Shakespeare e il melodramma


di Alberto Pellegrino

28 Lug 2016 - Approfondimenti teatro

1. Giuseppe_Verdi_1 MusiculturaonlineLe celebrazioni del centenario scespiriano ci offrono l’occasione per analizzare quanto abbia influito la sua drammaturgia sul variegato mondo del melodramma italiano che, per la sua natura drammatica, nell’Ottocento è costretto a prendere come modello il teatro di prosa, per cui i librettisti attingono ad ampie mani i loro soggetti soprattutto dalle opere teatrali di Friedrich Schiller, Victor Hugo, George Byron e Walter Scott, mentre Shakespeare è quasi del tutto assente. Dopo la rinascita della librettistica del Settecento con Metastasio, Apostolo Zeno, Goldoni e Lorenzo Da Ponte, si ha nell’Ottocento l’avvento del librettismo professionistico e si deve registrare un decadimento del linguaggio operistico con l’adozione di una “dizione poetica” artificiosa e, in alcuni casi, addirittura grottesca. L’autore più prolifico in questo periodo è Felice Romani, che scrive oltre settanta libretti e che vende alcuni di questi a più compositori. Spetta alla grandezza dei musicisti e soprattutto a Giuseppe Verdi saper trarre ispirazione da simili testi e  saper trasformare quei versi in frasi musicali di eccezionale2. Boito3 Musiculturaonline bellezza, fino a trasformare le parole in pura melodia. Soltanto nell’ultimo quarto di secolo si arriverà a un positivo incontro tra musica e parola grazie alla presenza di validi librettisti come Arrigo Boito per Verdi e Illica e Giacosa per Puccini.

Romeo e Giulietta
Il primo compositore italiano che nel 1796 compone una Giulietta e Romeo è Nicola Zingarelli (1760-1845) su libretto di Giuseppe Maria Foppa, ispirandosi alle novelle di Luigi Da Porto e di Matteo Bandello, alla tragedia Giulietta e Romeo scritta alla fine del Settecento da Giovanni Pindemonte (1751-1812). Ritorna sull’argomento Felice Romani che scrive il libretto di Giulietta e Romeo, musicato da Nicola Vaccai nel 1825, ispirandosi al libretto del Foppa e alla successiva tragedia Giulietta e Romeo (1818) di Luigi Scevola. Nel 1830 Romani affida lo stesso libretto, con poche varianti e con un nuovo titolo Capuleti e Montecchi, a Vincenzo Bellini. Direttamente a Shakespeare s’ispirano invece Hector Berlioz con la sua sinfonia drammatica Roméo et Juliette (1839), Filippo Marchetti che nel 1862 compone Romeo e Giulietta su libretto di Marcelliano Marcello; Charles François Gounod compone nel 1867 il suo melodramma Romeo e Giulietta su libretto di Jules Barbier e Michel Carré; infine Riccardo Zandonai compone nel 1922 una Giulietta e Romeo su libretto del commediografo Antonio Rossato che scrive un lavoro melodrammatico ambientato in un Medioevo di maniera. Le opere di Vaccai, Bellini e Zandonai sono molto lontane dal testo scespiriano, perché i due protagonisti sono da qualche tempo amanti e, dopo la scena inziale del tumulto, si passa alla scena del balcone. Tebaldo sorprende Romeo nella camera di Giulietta ed è ucciso in duello, per cui il giovane è costretto a fuggire a Mantova, mentre Giulietta si assoggetta alla finta morte. Dalla voce di un cantastorie Romeo apprende che Giulietta è morta e accorre a Verona nella sua tomba, dove si uccide per essere poi seguito da Giulietta. Il melodramma più fedele al testo scespiriano è quello di Filippo Marchetti, anche se vi sono tagli radicali di scene e di personaggi, ma con l’originale introduzione di Paride nel ruolo di uno dei protagonisti della vicenda.

Amleto
La più celebre delle tragedie scespiriane comincia a richiamare l’attenzione dei librettisti e dei compositori solo nella seconda metà del Settecento, perché prima s’ignorava persino l’esistenza del drammaturgo inglese. Apostolo Zeno, che scrive la tragedia Ambleto, trae questa storia dalle Cronache di Saxo Gramaticus e dalla novella di François Belleforest inclusa nella raccolta Histoires tragique (1570). Dal dramma di Zeno trae un libretto Pietro Pariati poi musicato da Franco Gasperini (1705), da Domenico Scarlatti (1715) e da Giuseppe Carcani (1741).
Nel secondo Settecento i librettisti si basano non sull’originale di Shakespeare ma sull’adattamento francese fatto nel 1769 da Jean-François Ducis (1733-1816), dal quale saranno tratti libretti per l’Amleto di Luigi Caruso (1789), Gaetano Andreozzi (1792) su libretto di Giuseppe Maria Foppa. Sempre al Ducis si rifà il Romano per il suo Amleto musicato da Saverio Mercadante (1814); anche Giovanni Peruzzini segue il Ducis per scrivere il testo di due melodrammi composti da Antonio Buzzolla (1848) e da Luigi Moroni (1860). Più vicino all’originale è Amleto(1854) scritto e composto dal musicista e drammaturgo Angelo Zanardini, nonostante scelga il lieto fine lasciando in vita il principe danese.
Vale la pena di soffermarsi su  l’Amleto composto da Franco Faccio (Genova 1865, Milano 1871) servendosi di libretto scritto da un poeta e letterato di valore come Arrigo Boito. Nonostante il suo carattere innovativo, l’opera non ha avuto l’accoglienza che meritava ed è caduta presto nel dimenticatoio. Siamo di fronte all’unico tentativo di trasferire nel linguaggio musicale il capolavoro scespiriano, perché Boito è un appassionato ammiratore del drammaturgo inglese, anche se conosce la sua opera attraverso la traduzione (approssimativa) di Carlo Rusconi (1838), quella poetica di Giulio Carcano (1847) e soprattutto quella francese di Victor Hugo (1860). Nella sua versione Boito segue lo schema tradizionale della tragedia di vendetta malgrado questo Amleto sia sostanzialmente fedele al testo originale come prova il celebre monologo (“Essere o non essere! codesta/La tesi ell’è. – Morir? – dormire – e poi?/Finir le angosce di quest’egra e lercia/Di carne eredità con un letargo!/Morir? – dormire – e poi? Dormir – sognare!!!/Qui si dismaga l’intelletto; e quali/Sogni fuggiti dalla grama vita/Verranno a popolar quella ferale/Eternità del sonno?/E qui s’impiglia/l’umana mente! e n’esce il dubbio”).
Meno approfonditi psicologicamente sono i personaggi della Regina e di Ofelia, alla quale spetta l’arietta di una dichiarazione d’amore (“Dubita pur che brillino/Degl’astri le carole./Dubita pur che il sole/Fulga, e che sulla rorida/Zolla germogli il fior;/Dubita delle lacrime,/Dubita del sorriso,/E dubita degli angeli/che sono in paradiso,/Ma credi nell’amor!”). Questo libretto si chiude con Amleto che attende con coraggio il sopraggiungere della morte e rimane la prima e la migliore versione musicale della tragedia scespiriana, poiché conserva una fedeltà di fondo nei confronti dell’originale nonostante i tagli e le semplificazioni imposte dalla stessa forma operistica.
Una singolare affinità con l’opera di Faccio-Boito si riscontra con l’Hamlet composto nel 1868 da Ambroise Thomas (1811-1896) su libretto di Michel Carré e Jules Barbier, che s’ispirano all’adattamento della tragedia scespiriana pubblicato nel 1847 da Alexandre Dumas père e Paul Mourice. Compositore sempre culturalmente impegnato, Thomas scrive questo suo capolavoro (un anno dopo la Mignon) e rimane abbastanza fedele allo spirito dell’originale, nonostante egli insista sul tema della follia e dell’amore con Ofelia che, una volta respinta, è indotta dalla disperazione al suicidio. L’altro tema è quello della vendetta, per cui l’opera si conclude con la riappacificazione tra Laerte e Amleto, mentre l’unico a essere ucciso è il perfido re Claudio. A differenza dell’opera di Faccio, quella di Thomas continua a essere rappresentata nei maggiori teatri di tutto il mondo.

Verdi e Shakespeare
3. theodore_chasseriau_017_macbeth_1855 MusiculturaonlineVerdi ha avuto sempre una grande ammirazione per il drammaturgo inglese come sostiene egli stesso nel 1865 in una lettera indirizzata al suo editore francese Escudier, al quale ribadisce con fermezza la diceria che egli non conoscesse Shakespeare quando aveva scritto il Macbeth: “Può darsi che io non abbia reso bene il Macbeth, ma che io non lo conosco e non sento Shacperare [sic], non, per Dio, no. E’ un poeta di mia predilezione, che ho avuto tra le mani fin dalla prima gioventù e che leggo e rileggo continuamente”.
In effetti, i drammi scespiriani, che Verdi conosceva attraverso le tradizioni di Carlo Rusconi,4. Verdi-Macbeth-04 Musiculturaonline hanno sempre esercitato un loro fascino sul compositore e suscitato in lui il desiderio di trarre un melodramma da una di quelle opere, anche per immettere sul “mercato” dell’opera lirica, che è il medium più diffuso del secolo, nuovi soggetti capaci di richiamare l’attenzione del pubblico.
Nell’Ottocento i librettisti riassumono in sé le funzioni del soggettista e dello sceneggiatore (proprie del cinema), adattando le vicende alle esigenze dei compositori, per cui la componente letteraria finisce per essere messa in stato di soggezione rispetto a quella musicale. Del resto la stessa denominazione di libretto, rispetto a quella di dramma per musica adottata nel Seicento e parte del Settecento, sta a indicare una condizione d’inferiorità del testo rispetto alla musica. Verdi, che aveva uno straordinario senso del teatro, ha avuto sempre un rapporto alquanto conflittuale con i suoi librettisti, dettando spesso delle modifiche o addirittura dei canovacci come avviene quando decide nel 1847 di portare sulla scena il Macbeth, affidandone la stesura a Francesco Maria Piave, ma nel 1857 chiede ad Andrea Maffei di riscrivere alcune parti del libretto e in particolare il coro delle Streghe e la scena di sonnambulismo dei Lady Macbeth. Un’ulteriore revisione si ha nel 1865, in occasione del debutto dell’opera a Parigi, per quanto riguarda lo spartito e alcune parti del testo; infine la versione definitiva dell’opera si ha nel 1874 in occasione del debutto alla Scala, mettendo fine alle incertezze e alle insoddisfazioni del Maestro.
Verdi concepisce il Macbeth in un momento di grande stress creativo in quel periodo compreso tra il 1842 e il 1853 quando compone ben sedici opere che egli chiama gli “anni della galera”. Alla difficoltà della creazione si aggiungono quelle degli interventi arbitrari delle varie censure italiane, per cui nel tollerante Granducato di Toscana (l’opera debutta a Firenze) l’opera è rappresentata integralmente, mentre la censura austriaca non accetta l’espressione “madrepatria oppressa” e quella borbonica non vuole il regicidio, per cui a Palermo il Re Duncan si trasforma nel Conte Walfred e a Roma si considerano blasfemi gli interventi delle streghe.
Nel dramma di Shakespeare le atmosfere e la drammaticità sono affidate al ponte gioco delle immagini, delle antitesi e delle metafore, mentre nel libretto quest’aspetto manca ed è Verdi con la sua musica straordinaria a compensare questa perdita. La variante di maggiore rilievo è rappresentata dall’aggiunta in apertura del quarto atto del coro dei profughi e dell’aria di Macduff (la sola per tenore di tutta l’opera), che servono a svolgere il tema del “popolo oppresso” legato il primo Risorgimento. Nel finale la morte di Macbeth avviene fuori scena, mentre un coro misto intona l’inno che celebra la vittoria contro il tiranno.

Il Verdi di Otello e Falstaff
5. Otello una storia d'amore - Angelo Campolo e Federica De Cola MusiculturaonlineVerdi conclude il suo percorso di avvicinamento al drammaturgo inglese con le sue ultime opere Otello(1887) e Falstaff (1893), con le quali si realizza al massimo la sua concezione del modo di rappresentare le passioni umane che egli sentiva vicino a quello di Shakespeare. Tutto questo si verifica grazie anche all’apporto determinante di un poeta colto e raffinato come Arrigo Boito, con il quale il compositore aveva collaborato per la stesura del testo dell’Inno alle Nazioni musicato in occasione dell’Esposizione mondiale di Londra del 1862; inoltre, Boito aveva già scritto e composto nel 1868 l’opera Mefistofele, aveva scritto il libretto della Gioconda (1876) di Ponchielli, aveva cominciato a collaborare con Verdi in occasione del rifacimento del Simon Boccanegra (1881).
La gestazione di Otello è stata lunga e travagliata, perché Verdi ha voluto prendere pieno6. otello Musiculturaonline possesso del soggetto sul piano creativo e, nello stesso tempo, evitare di mettere a confronto la sua opera con l’Otello. Moro di Venezia di Gioacchino Rossini, composto nel 1816 su libretto di F. Berio di Salsa, anche se in seguito il melodramma rossiniano sarà offuscato dalla potente opera verdiana. Rossini e Berio non conoscono l’originale della tragedia scespiriana, ma l’adattamento fatto da Jean-François Ducis per un balletto composto da Wenzel Roberto Gallenberg e rappresentato al San Carlo di Napoli nel 1807.
L’opera ha un immediato successo, anche se il pubblico non sopporta l’uccisione in scena di Desdemona, per cui Rossini nel 1819 aggiungerà un lieto fine con la riconciliazione dei due sposi. Nel libretto di Berio Di Salsa tutta l’azione si svolge a Venezia ed è incentrata sulla figura di Desdemona come eroina vittima del destino ed  è l’unico personaggio rossiniano (se si esclude Semiramide) a morire sulla scena. Desdemona vive il suo amore nel segno dell’infelicità (“Quanto son fieri i palpiti/che desta a noi l’Amor!/Dura un momento il giubilo,/eterno è il suo dolor”): divisa tra l’avversione per il promesso sposo Rodrigo, la maledizione del padre, la persecuzione di Jago che la vorrebbe per sé e la gelosia di Otello, la giovane si avvia verso la morte con la celebre Canzone del salice interrotta due volte dall’infuriare della tempesta e dal suo pianto. Il duetto tra Otello e Desdemona è il più tragico dell’opera ed è sottolineato da un Crescendo che è la riscrittura della celebre aria della “Calunnia” del Barbiere di Siviglia. L’opera, rappresentata a Napoli subito dopo il successo del Barbiere, fa scoprire l’esistenza di un Rossini operista “serio” e segna uno spartiacque nella storia dell’opera italiana, perché comporta la fine dell’opera buffa, un genere passato alla storia sotto il nome della scuola napoletana.
Verdi aveva, inoltre, bisogno di affinare la collaborazione con questo suo nuovo autore, ma alla fine Boito è riuscito a scrivere un libretto che è di per sé un capolavoro, nonostante alcuni critici rimproverino all’autore di avere trascurato la complessità di emozioni e di sentimenti di Jago e di avere fatto di questo personaggio solo un concentrato di malvagità. In realtà Jago nell’opera è un’invenzione di Boito che lo concepisce come una reincarnazione di Mefistofele in lineo con lo stesso Shakespeare che alla fine del quinto atto fa dire a Otello di fronte a Jago “Guardo il suo piede, se non sia forcuto come quello del diavolo. Ma se sei un diavolo non potrò ucciderti”. I contenuti di questa figura sono concentrati in quel Credo che Jago pronuncia come invettiva scagliata contro il Cielo e che ricorda la prima aria del prologo in cielo del Mefistofele. Verdi comprende immediatamente il valore di questo brano tanto da scrivere “Bellissimo questo credo, potentissimo e shaspeariano in tutto e per tutto”.  Del resto Boito ha immediatamente compreso che il vero protagonista della tragedia di Shakespeare è proprio Jago.
7. 835674 MusiculturaonlineIl personaggio di Falstaff (anche se con nomi diversi) è presente in alcuni lavori teatrali del Cinquecento che anticipano il personaggio poi creato da Shakespeare del bullo vanaglorioso che usa un linguaggio ampolloso e pieno di giochi di parole. Il personaggio scespiriano è una lettura in chiave inglese della natura universale di un tipo umano presente in tutte le culture e in tutte le epoche. La prima opera ispirata dalle Allegre comari di Windsor (di Carl Otto Nicolai) è composta nel 1799 da Antonio Salieri con il titolo di Falstaff, ovvero, le tre burle su libretto di Carlo Prospero Defranceschi; la seconda è scritta nel 1849 dal giovane e sfortunato musicista tedesco (muore nello stesso anno) e s’intitola Die Lustigen Weiber von Windsor.
Boito e Verdi non conoscevano l’inglese e hanno preso conoscenza delle Allegre comari di Windsor attraverso la bella versione francese di Victor Hugo, scoprendo le potenzialità di 8. 861090 Musiculturaonlinequesta commedia che rappresentava un materiale tale da rendere possibile l’unica opera buffa composta da Verdi a settantaquattro anni nel corso della sua lunga e straordinaria carriera. Il merito di Boito, oltre ad aver scritto un altro bel libretto, è quello di aver fatto di Falstaff un personaggio a tutto tondo, protagonista assoluto della vicenda come è nella commedia scespiriana, offrendo a Verdi la possibilità di creare il suo ultimo capolavoro.
Sempre nel suo rapporto con Shakespeare, è opportuno ricordare il tormentato rapporto di Verdi con Re Lear, una tragedia che lo aveva affascinato fin dal 1843 e che non è mai riuscito a comporre nonostante i numerosi tentativi: due abbozzi di libretto affidati a Salvatore Cammarano; il nuovo incarico affidato al drammaturgo Antonio Somma e destinato anch’esso a rimanere a livello di un progetto più volte rielaborato. Era destino che il Re Lear restasse il sogno irrealizzato di un grande compositore.

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