Serena Laudisa incontra Stern
Serena Laudisa
24 Set 2001 - Commenti classica
Maestro Isaac Stern, sembra che dobbiamo a un suo compagno di giochi il suo incontro con il violino.
Si, è vero, c'era un mio amico, un ragazzino circa della mia età , con cui ero solito giocare i più comuni giochi di strada, come la palla e così via.
A quel tempo io suonavo il pianoforte, mentre lui cominciava a studiare il violino, e questa è l'unica ragione per cui sono diventato un violinista. Forse non è una ragione molto romantica, non è così terribilmente mitologica: insomma, non mi è capitato di tornare a casa all'età di quattro anni piangendo per avere un violino! Non sono tornato a casa e ho cominciato improvvisamente a suonare il tema della V sinfonia di Beethoven. Non è accaduto nulla di tutto questo! Molto più semplicemente, ho avuto un “background” musicale sin dall'inizio, perchè, grazie alla mia famiglia, ho vissuto da sempre in un ambiente molto musicale.
La mia famiglia, sia mia madre sia mio padre, essendo russi, venivano da un ambiente in cui un bambino che riceveva un'educazione, una vera educazione, riceveva anche una sorta di istruzione artistica sin dalla prima infanzia.
Entrambi i miei genitori amavano la musica e nonostante nessuno dei due fosse un professionista, in casa avevano un pianoforte, un piccolo piano verticale che io suonavo. Quando il mio amico cominciò a studiare il violino, pensai che sarebbe stato bello se lo avessi fatto anch'io.
E a quanto pare è capitato che io avessi più talento di lui. Così sono diventato un violinista. Questo accadde quando avevo circa otto anni. Arrivato a dieci anni, dieci anni e mezzo, ho cominciato a sentire che stavo facendo qualcosa che potevo fare, che veramente ero in grado di fare. Ho sentito chiaramente: suonando il violino posso essere me stesso, posso riprodurre dei suoni, posso parlare con il violino, comunicare. E da quel giorno il violino mi ha completamente soggiogato, quasi mi avesse drogato. E anche oggi mi sento esattamente nello stesso modo, provo la stessa sensazione. Sono passati quasi settant'anni eppure nulla è cambiato!
E' stato importante trovare, all'inizio della sua carriera, persone che credessero fermamente nel suo talento?
Non si può mai dire. Non penso ci sia nessuno nell'ambiente musicale, sia che si tratti di un interprete sia, a maggior ragione, di un compositore, che non abbia avuto qualcuno che credesse in lui e che non gli sia stato di sostegno quando necessario.
Per ragioni direi quasi misteriose, la maggior parte dei grandi talenti non provenivano da famiglie facoltose: erano proprio le famiglie più povere ad avere figli di talento. E' sicuramente un dato di fatto che, nel mondo delle arti interpretative, quando un giovane dimostra un certo talento incontra facilmente persone che vogliono essere parte del suo possibile successo.
Direi quasi che è una funzione naturale della società , ed è una funzione molto importante ed utile, perchè senza di essa la vita per un musicista sarebbe molto più difficile.
La mia fortuna, insomma, è stata quella di inserirmi in una tradizione del mondo artistico che risale ad almeno 300 anni fa, forse più. Una tradizione che, specialmente in quest'ultimo secolo, ha acquistato una statura ed una dignità in sè stessa: il sostegno di giovani artisti non è più una sorta di grazia da parte di una società ricca o importante, ma è diventata una professione vera e propria, un modo di vivere che ha una sua dignità ed è rispettato dalla comunità sociale.
Io rappresento la continuazione di una certa tradizione. E suppongo che, in un certo senso, sia impossibile dire che la signorina Goldstein, una signora che non si era mai sposata, che andava a passeggio indossando un cappello con la veletta e guanti bianchi, che viveva in un grande albergo e che possedeva una lussuosa Cadillac, non abbia prodotto un inevitabile effetto su quello che era un ragazzino di undici o dodici anni. Lei ha veramente avuto fiducia in me, e forse proprio in questa fiducia, insieme all'aiuto che ho ricevuto da altre persone che hanno creduto in me quando ero giovane, risiede la ragione per cui oggi sento il dovere di aiutare le generazioni successive alla mia.
Sono stato fortunato ad incontrare persone che hanno creduto in me, e a mia volta desidero prendere coloro che considero veramente dotati e aiutarli ad ordinare il loro dono, ad organizzare i loro talenti, così che anche loro possano crearsi una vita artistica felice.
E posso dirle che nulla, nulla di quello che faccio mi dà più piacere del vedere come questi giovani, toccati ed incoraggiati, guidati e sgridati a volte, arrivino ad aprirsi e a sbocciare come fiori, per poi cominciare a camminare con le loro gambe. E' difficile per me pensare ad un'altra soddisfazione simile o quanto meno comparabile a questa.
L'incontro con Noun Blinder.
Noun Blinder è stato senz'altro il mio Maestro (con la M maiuscola), anche se ne ho avuti degli altri. Con lui è accaduto tutto al momento giusto, nel posto giusto e con l'uomo giusto.
Avevo circa dodici anni quando tornai a San Francisco dopo sei mesi trascorsi a New York, e lui aveva appena iniziato la sua attività – come Maestro Concertatore presso la San Francisco Symphony. Era un uomo molto importante in città . Feci un provino per lui e venni accettato immediatamente. Soltanto molti anni piu' tardi venni a sapere che Blinder e sua moglie Jenia, entrambi originari del Giappone, si erano trasferiti con la loro figliola prima in Russia e poi in America. Arrivarono a New York, dove vissero e dove lui insegnò per qualche tempo.
All'età di circa dodici o tredici anni la loro figliola morì. Aveva più o meno la stessa età che avevo io quando andai a suonare per lui. Solo molti anni dopo mi resi conto che, almeno in parte, il nostro legame così personale e profondo, era dovuto al fatto che in me avevano trovato una presenza che poteva, in un certo senso, prendere il posto della figlia morta. Non che fossi diventato parte della famiglia, ma quel calore che come genitori è quasi necessario, direi fisiologico, dare a qualcuno, loro lo diedero a me. Ed io l' ho contraccambiato, non solo perchè lo rispettavo, ma anche perchè l'ho molto amato. Ho studiato con lui sino a diciassette anni, e dopo di lui non ho avuto più nessun maestro.
E' lui che mi ha offerto il dono più grande che un maestro possa donare, lo stesso dono che oggi cerco a mia volta di offrire: mi ha insegnato ad insegnare a me stesso. Mi ha insegnato come pensare, come ascoltare. Se andavo nella direzione sbagliata, mi fermava. Ma se c'erano cose che volevo fare a modo mio, non pretendeva di impormi la sua volontà . Non dovevo fare esattamente quello che diceva lui, non usare la sua stessa diteggiatura quando suonavo: dovevo solo fare musica, parlare, comunicare, trovare la mia voce. Ho conosciuto molti altri suoi studenti e non ce ne sono due che suonano nello stesso modo. Questo è il primo segno della sua grandezza. Oggi mi accade spesso di ascoltare otto o dieci studenti di uno stesso maestro suonare tutti più o meno allo stesso modo. Non è bene, assolutamente. Perche' significa che il maestro impone dei limiti, e i limiti fanno sì che il cervello di un individuo smetta di pensare da sè. Blinder lasciava che ogni studente si sviluppasse e maturasse a modo suo, e questa è stata una sua lezione fondamentale.
Stern, qual è secondo lei nella musica il rapporto tra talento e genio?
Il talento è una qualità molto più comune di quanto non si possa immaginare. Il genio, quello si che e' raro-! La parola genio oggigiorno è più che mai inflazionata, mentre andrebbe usata con molta parsimonia. Per me nessun interprete può essere definito un genio, ma solo una persona ricca di talento.
Un genio è piuttosto qualcuno come Beethoven o Mozart o Michelangelo, da Vinci, Matisse, Stravinsky. Tutte persone che hanno creato qualcosa di speciale ed unica per la mente di milioni di altre persone e che descrive il progresso della creatività umana nelle arti. Questi sì sono stati dei geni. Persone che, come Mendelssohn, hanno scritto un ottetto all'età di sedici anni. Come ha osato scrivere un pezzo così perfetto e meraviglioso quando aveva solo sedici anni?! Come ha potuto Mozart, all'età di diciannove anni, scrivere cinque concerti per violino in soli nove mesi, quando poi fra il primo ed il quinto si trova una crescita che avrebbe avuto bisogno di almeno quaranta anni
E' inspiegabile. Non si può spiegare come Beethoven abbia usato sei note ascendenti e sei discendenti una scala, insomma, una semplice e banalissima scala! -e ne abbia fatto una delle più belle melodie nella storia della musica, il tema principale del primo movimento del suo concerto per violino. Questo sì che è essere un genio! E' la stessa differenza che c'è fra due uomini seduti su una montagna altissima. Uno dice: fa freddo, andiamo a casa.
L'altro dipinge un quadro meraviglioso o scrive un poema magnifico. Questo è genio. Il talento è saper comprendere e riconoscere come quel quadro è stato dipinto o essere in grado di recitare quel poema magnifico o, ancor più difficile, saper interpretare la musica perchè le note sono parole, e le parole compongono delle frasi, e le frasi compongono dei concetti, e il tutto diventa una filosofia di vita. Bisogna avere un grande talento per essere in grado di comprendere tutto questo e per poterlo presentare ed offrire al pubblico.
Quando ha cominciato a prendere coscienza della sua individualita' come interprete?
Probabilmente quando avevo dieci anni e mezzo, forse undici. Quando, cioè, ho cominciato ad essere in grado di dire qualcosa di veramente mio.
Penso che per qualunque giovane interprete, sia uomo sia donna, arrivi un momento in cui ci si rende conto che non si sta più facendo quello che il proprio maestro o la propria madre o il proprio padre hanno detto. Si fa quello che si comincia a capire di voler fare. E' senz'altro un momento essenziale nella vita di ogni individuo.
Ha mai avuto dei dubbi nella sua vita musicale?
Mi chiede se abbia mai avuto dei dubbi? Ma certamente che ne ho avuti! Come tutti, del resto. La vita è raramente fatta di successi istantanei. Accade a volte, ma molto raramente.
Solitamente è una questione legata alla scoperta di se stessi e francamente il primo passo nel processo dell'apprendimento è proprio imparare a capire quanto c'è da imparare. Sembra un gioco di parole, ma è una cosa molto vera. E così, in un certo senso, più si impara, più si scopre quanto si è ignoranti.
Ci sono momenti, a volte, in cui ci si chiede che cosa predomini in noi, se l'ignoranza o la curiosità di imparare. Tutto questo comporta anche una sorta di coinvolgimento fisico, che ci consente di arrivare a perfezionare il meccanismo così che non ci sia più nessuna differenza fra pensiero e azione. Si arriva ad ottenere una risposta immediata, non pianificata.
E' un fenomeno che può accadere con questa meravigliosa semplicità solo quando si ha il controllo totale e completo di qualcosa. L'ho sempre detto ed è anche scritto nel libro. Ho sempre sostenuto che la libertà viene dalla disciplina. Se il fisico, le idee, le possibilità , non hanno subito una disciplina forte, non ci si può sentire liberi di lasciare la propria immaginazione volare nel momento in cui sta accadendo qualcosa. Perchè quel momento non tornerà più. Ogni momento è un momento nuovo.
Essere in grado di interpretare liberamente e con piena cognizione quello che il compositore sta cercando di dire, non solo le parole, ma tutta la filosofia dietro quelle parole, che nella musica sono le note e ancora, essere in grado di sentire e guardare intimamente dentro una composizione e improvvisamente scoprire una nuova idea e riuscire a farla emergere: per fare tutto questo non c'è tempo di preoccuparsi se fare o meno un certo movimento o usare una certa diteggiatura. Bisogna semplicemente agire. E' in questo contesto che dico che la disciplina è fondamentale per la libertà .
La libertà più grande la troviamo in tutti gli artisti più grandi. Io ho conosciuto praticamente tutti i grandi artisti degli ultimi due terzi del XX secolo, alcuni solo a livello di conoscenza superficiale, ed altri, invece, sono stati grandi amici. Veri amici come Arthur Rubinstein o Rudi Serkin. Ho conosciuto Horowitz molto bene, Heifetz, ho incontrato Kreisler. Millstein è stato un grande amico, così come anche Oistrach.
E l'intero gruppo dei giovani che sono interpreti meravigliosi, grandissimi musicisti. Yo Yo Ma, Emmanuel Ax, Jefin Bromfman, Pamela Frank, Eugenji Kissin, e così via. E' un grande errore di oggi pensare che i grandi artisti appartengano necessariamente al passato e che un certo tipo di magnetismo e di carisma personale non esista più. Non è affatto vero. Abbiamo oggi altrettanti grandi artisti rispetto al passato, se non di più. Abbiamo artisti grandissimi nel loro modo di pensare, nel come sono allenati, con illimitate capacità fisiche, e con incredibile immaginazione.
Dal mio punto di vista, vede, chiunque abbia meno di cinquant'anni è giovane, ancora molto giovane! Se penso a tutte le persone di talento che ho conosciuto negli ultimi quaranta anni è veramente una gioia. Una volta ero sul palcoscenico alla Carnegie per un concerto con tutti artisti che oserei chiamare amici. C'erano quattro generazioni su quel palcoscenico a suonare con me. Bello, no?
Qual e' il ruolo dell'agente nella carriera di un musicista?
I manager di oggi sono molto diversi da quello che erano negli anni della mia crescita. Un impresario, un vero agente con delle idee, che ha fiducia nell'artista e che investe tempo, denaro e sforzi nella costruzione della sua carriera, è oggigiorno molto, molto raro.
Ai miei tempi, quaranta o cinquanta anni fa, ce n'erano molti pronti a rischiare il tutto per tutto, che prendevano un artista sotto la loro protezione non solo quando aveva già avuto successo, ma perchè credevano possedesse quel talento che avrebbe potuto portare al successo.
E' quello che è accaduto a me. Fui molto fortunato ad incontrare un tale di nome Saul Hiroch, che era veramente “L'impresario degli impresari”. Come in altri casi di grandi uomini, ce n'è stato uno solo come lui al mondo. E' stato l'uomo che ha portato Bally in America, che ha preso sotto la sua protezione e ha presentato artisti come Marian Andersen, in un momento in cui nessun altro si sarebbe mai interessato ad un interprete di colore.
Ha gestito la crescita e lo sviluppo di carriere come quella di Arthur Rubinstein, Patrisman Sell, Roberta Peters e Jan Peerce. Hiroch mi insegnò a lavorare con un impresario locale, e quando questi rimase senza soldi e non fu più in grado di pagare, Hiroch non gli fece causa, non si rivolse ad un avvocato, non lo ricattò. O pagava l'artista lui stesso, tirando fuori i soldi di tasca sua, oppure diceva semplicemente: aspettiamo, ci pagherà non appena sarà in grado di farlo, e se non sarà in grado troveremo un'altra soluzione. Questo è il modo in cui si costruisce una carriera, una vera carriera. E' stato uno dei motivi per cui la mia vita artistica pubblica è stata quella che è stata dal momento in cui ho cominciato con Hiroch nel 1940, con cui poi ho continuato a lavorare sino alla sua morte, circa nel 73. Ogni anno tutto era più grandioso, fino ad arrivare al punto in cui potevamo permetterci di scegliere dove volevamo andare e su quali aree concentrarci. Oggigiorno ci sono troppi agenti piuttosto che impresari.
La differenza sta nel fatto che un agente analizza il mercato per vedere quello che offre, quanti impegni o incarichi può riuscire ad ottenere e da cui poi potrà prendere la sua commissione. In altre parole, la sua prima preoccupazione è quanto quell'artista lo potrà far guadagnare, e non come costruire la sua vita professionale.
Le idee di questo tipo di agenti, la loro valutazione di ciò che è buono o meno, spesso si basano non su motivi di tipo artistico, ma piuttosto di tipo economico. Più è alta la paga, più è alto l'ingaggio, maggiore è la loro commissione. E' una cosa molto triste, di cui mi dolgo sinceramente. Questo ed altri cambiamenti hanno reso la vita molto più difficile per i giovani, per quel grande numero di giovani con un enorme talento, che veramente meriterebbero la possibilità di essere ascoltati, ma non riescono ad ottenerla perchè non hanno quel tipo di carisma, di personalità che gli consente di esibirsi ed immediatamente ottenere il “Bravo! Ancora! Ancora!” del pubblico. Non tutti hanno questa capacità istantanea di generare entusiasmo.
E così va a finire che quelli che possiedono questo carisma fanno la carriera dell'agente, e non più viceversa. Nessun manager può creare un artista, mentre un artista può certamente creare un manager. Ma un impresario può aiutare un giovane artista di talento in un modo in cui l'artista stesso non potrà mai fare da solo.
Lei ha suonato in ogni angolo del mondo e ad accoglierla ha trovato tanti pubblici diversi.
In America si possono trovare delle platee meravigliose in grandi città come New York, Boston, Philadelphia, Chicago, San Francisco, Los Angeles, Cleveland, Saint Louis. E in un certo senso si tratta di platee in qualche modo gia' collegate con la musica, che hanno avuto una certa educazione musicale, tramite genitori e nonni. A volte si trovano anche ottime platee di giovani ascoltatori, grazie alle Università .
Le decine di milioni di giovani che vanno all'Università studiano anche musica, teatro e danza, e cominciano anche loro a desiderare di continuare a vivere e sperimentare nelle loro città quello che hanno scoperto durante la loro vita universitaria. In Europa è alquanto diverso. Il fenomeno è diverso in ogni paese. La Svizzera per esempio ha numerosissime platee meravigliose, sia in grandi città che in piccoli paesi. La stessa cosa accade in Olanda.
L'Inghilterra ha un tipo di pubblico che si scalda molto lentamente, ma una volta deciso che l'artista è veramente bravo, gli rimangono fedeli per tutto il resto della sua vita artistica, sia che la singola interpretazione sia buona sia che sia cattiva.
La platee francesi tendono ad essere molto entusiastiche ed a manifestare lo stesso entusiasmo sia nei confronti di grandi artisti che di altri meno capaci. In ogni caso, ci sono platee, come quelle olandesi, svizzere o danesi, e particolarmente alcune in Russia ed in Israele, per le quali la musica non è un evento sociale o un avvenimento a cui partecipare.
La musica è un qualcosa di necessario alla vita così come lo può essere il pane quotidiano. La musica deve essere presente nella loro vita, non potrebbero vivere senza.
Maestro, ci sono persone che piu' di altre hanno lasciato un segno nel corso della sua vita d'artista?
Io sono stato molto fortunato. Non ce n'è stata una sola, ci sono state molte persone. Da bambino lo sono stati tutti i grandi artisti che venivano a San Francisco. A quindici anni poi, cominciai a suonare con il quartetto d'archi di Budapest e divenni molto amico di uno dei suoi componenti. Per non parlare di Pierre Monteux, il direttore.
E le grandi opere che ho ascoltato! Quando avevo solo quindici, sedici, diciassette anni ho avuto l'enorme privilegio di potermi recare alle prove della Symphony, dell'Opera, di essere, in sostanza, parte di tutto quel mondo musicale, con tanti artisti fantastici che venivano per esibirsi. Tutti hanno avuto una influenza su di me! Personalmente posso dire che una delle più importanti influenze musicali nella mia vita è stata rappresentata da Alexander Schneider, Sasha, come lo chiamavamo, il secondo violinista del quartetto di Budapest.
Lui era sempre attivamente preoccupato della qualità dell'esecuzione, sia che suonasse il violino in quartetto, sia in trio, sia nelle registrazioni dei Quartetti di Haydn che dei Walzer di Strauss. Tutte cose che ha fatto in modo egregio.
Fra i suoi amici c'erano molti pittori e scrittori, ha vissuto una vita artistica molto completa ed appagante, credendo fermamente nell'importanza della qualità , nel fatto che non si debba necessariamente fare qualcosa solo in nome del successo che ci può portare. Siamo stati grandi amici l'uno per l'altro per moltissimo tempo, dal 1935 al 1993. Un'amicizia lunghissima.
E poi ci fu Pablo Casals, un vero gigante. Non solo musicalmente e moralmente, ma in tutta la visione che aveva della vita e dell'umanità . Ho imparato anche ascoltando persone come Kreisler e Haifetz, Rubinstein e Horowitz, Piatigorsky e Casals, ascoltando esecuzioni di Leonard Bernstein o Bruno Walter, ascoltando le registrazioni di Toscanini.
Potrei continuare, citando Rudolf Serkin e il Quartetto Busch. Queste sono tutte personalità della storia dell'interpretazione dal 1935 ai giorni nostri, ora che siamo nell'anno 2000, sono tutte parti e particelle della mia memoria e della mia consapevolezza musicale, e tutte hanno lasciato il loro seme.
Che ricordo ha di Pablo Casals?
Casals è stato importante, non solo per ciò che ha fatto, ma per come si accostava all'idea di vivere con la musica, per il modo in cui per lui la musica rappresentava un linguaggio vivente. E nel suo più generale accostarsi alla vita, spicca senz'altro la sua considerazione per gli altri. Casals non era un angelo, non era un uomo senza lati difficili, ma era sempre più gentile e cortese di quanto lei possa immaginare. Era sempre un vero gentiluomo. Sempre. Aveva una grazia tutta sua nel come si rivolgeva la suo prossimo. E questo sia che si trovasse a casa di primi ministri e re, sia che parlasse ad un bambino in strada.
Era anche un uomo molto testardo, che potrebbe addirittura fare apparire la presa di Gibilterra come una cosa da nulla! Era un uomo dalle molte sfaccettature, ma aveva credeva profondamente nella continuazione della verità attraverso la grande musica: per fare della grande musica dovevi tu stesso essere sincero.
Sappiamo bene che nella sua vita d'interprete un ruolo determinante l'ha avuto la musica da camera e diverse sono state le formazioni con cui ha suonato.
Se vuole sapere le persone, i colleghi, i gruppi con cui sono stato associato e che sono stati importanti per me, devo certamente iniziare col menzionare Eugene Istomin e Leonard Rose con cui ho suonato in trio. Ricordo che cominciammo quei trio in un momento in cui non era chic o alla modo suonare musica da camera. Se dei solisti con delle grandi carriere sceglievano di suonare musica da camera, l'opinione pubblica era che evidentemente quell'artista non era veramente in grado di costruirsi una buona carriera! E noi abbiamo fatto si che questo stupido pregiudizio crollasse, ed il più grande complimento che mi è stato fatto è che oggigiorno per qualunque giovane di talento, veramente di talento, suonare musica da camera è parte integrante e fondamentale della sua carriera. Non ci potrebbe essere gratificazione migliore dopo quello che noi ci avventurammo a fare tanti anni fa. Purtroppo quel trio non ebbe mai occasione di esibirsi, perchè morì con la scomparsa di Leonard Rose, che morì tristemente di leucemia. Ma ci sono stati altri amici dopo, che già conoscevo dall'età di 15 anni o giù di lì. Ci fu Yo Yo Ma, che ho ascoltato per la prima volta quando aveva 6 anni. Ci fu Yefin Bromfman, che ho ascoltato quando aveva 14 anni. E poi ancora Jemie Laredo, Mami Ax, che è uno dei più grandi pianisti di oggi. Queste sono tutte persone con cui, nonostante fossi più vecchio di loro, sono riuscito a costruire un'amicizia profonda, e con cui a volte mi è capitato di parlare di musica e anche di poter essere d'aiuto. Sono diventati colleghi, parte della mia voce pubblica, in particolar modo Yo Yo Ma, Emmanuel Ax, Yefin Bromfman, Jamie Laredo e occasionalmente Jimmy Levine. E Sharon Robinson, la moglie di Jamie Laredo, che è una musicista e violoncellista meravigliosa. Ultimamente sono entrato in rapporti d'amicizia anche con il Quartetto d'Archi Emerson. Queste sono persone che si sono unite a me in quelli che si potrebbero chiamare incontri per ascoltare giovani gruppi di musica da camera. Sa, per me questa è una grande opportunità per viaggiare e ascoltare giovani di diversi paesi, come ho fatto in Giappone, alla Canergie Hall, e in Germania e Olanda, e come farò in Inghilterra ed in Svizzera. Questo costante scambio delle mie esperienze e di quelle dei miei colleghi con le menti di giovani artisti, è un qualche cosa di veramente molto, molto speciale.
Maestro Stern, c'è una relazione tra il violino, la musica e l'ebraismo?
L'interprete ebreo è un fenomeno della fine 19°, inizio 20° secolo. Non se ne nessuna ha traccia in precedenza. E' un fenomeno che ha cominciato a verificarsi con la spinta, l'impulso a lasciare il ghetto, i ghetti di molti paesi come la Russia, la Polonia, l'Ungheria, la Francia, l'Inghilterra. Tutti questi paesi avevano un ghetto, che fosse un ghetto vero e proprio o uno sociale o economico. In questi ghetti, la musica ed il talento musicale sono sempre stati molto celebrati. Le danze per i matrimoni, per i Barmitzwas celebrati all'età di 13 anni, la piccola orchestra Klazmer, quelle in cui si suonavano il clarinetto, il violino, il mandolino ed altri strumenti. E' stato facile comprendere che tutto questo avrebbe potuto rappresentare la chiave per uscire dal ghetto, anche quando non ce n'era un'altra. Come è noto, gli ebrei erano banditi da certe occupazioni, non potevano frequentare le università , non potevano intraprendere determinate carriere. E stato solo alla fine del 18° secolo, inizio del 19°, che sono stati accettati in discipline come la medicina, la fisica e così via. Potevano dipingere, scrivere, suonare. In questo modo hanno cominciato a conquistare la loro libertà , un loro riconoscimento al di fuori del piccolo e limitato mondo del ghetto. Oggi come oggi, se ci si guarda intorno, si ha l'impressione che siano gli Asiatici ad emergere in modo così preponderante. Quando parlo di asiatici mi riferisco a cinesi, giapponesi, coreani, e anche a persone originarie di Taiwan, dato che per me Cina e Taiwan sono due realtà molto diverse. Si tratta di popoli molto diversi, ma tutti relegati in una sorta di ghetto. Un ghetto creato dall'economia e in una certa misura anche dalla cultura. E il ghetto in Asia è ancora lì. Comincia lentamente a sgretolarsi grazie all'economia ed alla finanza internazionale, ma è comunque ancora presente. La musica era un'occasione per tutti i giovani di talento per uscire da quello che era sempre stato una sorta di futuro prestabilito. E quando riescono ad esprimere la loro individualità , a diventare individui, riescono anche a portare una sorta di aura di successo alle loro famiglie. Insomma, le ragioni di questo fenomeno sono politiche, sociali ed economiche. E' un po' come se una pentola a pressione che ha racchiuso inciviltà per troppo tempo, è alla fin fine riuscita ad esplodere. E un'esplosione, specie quella di un gruppo di giovani talenti, non può che essere evidente! Credo sia questo quello che è accaduto nell'Europa ebraica centro-orientale a cavallo del 19° e 20° secolo. E' la stessa cosa che è accaduta nel mondo asiatico alla fine della Seconda Guerra Mondiale, intorno al 1945, 1950.
Il Duemila è l'anno del suo ottantesimo compleanno. La sua vita è stata legata indissolubilmente alla musica. Che significato ha questo legame?
Sarebbe molto difficile per me cercare di darle la chiave per aprire le mie porte più intime e svelarle in quale modo la musica ha agito ed agisce su di me e sulla mia vita. Ed il motivo per cui sarebbe difficile è ben riassunto in una frase molto vera di un signore inglese che disse: “Si può descrivere la musica, ma mai spiegarla”.
Ed è proprio questa impossibilità a spiegare la musica,la meraviglia che la circonda, che la rende affascinante ed irresistibile per un artista. Come posso spiegarle cosa si prova nel suonare il concerto per violino di Beethoven? E' uno dei momenti di totale meraviglia e mistero nel mondo della musica. E tu sei lì, sul palcoscenico, parte integrante di un qualcosa totalmente inspiegabile. E' una sensazione che proviene dal più intimo di te stesso. Non sei lì ad ascoltarti mentre suoni il violino per il pubblico, sei solo lì per suonare, per fare musica.
Sei lì a sognare, come se cantassi nella tua mente e suonassi con le tue mani. Ad esempio, nel suonare l'ultimo movimento del concerto per violino di Mendelssohn si prova una sorta di eccitazione. Con l'adagio del concerto per violino di Tchaikowski si prova un senso di desiderio e di malinconia. Le prime 24-36 misure della Sinfonia Concertante per violino, viola e orchestra di Mozart, con le loro semplici note, riescono a dire più sulla vita di quanto non potrei mai dire io con mille parole, nemmeno se fossi il più grande dei poeti. Parla della vita in termini molto semplici. Lo struggimento, il dolore, la speranza: tutto ciò è racchiuso in quelle 24 – 36 battute, che riescono a dire molto di più di un brano letterario o di un lungo poema o di una lunga orazione. E' tutto lì. Ed è li per te, affinchè tu lo possa scoprire e vedere.
Ci sono stati momenti difficili nella mia vita, momenti di infelicità , e allora mi metto lì e suono un po' di Bach, perchè non c'è nulla di così puro e nobile come la musica di questo grande uomo. Non solo credeva così profondamente nella sua religione, ma era anche un prodigio, una meraviglia, un vero mago con le sue idee. Uno dei più grandi geni nella storia del genere umano. Ed il suo credo, la sua purezza, riescono letteralmente a pervaderti quando suoni alcune delle sue opere. C'era senz'altro una ragione per cui Casals al suo risveglio ogni mattina suonava le invenzioni per pianoforte di Bach per mezz'ora, prima di fare qualunque altra cosa, ancora prima di aver preso un caffè o aver fumato la sua pipa. Ogni mattina era una sorta di purificazione della sua anima.
Come posso spiegare cosa si prova quando si suona l'adagio di un trio di Schubert o il suo incredibile adagio dal quintetto per violoncello? Anche qui si ha a che fare con la condizione umana dell'artista con il suo dolore, le sue premure, le sue ansie, le sue battaglie, le sue lotte. Sto usando parole per descrivere l'indescrivibile. Nei moltissimi, nelle migliaia di concerti che ho fatto (non sono certo in grado di dirle un numero, mille, duemila, tremila nessuno li conta!), ci sono stati dei momenti in cui non si è più semplicemente una persona su un palcoscenico. Accade qualcos'altro.
Si diventa parte di un'idea magnifica su come l'uomo potrebbe vivere. Nè io nè nessun altro a questo mondo può spiegare in pochi minuti la meraviglia, la magia, l'intoccabile profondità che c'è nella musica. Tutto ciò che possiamo fare è sentirla, e cercare di farla sentire a chi ci ascolta usando suoni che non sono ingabbiati e limitati dalle parole. Perchè è innegabile che le parole abbiano un limite ben definito. E questo è quanto più vicino posso arrivare nel cercare di spiegarle qual'è la filosofia dell'essere musicista.
(Serena Laudisa)