Scott Henderson Trio, magia al Blue Note di Milano
di Giacomo Liverotti
20 Mar 2023 - Commenti live!
Il ritorno della leggenda della chitarra elettrica fusion Scott Henderson nel tempio della musica jazz di Milano. Al Blue Note il chitarrista si è presentato col suo trio e la chitarrista polacca Lina Mastalska.
Come spiegare chi è Scott Henderson a chi non ne ha mai sentito parlare? Si potrebbe partire dalle sue illustri collaborazioni con il recentemente scomparso Chick Corea, con Jean-Luc Ponty o con Joe Zawinul; oppure forse meglio parlare dei Tribal Tech, il quartetto fusion da lui fondato che a cavallo tra anni ’80 e ’90 ha segnato la storia di questo genere; in realtà, forse la scelta migliore è cominciare dalle radici di Henderson, quelle radici che lui stesso rivendica fiero quando si autodefinisce solo (si fa per dire) “un chitarrista rock-blues”.
Effettivamente, però, nella carriera di Henderson c’è molto di più, e ciò che l’ha reso più famoso è sicuramente il suo continuo ibridare e sconfinare in altri generi, primo tra tutti il jazz. E così nella tecnica e nella storia del chitarrista si delinea un profilo ben chiaro di chitarrista fusion, una fusion che però più che fondere jazz e rock, fonde il jazz con il blues. Proprio questo è il linguaggio che lo ha reso famoso nel mondo e che l’ha portato ad affrontare numerosi tour attraverso tutti i continenti. Oltre a questo, è diventato un punto di riferimento come didatta, sia con i suoi corsi al Musician’s Institute di Los Angeles, sia con i video didattici che ha iniziato a pubblicare negli anni ’80 (ancora in VHS), senza mai fermarsi.
Ora, il sessantottenne torna in Italia per presentare il suo ultimo album, People Mover, uscito nel 2019 e che, causa Covid, è passato un po’ in sordina nel mondo musicale. O forse, come scherza lo stesso chitarrista dal palco del Blue Note a Milano, “perché con più accordi componi, meno soldi fai. Quindi nell’ultimo disco ho messo più accordi possibile”.
Nella serata del 15 Marzo, Henderson e il suo trio hanno tenuto in scacco la sala dello storico locale per più di un’ora, aiutati anche da una presenza femminile, la chitarrista polacca Lina Mastalska , che ha trasformato il trio in una band da 4 elementi per più di metà set. L’inizio non poteva che essere con uno slow blues, quel linguaggio che il chitarrista della Florida non ha mai abbandonato. Tuttavia, fin da subito è stato chiaro che il confine, quella linea che lo separa dal jazz, sarebbe stato oltrepassato più volte, dimostrando in questo modo anche le infinite potenzialità di questa forma musicale, il blues, con più di un secolo sulle spalle, ma sempre in grado di rinnovarsi. Ed è forse proprio questa la chiave di lettura dell’intero concerto e percorso artistico di Henderson: pur sempre blues, ma con la volontà e la capacità di attingere ai generi vicini, innovando continuamente. Il termine “capacità” non è casuale, in quanto tutto lo show dimostra l’incredibile controllo che Henderson ha raggiunto con il suo strumento: la sua Suhr verde acqua viene sfruttata oltre ogni limite, dai bending alle ritmiche, dal sapiente utilizzo della leva vibrato all’estrema nitidezza dei suoni. È un viaggio all’interno dell’universo musicale dell’artista, che non ha paura di sfidare l’ascoltatore con scelte non sempre di facile fruizione. Dopo i primi 2 brani, infatti, Henderson mette in fila 3 o 4 nuove composizioni dall’ultimo album, e in alcuni momenti il concerto risulta forse eccessivamente complesso. Come nel momento di sola improvvisazione tra chitarra e batteria: nonostante l’enorme tecnica sia di Henderson sia del francese Archibald Ligonnière (già nella Richard Bona Band), ci si ritrova catapultati in un mondo che confonde, atterrisce, si allontana molto, forse troppo, da quel blues-rock per cui il chitarrista è famoso. Una musica che richiede attenzione, che costringe a non mettere in sottofondo, ma che proprio per questo rischia di essere troppo pretenziosa e cerebrale.
Sempre da apprezzare, del resto, la ricerca inesausta di Scott Henderson, già leggenda, ma che non ha mai smesso di esplorare le potenzialità del suo strumento e della fusion. Il trio ha già alle spalle diversi tour insieme e, in questo caso, aveva già girato tutta l’Europa con una fitta programmazione di date quasi quotidiane. Tutto ciò traspare dalla grande intesa tra i 4 musicisti sul palco. Il focus è, ovviamente, sulla chitarra di Henderson, sul suo parlare attraverso di lei e raccontare i suoi molti anni di esperienza, senza mai annoiare, proprio come si avesse l’impressione di ascoltare la storia della sua vita, attraverso la sua chitarra. Tuttavia, il chitarrista lascia molto spazio anche agli altri musicisti, come nel magico assolo di basso che ha messo in mostra la sensibilità musicale di Romain Labaye, o nel botta e risposta finale tra le due chitarre (con la Mastalska che si è dedicata alla slide guitar) sulle note di un brano immancabile. Ascoltando il riff storico di Dolemite, infatti, brano conclusivo, ciascun membro del pubblico ha mostrato eccitazione all’idea di ascoltare quello che è diventato il pezzo simbolo del chitarrista.
Mai smettere di muoversi, dunque, potremmo dire: mai smettere di suonare live viaggiando tra i continenti, mai smettere di ricercare nuovi linguaggi e innovare la propria identità; ma mai perdere le radici, mai scordarsi di quel blues che ci ha regalato e può regalare ancora molto e che, quando è suonato con l’esperienza e la passione di una leggenda della chitarra, non smette di emozionare. Anche quando è “contaminato”, come quella Dolemite che ha reso famoso il suo compositore: blues borderline che continua a rinnovarsi, ma al contempo riporta sempre indietro.