Samuel Beckett fondatore del Teatro dell’assurdo
di Alberto Pellegrino
26 Dic 2019 - Approfondimenti teatro
Il saggio di Alberto Pellegrino su Samuel Beckett in occasione del 70° anniversario della commedia Aspettango Godot.
Samuel Beckett è uno dei massimi autori della letteratura mondiale contemporanea non solo per i suoi tre romanzi (Molloy, Malone muore, L’innominabile), ma soprattutto per le quattro opere più rappresentative del suo teatro (Aspettando Godot, Finale di partita, L’ultimo nastro di Krapp, Giorni felici), dei capolavori che fanno di Beckett il fondatore del “teatro dell’assurdo” e, unitamente a Bertolt Brecht, un fondamentale innovatore del teatro del secondo Novecento. Nel 2019 ricorrono tre date significative: nel 1949 finisce Beckett di scrivere il suo capolavoro Aspettando Godot; nel 1969 riceve il Premio Nobel per la letteratura; nel 1989 ha termine la sua vita terrena.
Dopo la laurea conseguita nel 1927 al Trinity College di Dublino, Beckett nel 1928 entra come lettore d’inglese nella prestigiosa Scuola Normale Superiore di Parigi e nel 1937 si stabilisce definitivamente nella capitale francese, dove si trova allo scoppio della seconda guerra mondiale e, nonostante la sua decisa opposizione al nazismo, rimane anche durante l’occupazione tedesca come cittadino dell’Eire, entrando a far parte attiva di un gruppo della Resistenza.
Nel secondo dopoguerra Beckett produce il meglio della sua produzione letteraria, scrivendo in francese nella convinzione che esprimersi in una lingua straniera assicuri un costante sforzo del pensiero e una dolorosa lotta con i significati della lingua stessa. È sorprendente come Beckett sia sempre rimasto un uomo equilibrato sereno nonostante i suoi personaggi siano tormentati dall’angoscia, dall’inquietudine, da sofferenze spinte fino al limite estremo della sopportazione. Con estrema coerenza egli ha continuato per tutta la vita a portare avanti la sua esplorazione alla ricerca di dare una risposta alle fondamentali domande sul significato della vita e sulle molte sfaccettature della personalità umana. Quando viene interrogato sui significati del suo capolavoro, Beckett è solito rispondere “Se lo sapessi, lo avrei detto nella commedia” e questo costituisce un avvertimento per quanti si avvicinano alle sue commedie con l’intenzione di scoprire un esplicito significato, di scoprire la chiave per una loro esatta e definitiva spiegazione.
Il senso del teatro in Beckett
Nel 1952 viene pubblicata la commedia Aspettando Godot (scritta nel 1948/49) che va in scena nel 1953 nel Théatre Babylone di Parigi e questa misteriosa e tragica farsa, nella quale non accade nulla, diviene rapidamente uno straordinario successo, tanto da essere rappresentata in tutto il mondo occidentale e ed essere vista da oltre un milione di spettatori.
Lo scopo della commedia è principalmente quello di comunicare il senso del mistero, dello smarrimento, dell’ansia esistenziale dell’autore e la sua disperazione di fronte all’incapacità di scoprire il senso dell’esistenza. Un elemento costitutivo della commedia è un’incertezza determinata da un continuo riflusso che parte dalla speranza di scoprire l’identità di Godot per arrivare a una ricorrente delusione.
È inutile cercare di dare un preciso significato a una commedia anticonvenzionale, che non può essere collocata nell’ambito di un teatro “normale” basato su una trama che possa essere riassunta sotto forma di narrazione. La stessa ricerca di indizi segreti e sotterranei è destinata al fallimento, perché la commedia non ha un andamento lineare ma riflette l’intuizione della condizione umana, in quanto l’autore usa un metodo “polifonico”, mettendo il pubblico di fronte a una struttura di situazioni e immagini che si compenetrano a vicenda e devono essere comprese nella loro totalità. Bisogna avvicinarsi con cautela a tutte le commedie di Beckett senza cercare una spiegazione semplicistica dei loro significati, oppure cercare d’isolare i singoli temi per sottoporli a un minuzioso esame per individuarne gli elementi costitutivi. Potrebbe, invece, essere utile non tanto cercare di scoprire le risposte alle sue domande, quanto piuttosto individuare quali siano le domande che egli si pone.
“Aspettando Godot”, capolavoro del teatro dell’assurdo
Beckett, insieme alla sua compagna, aveva partecipato alla resistenza nel nord della Francia ed era stato a lungo ricercato dalla Gestapo, per cui quando scrive nel 1948/49 questa sua pièce modella ambientazioni e identità dei personaggi secondo il suo stato d’animo di fronte agli orrori e alle devastazioni della guerra. L’autore si fa interprete di un’umanità in rovina e rappresenta con pietà e ironia le esperienze maturate attraverso la crudeltà e la violenza degli eventi bellici.
La sua commedia esprime in modo nuovo e originale il sentimento dell’attesa, interpretando quella condizione d’incertezza e scetticismo diffuso negli anni Cinquanta, quando le ideologie ottimistiche proposte nella prima metà del Novecento si sono dimostrate una mistificazione. I personaggi di Aspettando Godot sono delle creature che cercano in qualche modo di dare un senso al rapporto con gli altri e alla loro esistenza nel deserto, che non è solo un’ambientazione geografica ma è anche una metafora esistenziale, perché si propone di rappresentare in tutto il suo spessore la confusione e il disorientamento diffusi nella società, arrivando a mettere in discussione l’identità dei singoli personaggi che soffrono d’isolamento e della mancanza di punti di riferimento e che rappresentano, in qualche modo, la “crudeltà dell’angoscia”.
La coppia di vagabondi, protagonisti della commedia, vive una scissione interiore tra la volontà di fuga dalla società e l’impossibilità di vivere materialmente e spiritualmente al di fuori dal consorzio umano e questa loro condizione esistenziale è rappresentata anche la livello spaziale, essendo collocata in un deserto che diventa il luogo della paura, della minaccia, della fuga della perdita di sé. Del resto, la stessa struttura “concentrazionaria”, le stesse dinamiche mentali di tipo schizoide e paranoico ritroviamo nella commedia “gemella” Finale di partita, dove lo spazio chiuso di un bunker rappresenta, oltre che una fuga dalla realtà individuale, anche una fuga dall’inferno del mondo esterno.
In Aspettando Godot non si racconta una storia ma si presenta una situazione statica e terribile, perché non apparentemente non succede nulla, non arriva nessuno e nessuno parte: nel primo atto, in una strada di campagna e ai piedi di un albero, i due vagabondi Valdimiro ed Estragone aspettano che arrivi un individuo chiamato Godot con il quale credono di avere un appuntamento, ma alla fine arriva un ragazzo con un messaggio, nel quale si dice che egli non può venire ma che verrà certamente domani, per cui i due decidono di pazientare. Nel secondo atto lo stesso ragazzo porta un identico messaggio anche se vi sono delle situazione diverse: i due vagabondi incontrano un’altra coppia di personaggi, Pozzo e Lucky, che sono il padrone e il servo. Questi due soggetti hanno anch’essi delle personalità complementari: il primo è ricco, potente, sicuro di sé, ama fare il Maestro, rappresenta l’uomo di mondo che mostra un suo imprevidente ottimismo e un illusorio sentimento di potenza; Lucky porta i pesanti bagagli del padrone e la frusta con la quale lo picchia, ma gli a suo modo affezionato, perché gli ha insegnati i valori della bellezza, della grazia e della verità.
Pozzo e Lucky rappresentano il dissidio tra l’anima e il corpo, la componente materiale e spirituale dell’uomo, l’intelligenza sottomessa agli appetiti materiali del corpo. Ora che Lucky ha perduto vigore e si è indebolito, il suo padrone vuole venderlo al mercato, ma nel secondo atto, quando ricompaiono ancora insieme, Pozzo è diventato cieco e Lucky muto, per cui sono dipendenti l’uno dall’altro, indissolubilmente legati e costretti a viaggiare senza una metà precisa secondo la volontà di Pozzo, come Valdimiro costringe Estragone ad aspettare Godot.
Nella commedia si riscontrano evidenti richiami alle tradizioni del varietà e del circo: Estragone perde speso i pantaloni; in una lunga sequenza c’è un gag con tre cappelli che sono continuamente messi tolti creando una notevole confusione; vi sono numerose cadute all’indietro; i personaggi formano due coppie di comici che interpretano la tragedia della vita. È poi evidente che la coppia dei protagonisti presenta delle personalità complementari: Vladimiro è un uomo pratico convinto che prima o poi Godot arriverà e cambierà la loro situazione, non vuol sentir parlare di sogni; al contrario Estragone è pieno di fantasia e un sognatore, afferma di essere stato un poeta, ama raccontare strane storie, è volubile, dimentica facilmente il passato, è gracile e indifeso e ogni notte sogna di essere picchiato da misteriosi sconosciuti, mentre Vladimiro lo protegge, gli canta la ninna nanna per farlo addormentare, lo copre col suo cappotto. La loro diversità è causa di continui litigi e i due manifestano spesso il desiderio di separarsi ma, a causa delle loro nature complementari sono dipendenti l’uno dall’altro e quindi costretti a rimanere insieme.
Il tema fondamentale della commedia è l’attesa da parte di Godot di un evento che possa costituire un atto essenziale e un aspetto caratteristico della condizione umana: per tutta la vita aspettiamo qualcuno o qualcosa e Godot raffigura l’oggetto della nostra attesa che può essere una persona, una cosa, un evento significativo. In questo modo noi sperimentiamo lo scorrere del tempo: se siamo attivi abbiamo la tendenza a dimenticare il fluire delle ore, dei giorni e degli anni; se abbiamo un atteggiamento passivo nel confronto del tempo, non possiamo ugualmente sottrarci al passare delle ore e dei giorni, al domani e allo ieri. Soggetti a questa “legge” del tempo che ci modifica in ogni momento della nostra vita, non siamo mai identici a noi stessi: Godot, che è l’oggetto del desiderio per Vladimiro ed Estragone, appare sempre al di fuori delle loro possibilità; la stessa coppia di vagabondi si trasforma da un giorno all’altro e, quando Pozzo e Lucky compaiono per la prima volta, è difficile riconoscerli tanto sono cambiati rispetto all’ultima volta che Valdimiro ed Estragone li hanno incontrati e, anche nel secondo atto, Pozzo e Lucky appaiono crudelmente deformati dal passare del tempo. Aspettare significa sperimentare l’azione del tempo che impone un costante cambiamento ma, poiché non accade nulla di reale, lo stesso cambiamento si rivela un illusione: l’incessante attività del tempo non fa altro che distruggere se stessa ed è pertanto vuota e inutile, più le cose cambiamo più restano identiche a causa della terribile immobilità del mondo.
Vladimiro ed Estragone nutrono una speranza: aspettano che l’arrivo di Godot fermi lo scorrere del tempo, sperano di essere salvati dalla illusione del tempo e di essere salvati dalla loro condizione di vagabondi senza un focolare e di possedere finalmente una casa; per questo aspettano anche se il loro appuntamento con Godot non sia affatto sicuro, tanto più Vladimiro non ricorda più nemmeno che cosa gli abbia chiesto.
Una volta, parlando di Aspettando Godot, Beckett ha citato una frase di Sant’Agostino “Non disperate mai: uno dei ladroni fu salvato. Non presumere niente: uno dei ladroni fu dannato”: non deve quindi meravigliare se il tema dei due ladroni sulla croce, della loro incerta speranza, del dono fortuito della grazia sia presente nella commedia, dove Vladimiro parla due volte di questi due personaggi. Probabilmente Beckett è affascinato da questa idea: dei milioni di criminali giustiziati nel corso della storia, solo due hanno avuto la possibilità di salvarsi in punto di morte: quello che ha ingiuriato Gesù si è dannato; quello che si è ravveduto si è salvato. La grazia scende su uno dei due senza una spiegazione logica.
Allo stesso modo Godot concede casualmente la grazia e la sua venuta potrà essere fonte di gioia o di dannazione, perché il bene della grazia trascende la comprensione umana e la salvezza deriva dalla casualità, poiché dipende da un dio caratterizzato da una divina apatia e afasia, che non comunica con gli umani, che salva o condanna per ragioni a noi sconosciute, per cui l’umanità si divide in chi si salverà e chi sarà dannato.
Il tema della salvezza per intercessione della grazia è presente nel testo, ma sarebbe una forzatura attribuire uno spirito cristiano o comunque religioso alla commedia, le cui caratteristiche essenziali sono la costante incertezza in cui vivono i due vagabondi, l’inattendibilità di Godot e l’inutilità della speranza riposta in lui. La psicologa Eva Metman ha detto che “la funzione di Godot sembra essere quella di mantenere inconsapevoli quelli che dipendono da lui” e la speranza che egli possa arrivare costituisce l’ultima illusione che trattiene Vladimiro ed Estragone dal suicidio, che nasconde loro tutto l’orrore della condizione umana.
Nel cercare di analizzare Aspettando Godot, bisogna evitare la tentazione di identificare la visione di Beckett con una specifica filosofia, perché la ricchezza di questa commedia sta nel fatto che essa consente diverse interpretazioni filosofiche, psicologiche, religiose, ma che essa soprattutto affronta in forma poetica l’immobilità del tempo, il mistero dell’esistenza e della trascendenza, la stabilità e il cambiamento, la necessità e l’assurdo.
Finale di partita
Complementare alla commedia precedente appare Finale di partita, la cui azione si svolge in un interno claustrofobico, una stanza disadorna con due piccole finestre che dovrebbero affacciarsi una sulla campagna e l’altra sul mare. Ma il mondo esterno è morto, perché una catastrofe planetaria ha distrutto tutti gli essere viventi. All’interno si trovano quattro individui che si suppone siano gli unici sopravvissuti. Hamm è un vecchio cieco e paralizzato che siede su una sedia a rotelle, è un uomo egoista, sensuale e prepotente che vede attraverso gli occhi del suo servitore. Clov è il servo che odia il padrone, ma è costretto a ubbidire ai suoi ordini, perché Hamm che lo ha preso con sé fa bambino, salvandolo dalla morte. Nella stanza vi sono anche Nagg e Nell, i due genitori di Hamm che vivono chiusi dentro due bidoni della spazzatura, perché hanno perduto le gambe a causa di un incidente mentre andavano in bicicletta e il figlio li odia, perché sono imbecilli, meschini e vergognosamente sentimentali.
Hamm è oppresso da un forte senso di colpa, perché avrebbe potuto salvare numerose persone che gli chiedevano aiuto ed egli stesso racconta come una catastrofe abbia causato la morte di un grande numero di individui e come abbia portato con sé solo il piccolo Clov. Ora la coppia è costretta a vivere insieme: se Clov dovesse lasciare il padrone, questi sarebbe condannato a morire, non avendo nessuno in grado di nutrirlo; lo stesso Clov, qualora dovesse uscire fuori dalla casa, sarebbe condannato a morire, dato che le provviste di cibo accumulate da Hamm sono le uniche esistenti. Qualora Clov trovasse la forza di abbandonare Hamm, non solo lo ucciderà ma sarà costretto a suicidarsi, riuscendo a fare quello che Vladimiro ed Estragone non sono mai riusciti a fare. L’ultima volta che Clov ha guardato fuori dalla finestra con il cannocchiale, ha creduto di vedere un bambino che si sta aggirando per la desolata pianura e questo potrebbe essere un segno che là fuori la vita in qualche modo continua ad esistere. Questo fa decidere il servo ad andare via e, mentre Hamm declama un ultimo monologo di ricordi e di compianto su se stesso, Clov si presenta vestito e pronto alla partenza, ma si ferma ad ascoltare il discorso di Hamm e rimane immobile sulla scena, lasciando nello spettatore il dubbio se andrà via veramente.
L’importanza del teatro di Beckett
Le commedie di Beckett si possono definire un “grande monodramma” sui sentimenti, gli egoismi, i desideri dell’umanità, sul senso dell’invecchiamento e della morte, sulla possibile autodistruzione del mondo e dell’intera umanità, sui rapporti e la difficile coesistenza tra le persone, sulle contraddizioni esistenti all’interno di un solo personalità quando questa entra in conflitto con se stessa, con le memorie nascoste nel subcosciente, con il rapporto tra l’io ragione e l’io sentimento. Questi personaggi sono continuamente in lotta tra loro, vorrebbero lasciarsi ma continuano a dipendere l’uno dall’altro, legati da un stretto rapporto di interdipendenza.
Tutto questo avviene perché i testi di Beckett sono delle esche lanciate allo spettatore per stabilire un collegamento tra la scena e il mondo esterno, per stabilire un rapporto tra la realtà della finzione e la realtà dell’esistenza. Con l’abbattimento della “quarta parete” l’autore crea un gioco degli specchi, per cui le due posizioni del teatro e della vita, che interagiscono secondo un rapporto ambiguo, creano la suggestione che il teatro sia parte della vita, ma che anche la vita possa essere parte del teatro. Attraverso questo gioco Beckett trasmette allo spettatore la consapevolezza di essere un osservatore-osservato, costringendo il pubblico ad essere compartecipe della realtà che si sta svolgendo sulla scena.
Beckett stravolge il tradizionale rapporto pubblico-scena, apre lo spazio chiuso del palcoscenico per includere la platea nella rappresentazione. Quando Clov, in Finale di partita, punta il cannocchiale sulla platea e dice “vedo…una moltitudine di persone…fuori di sé dalla gioia”, si rivolge allo spettatore, che fino a quel momento pensava di essere in una condizione di superiorità tanto da giudicare il personaggio sulla scena o di annoiarsi per le sue battute, ponendolo al centro di una scena alternativa, perché una volta abbattuta la “quarta parete” il pubblico diventa oggetto di osservazione senza che gli sia stata chiesta alcuna autorizzazione; viene cooptato come attore per renderlo consapevole del gioco che si sta svolgendo sul palcoscenico: è come se Beckett dicesse “smettiamola di giocare” e “smettiamola di recitare, “facciamola finita con questa farsa della rappresentazione teatrale e della vita”.
Nelle opere di Beckett assume una importanza fondamentale il testo, perché nel Teatro dell’assurdo il testo diventa lo specchio dell’esistenza e lo spettatore non è in grado di emettere un giudizio per la mancanza di dati utili e di punti di riferimento, per la mancanza di precise coordinate spazio-temporali e logiche. Mediante la rivoluzione del concetto di trama e di linguaggio, si rivoluziona anche il rapporto tra testo e fruitore che, per mancanza di tematiche e linguaggi tradizionali, viene a trovarsi in una posizione non convenzionale, nella quale non riconosce il ruolo degli attori ma anche il suo ruolo. Lo spettatore si pone allora la domanda sia di quello che sta accadendo sulla scena, sia di quello che sta accadendo in platea. Dapprima egli si chiede chi siano i personaggi, ma quando si accorge che essi fungono da specchio riflettente, finisce per interrogarsi su se stesso, mettendo in stretta relazione la sua personale esistenza con quella dei personaggi sulla scena. Questo meccanismo coinvolge lo spettatore, non lo lascia indifferente anche quando s’illude di potersi estraniare, perché è proprio l’effetto dello specchio esistenziale a favorire il processo d’identificazione fra la realtà della scena e la realtà del pubblico. Martin Esslin, che il più importante studioso del Teatro dell’assurdo, a proposito delle commedie di Beckett ha scritto: “L’esperienza nelle commedie di Beckett…rivelano la provvisorietà e la fugacità del tempo; il senso della tragica difficoltà di cogliere se stessi nell’incessante processo di rinnovamento e di distruzione che accompagna il cambiamento; la difficoltà della comunicazione tra gli esseri umani; la ricerca interminabile della realtà in un mondo in cui tutto è incerto e dove la frontiera tra sogno e realtà è sempre più instabile; la tragica natura dell’amore e l’illusione dell’amicizia”.