Romano Folicaldi. Un’autobiografia per immagini
di Alberto Pellegrino
29 Ott 2015 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive
Romano Folicaldi (1931) arriva a Fermo all’inizio degli anni Sessanta come primario del reparto di ortopedia dell’Ospedale Civile e nello stesso periodo, già appassionato di fotografia, entra a parte attiva del Centro per la Cultura della Fotografia di Luigi Crocenzi, importante autore neorealista e teorizzatore del racconto fotografico. Folicaldi si afferma ben presto come uno dei più interessanti a creativi fotografi italiani, partecipa a numerose mostre nazionali, espone in diverse personali a Roma, Milano, Fermo, Macerata, San Severino Marche, pubblica sue opere su quotidiani, riviste e antologie scolastiche. Per i meriti acquisiti nel campo della fotografia gli viene assegnato a Spilimbergo nel 2011 il Premio Friuli Venezia Giulia per un Autore italiano, giunto alla sua XXV edizione. Come autore Romano Folicaldi si è sempre mosso su due personali direttrici: la rappresentazione in chiave lirico-realista del paesaggio inteso come metafora del complesso mistero dell’umana esistenza, in quanto segnato da un costante rapporto con la presenza umana che ha prodotto una continua antropizzazione della natura; un’attenta e partecipata osservazione e rappresentazione di quella vita quotidiana che pulsa nelle segrete stanze della sua casa, nelle strade e nelle piazze delle città e dei paesi che ha scelto come soggetto narrativo. Infatti, una “costante” della fotografia di Folicaldi è quella della narrazione che può racchiudersi sinteticamente in una sola immagine o può svilupparsi attraverso più immagini coordinate secondo precise sequenze fotografiche (è sufficiente citare per tutti i racconti Quando i nostri figli erano piccoli; Il tempo, i riti, le immagini del cristo Morto di Monterubbiano; La Cavalcata dell’Assunta. Alba di macchine, lavoro, sabbia).
Giunto in una fase di bilanci esistenziali, Romano Folicaldi ha avvertito il bisogno di mettere insieme cinque “ricordi fotografici” che sono altrettanti racconti in un piccolo ma prezioso libriccino intitolato, parafrasando Enzo Iannacci, A tutti quelli che…se non ci fossero mica stati loro, queste fotografie non le avrei fatte…oh Yes! (Associazione Altidona Belvedere, Fototeca Provinciale di Fermo, 2015). Folicaldi scrive: “Quello che le fotografie mostrano è il momento conclusivo di un rapporto cominciato molto tempo prima, magari con persone differenti che, tutte insieme, di queste hanno costituito la motivazione, attraverso i racconti che erano venuti prima di quel momento, l’esser stati portati fin su quel luogo, tanto da avere l’impressione che, di fronte a situazione di grande impatto anche visivo, l’unica cosa che ci mancava era quella di qualcuno che schiacciasse il bottone dell’otturatore”. Nella sua naturale modestia Romano tende a sminuire l’importanza determinante del suo essere fotografo, ma poi rivela il suo spessore culturale quando comincia a citare autori e narratori legati alla sua memoria e alla sua formazione: Robert Capa, Henry Cartier-Bresson, George Orwell (Omaggio ala Catalogna), James Agee e Walker Evans (Sia Lode a Uomini di Fama), Woody Guthrie (Una Casa di Terra), l’amico Luigi Crocenzi di Conversazione in Sicilia, Orhan Pamuk (Istanbul), Minika Bulaj (Genti di Dio), Ugo Mulas e Roman Vishniac.
Il primo ricordo è legato a uno dei più bei racconti di Folicaldi, una narrazione per immagini dal sapore elegiaco costruita intorno alla statua di Giacomo Leopardi (Odoardo Tabacchi, Fermo, 1874), un monumento che prende vita e diventa poesia iconica attraverso magiche atmosfere notturne impregnate di solitudine, oppure nella diurna indifferenza degli adulti e il festoso giocare dei bambini nella piazzetta illuminata da un “taglio” di luce solare.
Nel racconto Giuseppe Arimathea Dramatic Factory Folicaldi documenta e fissa la memoria storica del lavoro fatto da due scrittori firmani, Sandro Del Zozzo e Luigi Maria Musatti, che hanno presentato in forma di dramma nel ciclo I Luoghi, La Memoria le vicende di Oliverotto, di Ludovico Euffreducci, del condottiero Saporoso Matteucci e del Pittore Jacobello del Fiore che hanno segnato la vita politica, artistica e culturale della città di Fermo. Di quella intensa attività letteraria e teatrale, oltre ai tre volumi Poesia, Teatro, Pagine di Diario di Del Zozzo, rimangono le immagini di Romano a documentare il lavoro di laboratorio e alcune rappresentazioni teatrali come gli scatti eseguiti durante le prove di Due Drammi Celtici di Yeats, immagini che colgono l’effimera vita di una rappresentazione teatrale per fissare nella memoria collettiva quel particolare momento di magia artistica.
In Romano Folicaldi anche lavori di pura documentazione diventano racconto fotografico imbevuto di significati più o meno nascosti come nel caso di Momenti del restauro di Palazzo Buonaccorsi a Macerata, dove un passato di grande bellezza e spessore culturale sembra riprendere vita sotto le mani di abili artigiani e restauratori, attraverso le immagini suggestive di Romano. Ancora immagini che diventano storia nella loro assoluta originalità e unicità sono quelle che formano l’inedito racconto nato intorno all’Atelier Le Corbusier fondato nel 1970 in un vecchio edificio nel Sestiere Canaregio, Fondamenta, Parochia San Giobbe, vulgo Sant’Agiopo, dove si era insediato un gruppo di giovani architetti per rendere esecutivo il progetto generale che Le Corbusier aveva redatto per la costrizione del Nuovo Ospedale di Venezia per conto degli Ospedali Civili Riuniti. Quel progetto non è stato mai realizzato e nonostante gli sforzi di quei giovani progettisti “l’ospedale avrebbe finito per essere inghiottito nella laguna come era accaduto ai progetti di Frank Lloyd Wright e di Louis Kanh…Timidezza, gelosia, impotenza, mediocrità…poco importa: Era andata perduta una magnifica opportunità per Venezia e per il mondo” (Josè Oubrerie). A ricordare quella straordinaria avventura creativa rimangono soltanto le fotografie che Romano Folicaldi ebbe la fortuna di scattare l’11 maggio 1970 accompagnato dall’arch. Giuliano Gresleri.
Siamo giunti al quinto e ultimo “ricordo” intitolato Le Valli di Comacchio, magico luogo della memoria legato ai racconti materni pari per fascino al Mar dei Sargassi percorso dalle salgariane Tigri della Malesia. In questo intreccio di canali, dove il mare s’insinua tra la costa emiliano- romagnola e la costa veneta, Folicaldi si muove con la sua macchina fotografica tra barche e poveri capanni di canne di cacciatori e pescatori, tra acquitrini e piccole isole segnate dalla presenza dell’uomo che un tempo le abitava in case ormai ridotte a scheletri di pietra. Qui siamo lontani dalla fascinosa presenza del mare nella laguna di Venezia, qui il paesaggio è dominato da cortine di nebbia, dove uomini e cose emergono e si perdono come fantasmi ed anche quando la prua di una barca sembra puntare verso l’alto mare una barriera di nebbia sembra voler nascondere l’eterno mistero dell’infinito.