film, The Green Pastures (“I verdi pascoli”, 1936) interpretato da tutti attori neri. Si tratta della riduzione cinematografica del lavoro teatrale di Marc Connelly che, presentato a Broadway nel 1930, ottenne il Premio Pulitzer. The Green Pastures, diretto dallo stesso Marc Connelly con l`aiuto tecnico di William Kighley, suscitò pochi dissensi giacché il suo clima fiabesco e gustosamente fantasioso offriva scarsi appigli a polemiche razziali. Forse non risultarono soddisfatti i neri che videro rappresentata, in maniera caricaturale e folkloristica, la loro ingenua e popolaresca interpretazione di alcuni aspetti della religione cristiana. Il film è la storia di un sogno. Un bambino nero, dopo la lezione di catechismo, si addormenta sui gradini della chiesa e rivive gli episodi biblici che il pastore evangelico da poco gli aveva spiegato. I personaggi di questa divertente carrellata onirica sono i negri e di colore sono tutti gli abitanti del Paradiso, festosamente intenti a cantare “spirituals” e a mangiare pesce fritto. Nero è, naturalmente, anche Dio, rappresentato da un vecchio signore dal nobile aspetto e dal dolce sorriso. La componente musicale costituisce, senza dubbio, una delle caratteristiche più interessanti e valide di The Green Pastures. Curato negli arrangiamenti da un esperto maestro come Hall Johnson, è tratta dal ricco repertorio della musica religiosa afro-americana (“negro spirituals”, “jubilees”, “gospel songs”) e comprende alcuni motivi assai belli come Let My People Go, De Old Arks A-Moverin, Run, Sinner, Run, Joshu Fit De Battle of Jericho and De Walls Came Tumblin` Down e il notissimo When the Saints Go Marchin`In, uno dei cavalli di battaglia di Louis Armstrong. E` necessario ora sfogliare il calendario e giungere al 1943. In quell`anno vengono realizzati ben due film musicali con un “cast” di attori neri: Cabin in the Sky della M. G. M. e Stormy Weather della Fox. Cabin in the Sky (“Due cuori in cielo”), ricavato da una commedia di Lynn Root, Vernon Duke e John Latouche, si avvale della regia di Vincente Minelli e della collaborazione di un nutrito gruppo di attori e di cantanti di colore tra cui Ethel Waters, Eddie “Rochester” Anderson, Lena Horn, Rex Ingram, John W. Bubblet, Butterfly Mc Qeen, Louis Armstrong. Anche Cabin in the Sky ci offre una particolare e folcloristica visione del mondo religioso tutta giocata sulle ali di una sfrenata fantasia. Sullo schermo assistiamo, addirittura, ad un vivace scontro tra Dio e il Diavolo che, nell`eterno conflitto tra bene e male, si contendono, senza esclusione di colpi, l`anima di un peccatore. Il film, assai divertente, ricco di deliziose trovate e percorso da una graffiante vena umoristica, è stato diretto dal regista di origine italiana, Vincente Minelli con mano sapiente ed esatta misura, rivelando una straordinaria abilità nell`impiego della musica sempre partecipe e sempre presente in ogni piega narrativa. La parte musicale e quella coreografica, come in molte delle successive pellicole di Minelli, assumono grande rilievo. Per rendersene conto basta scorrere i nomi dei suoi numerosi collaboratori: George Bassman e Conrad Salinger per le orchestrazioni, Roger Edens per gli adattamenti, Hall Johnson per gli arrangiamenti corali, George Stoll per la direzione musicale e il celebre Busby Berkeley per le coreografie. Lungo è l`elenco delle canzoni. Soltanto una, Old Ship of Zion, è tratta dal patrimonio tradizionale e viene eseguita dal coro. La maggior parte delle altre, Cabin in the Sky (cantata da Ethel Waters e Eddie “Rochester” Anderson, i due protagonisti del film), Taking a Chance on Love (cantata da Ethel Waters), Honey in the Moneycomb (cantata da Lena Horne) sono state composte dagli stessi autori del testo teatrale: Vernon Duke e John Letouche. A queste si aggiungono Li`l Black Sheep, Happiness Is a Thing Called Joe (ambedue cantate da Ethel Waters), Life`s Full of Consequence (cantata da Lena Horne e Eddie Anderson) di Harold Arlen e E. Y. Harburg, Shine (cantata da John W. Bublett) di Ford Dabney e Cecil Mack, Going Up di Duke Ellington (eseguita dall`Orchestra di Ellington). Fa un`apparizione anche Louis Armstrong nella parte del trombettiere del Diavolo e, credo, che Belzebù non abbia più avuto al suo servizio un trombettiere così simpatico. Ma non era la prima presenza cinematografica di Armstrong. “Satchmo” aveva già interpretato alcuni films: Flame (1936), Pennies from Heaven (1936), Artists and Models (1937), Goin` Paces (1939). Stormy Weather (regia di Andrew Stone, coreografia di Clarance Robinson, direzione musicale di Benny Carter) possiede la struttura e gli ingredienti della classica rivista musicale americana. Il film prende a pretesto alcuni momenti della carriera del cantante e ballerino Bill “Bojangles” Robinson per proporci un eccezionale spettacolo di varietà composto da una ricca serie di numeri musicali e di danza di pregevole fattura eseguiti da straordinari artisti di colore. Tra di essi fanno spicco Bill Robinson che interpreta con garbata ironia il ruolo di se stesso, Lena Horne forse nel momento migliore della sua splendida attività artistica, Ada Brown una delle grandi regine del “blues”, i Nicholas brothers prestigiosi e forse ineguagliabili ballerini acrobatici, Fats Waller il pianista più famoso nella storia del jazz, Katerine Dunham reduce con la sua compagnia di danza, dai trionfi conseguiti in ogni parte del mondo. Anche le canzoni sono di alta qualità. Ne ricordiamo alcune. Stormy Weather, il famoso motivo di Ted Hoehler e Harold Arlen che da il titolo al film, e la divertente Diga, Diga Doo di Dorothy Fields e Jimmy Mc Hugh: ambedue cantate da Lena Horn. I Can`t Give You Anything But Love dei medesimi autori e la bellissima Ther`s No Two Ways About Love di Ted Koehler, James P. Johnson e Irving Mils, eseguite sempre dalla Horne ma, insieme a Bill Robinson. Rytm Cocktail di Olloway, un indiavolato pezzo jazzistico eseguito da Robinson con l`orchestra di Colloway. Rang Tang Tang di Cyril J. Mockrige, un allegro motivetto cantato e danzato da Robinson con un gruppo di bambini. Aint` Misbehavin di Andy Razaf, Fats Waller e Harry Brook suonata al piano da Fats Waller. Jumpin Jive di Colloway, Frank Froeba, Jack Palmer eseguita dai Nicholas Brothers. That Ain`t Right di Nat King Cole e Irving Mills cantata dalla voce stupenda di Ada Brown. I Lost My Sugar in Salt Lake City di Johnny Lange e Leon Renè cantata da Mae E. Johnson. Non possiamo chiudere queste note sugli attori e cantanti di colore senza rivolgere un pensiero a Paul Robeson che, negli anni trenta e quaranta, raggiunse una notevole e ben meritata popolarità prim sul palcoscenico e poi sullo schermo. Nei libri di cinema si ricorda di lui soprattutto la partecipazione, nel 1936, al film musicale Show Boat. Nessuno di coloro che hanno portuto assistere a quel film potrà infatti dimenticare la sua voce grave e possente che intona Ol` Man River mentre il battello solca lentamente le acque del Mississipi.