Il ritorno di Cristiano De Andre’ con un disco importante
di Alberto Pellegrino
9 Gen 2015 - Dischi
Cristiano De André è sempre stato un cantautore di buon livello, ma ha dovuto portare costantemente il peso di un cognome che schiaccerebbe qualsiasi autore che voglia confrontarsi con il grande Fabrizio, figuriamoci quanto sia stato pesante il confronto con un padre che diventa per Cristiano quasi inevitabile, per cui è stato l’unico figlio d’arte a non godere di privilegi e d’infinite aperture di credito che altri hanno facilmente ereditato pur non avendo il talento paterno. La sua carriera ha sempre inciampato su questo giudizio pregiudiziale: “E’ bravo ma Fabrizio era un’altra cosa”. Questa condizione esistenziale e artistica ha pesato notevolmente a livello umano e professionale su Cristiano creandogli molti problemi, nonostante egli sia un ottimo musicista e compositore. Invece il confronto tra padre e figlio andrebbe evitato (tralasciando che Fabrizio ha influenzato molti autori italiani), perché i due hanno una diversa personalità e si rifanno a un differente contesto culturale: Fabrizio ha sempre fatto riferimento ai cantautori francesi alla Brassens e ai menestrelli americani alla Dylan, mentre Cristiano guarda con maggiore attenzione per la musica statunitense degli anni Ottanta/Novanta. Per questa serie di considerazioni il talento di Cristiano è stato mortificato con il risultato di rallentare la sua produzione artistica, considerando che il suo penultimo disco è uscito nel 2003. Finalmente nel 2013 l’autore ha rotto questo lungo e pesante silenzio con l’uscita del disco Come in cielo così in terra, che nel settembre 2014 è stato riproposto dopo il successo avuto dall’autore con i due brani presentati all’ultimo Festival di Sanremo: Il cielo è vuoto e Invisibili, al quale è stato assegnato il Premio della critica.
Finalmente Cristiano mostra tutto il suo talento di cavallo di razza per prima cosa sotto il profilo musicale con brani coinvolgenti, con arrangiamenti raffinati, dove a volte il suo violino gareggia in bravura con la chitarra elettrica di Corrado Rustici e con l’intero complesso musicale finalmente all’altezza di composizioni interpretate con sentimento e spessore drammatico. Cristiano anche nei testi mostra una raggiunta maturità pur conservando uno spirito profondamente inquieto, attento non solo alla sua condizione personale che mette costantemente in gioco, ma anche alla situazione generale del nostro Paese attanagliato dalla crisi politico-economica e soprattutto afflitto da un grave decadimento morale che sta minacciando e corrodendo le nostre vite individuali e il nostro stare insieme. Cristiano è perfettamente consapevole di questa situazione quando dichiara che “La musica è solo un filo conduttore, un mezzo per arrivare agli altri. La vera discriminante sta nel fatto che bisogna fare politica nel momento in cui serve per riuscire a smuovere le coscienze…il disco è profondamente politico, anche se apartitico…in un momento in cui avevo bisogno di mostrare il mio disappunto per la situazione attuale cui ci hanno portato quelli che tengono il potere…spero di coinvolgere anche gli altri. Bisogna ritornare nelle piazze per farci sentire…Torniamo a credere in noi stessi, senza delegare, senza svilirci…Ricominciamo a parlare guardarci negli occhi”. A causa di questo rinnovato impegno sociale, ci troviamo di fronte a un album intenso e vissuto anche sulla pelle dell’autore, che segna una svolta nel suo percorso artistico, sia sotto il profilo musicale sia per quanto riguarda i testi che hanno finalmente raggiunto un pieno spessore poetico, avvalendosi del contributo di autori di valore come Oliviero Malaspina e Luciano Luisi.
L’impegno traspare fin dal primo brano Non è una favola che, a una prima lettura, può sembrare un’elegia d’amore, mentre è in realtà un’analisi della realtà non confortante che ci circonda, ma con la quale dobbiamo confrontarci. Disegni nel vento e Sangue del mio sangue sono due canzoni molto personali che affrontano il tema del rapporto padre-figli, delle difficoltà di essere padre e del fatto di vedere i figli crescere e cambiare accanto a noi, per cui bisogna accettare la fatica di mantenere una profonda sintonia con loro. Il mio essere buono e Ingenuo e romantico sono due composizioni a carattere autobiografico, nelle quali l’autore espone le proprie debolezze e insicurezze, la lotta contro un’innata timidezza, la sofferenza per la lontananza del padre, la ricerca dell’amore che ha anche risvolti dolorosi, per cui a volte si rinuncia ad amare, mentre l’amore è un sentimento vero e fondamentale per la vita di ciascuno. Cristiano ha inoltre il coraggio di inserire nel disco un brano “maledetto” come Il vento soffierà, canzone di Bertrand Cantat divenuto tristemente famoso per avere ucciso nel 2003 la sua compagna Maria Trintignant, un brano che De André interpreta come il segnale di una società ostile e violenta, nella quale si diffondono inquietudine e incertezza, ma dove ci sono anche dei segnali positivi.
Vi sono poi i brani più impegnati sul piano esistenziale e politico. Vivere è una canzone dove si respira aria anarchica di famiglia e dove affronta il tema della sofferenza esistenziale, del continuo confronto con la realtà, mentre “sarebbe meglio vivere/con le certezze degli illusi/con le bellezze dei sognatori”, ma la vita è un peso che ti seguirà sempre “con tutti i sogni che scorderai/con tutti i segni che porterai”, anche se “vivere in fondo è un gioco complice/essere demoni e angeli/per la febbre di essere liberi”. La stanchezza denuncia l’incomunicabilità tra esseri umani e tra classi sociali, esprime il rifiuto di un mondo nel quale la “gente conta solo se hai i contanti/compra tutto e non ha niente/vuole solo apparire”. La bambola nella discarica (parole di Cristiano e Oliviero Malaspina, musica di Corrado Rustici) è declamata da Cristiano con il solo accompagnamento orchestrale che fa da colonna sonora, come se il pessimismo di fondo del testo non renda possibile nemmeno la leggerezza del canto. La bambola della canzone rappresenta tutte quelle donne che sono disposte a vendersi per il successo nello spettacolo, per avere un capo griffato, per il potere e la ricchezza, senza avere nemmeno la dignità delle prostitute di un tempo che si vendevano sospinte dalla miseria; questo meretricio fisico e intellettuale, dal quale non sono esenti gli uomini, finirà per trascinare l’intera società in una “discarica” d’immoralità. Credici è un’invettiva politica contro la società dominata dalla cultura televisiva, contro il mondo del potere, contro la chiesa che sta tradendo la sua missione, contro le mafie di ogni tipo e colore, per chiudere con un invito alla speranza perché, quanti oggi sembrano dei vincitori, saranno invece banditi dalla storia, mentre noi “saremo tutti insieme/in una corsa contro il sole/con la forza e l’emozione/in un abbraccio di parole”.