Ricordo di Pier Paolo Pasolini nella fotografia e nel fumetto
di Alberto Pellegrino
27 Mar 2022 - Arti Visive, Fumetti
Pier Paolo Pasolini con il suo “pessimismo dell’intelligenza” ha sempre mostrato un rigoroso impegno civile, battendosi con passione contro quel genocidio consumistico che stava provocando un mutamento antropologico e una impietosa omologazione culturale soprattutto a danno di una classe sociale che stava perdendo le sue radici contadine e proletarie, la sua stessa memoria storica. Per onorare il centenario della sua nascita, dedicheremo a Pasolini una serie di interventi di vari nostri collaboratori cominciando con tre servizi di Pellegrino che non riguarderanno la narrativa e la poesia, ma al rapporto di questo autore con i grandi mezzi comunicazione come il cinema e il teatro. Iniziamo con questo articolo che analizza la presenza di Pasolini nel mondo della fotografia e nel fumetto.
Mario Dondero e Pasolini
Pier Paolo Pasolini, nella sua molteplice attività, ha sempre privilegiato il cinema rispetto alla fotografia che ha al massimo usato come “taccuino di appunti” per i suoi film, ma ha sempre accettato di farsi fotografare soprattutto quando a farlo sono stati dei grandi fotografi. È il caso di Mario Dondero, uno dei più grandi fotoreporter e narratori per immagini del secondo Novecento, il quale ha dedicato a Pasolini una serie di importanti servizi. Mario Dondero è stato un fotografo di scuola “francese” che si è impregnato a documentare lo scrittore e il suo entourage con la piena consapevolezza che quelle sue immagini avrebbero acquistato una notevole rilevanza storica. Dondero, sulla scia di Cartier-Bresson, ha un approccio geniale al ritratto che deve saper cogliere il momento di massima espressività e forza semiotica del soggetto ripreso in quell’attimo di tensione e di postura capace di superare la dimensione realistica per rappresentarlo come sospeso nel suo personale “mistero”. Grazie a queste sue doti, Dondero non solo ci ha lasciato alcuni dei ritratti più belli e intensi di Pasolini, ma anche quelli di Maria Callas, Elsa Morante, Alberto Moravia, Enzo Siciliano, Paolo Volponi e soprattutto Laura Betti, compagna e musa ispiratrice dell’artista per una vita intera. Accanto alle mitiche cene tra amici da “Cesaretto”, Dondero ha realizzato immagini estremamente importati sul set di La ricotta (1962) con la troupe, le comparse e il protagonista Orson Welles; quelle scattate durante il montaggio del documentario La rabbia (1963), oppure sul set del Vangelo secondo Matteo (1964). Ancora un grande valore documentario hanno gli scatti fatti nel 1964 sulla spiaggia di Viareggio, mentre Pasolini stava girando il documentario Comizi d’amore.
Non c’è in Dondero quella drammaticità che sarà presente nelle foto di Prediali, perché in lui c’è da un lato la coscienza di lavorare per la Storia, dall’altro la consapevolezza di stilare una “cronaca sentimentale” per realizzare la quale era sempre necessario mantenere le distanze dal soggetto raffigurato per cogliere con distaccata complicità “l’istante sociale” necessario a comporre un mosaico dei miti culturali della Roma del secondo Novecento. In questo ambito rientrano, con una loro particolare efficacia, gli scatti riguardanti La ricotta, realizzati tra l’Acqua Santa sull’Appia e il pratone dell’Acquedotto Romano, dove Pasolini stava ambientando quel moderno dramma sacro; in quella occasione Dondero riesce a creare una straordinaria miscela tra sofisticazione intellettuale e presenza popolare, tra cristianesimo delle origini e cinismo neopagano, un mix che trova la sua sintesi nella figura del Regista intellettuale (Orson Welles), il quale ha dovuto piegarsi alla vituperata ideologia borghese dell’uomo medio disposto a “mettere a morte” un povero cristo proletario che dalla finzione scenica passa a una morte vera.
La storia fotografica dell’ultimo Pasolini realizzata da un giovane fotografo
Nel 1975 Dino Pedriali (1950 -2021) era un giovane fotografo che ha ricevuto da Pier Paolo Paolini l’incarico di documentare con le immagini il “laboratorio” all’interno del quale sta nascendo Petrolio, certamente il romanzo più complesso e tormentato di Pasolini, un’opera che non è riuscito a completare e che è rimasto un insieme di capitoli e di appunti raccolti, una specie di testamento letterario, spirituale, umano e contestatario di un grande intellettuale.
In questo breve periodo dell’esistenza dello scrittore, che precede di poche ore la sua morte, vanno collocate le 110 immagini in bianco e nero scattate da Prediali nell’autunno del 1975, che sono state definite un “testamento del corpo” in parte realizzato sotto la guida dello scrittore e regista, in parte risultato di scelte fatte dal fotografo romano, il quale era ritornato poco tempo prima da Parigi, dove aveva lavorato come assistente-apprendista del grande Man Ray.
La carriera artistica di Prediali prende quindi l’avvio proprio da questo straordinario reportage su gli ultimi giorni di vita di Pasolini nella sua casa di Sabaudia e nella villetta di Chia, nel viterbese, dove lo scrittore si ritirava per lavorare in totale solitudine. Si tratta di una documentazione iconica di estrema importanza, perché sembra riflettere e condividere i pensieri, la tristezza e la solitudine di Pasolini, che assume quasi un significato premonitore se si pensa che l’ultima immagine è stata scattata il 1 novembre 1975 e che lo scrittore è stato assassinato all’Idroscalo di Ostia nella notte del 2 novembre. Pasolini è rimasto per Prediali un continuo punto di riferimento fatto di amore, di memoria e di riconoscenza (“Con Pasolini ho un debito, un debito eterno”), perché quella esaltante e traumatica esperienza ha dato l’avvio alla sua carriera di fotografo testimone di tante vicende umane del secondo Novecento e lo hanno anche aiutato a diventare un maestro del ritratto e del “nudo”.
In quel lungo e quasi incredibile racconto in bianco e nero, che lo scrittore non fece in tempo a vedere, è racchiusa la storia unica e irrepetibile di un uomo e di un artista formata da una serie di sequenze, nelle quali Prediali segue Pasolini come un’ombra invisibile ma presente, spiando nella sua casa ogni momento della giornata, ritraendolo mentre pensa, dorme, legge o scrive davanti alla mitica Lettera 22. Il fotografo riprende Pasolini anche in esterno mentre posa accanto all’altrettanto mitica Giulietta, ritraendolo anche in jeans e camicia e con i famosi occhiali da sole neri in una serie di primi piani o campi totali. Dalle grandi vetrate, che danno sul giardino, l’obbiettivo di Prediali riesce a cogliere l’involontaria esibizione del corpo nudo di Pasolini, che viene ripreso senza alcuna volgarità nonostante quella atmosfera di violata intimità che sembrano suggerire quelle foto. Il fotografo riprende l’arista mentre legge o si spoglia e resta nudo solo con se stesso, cogliendo un momento d’intimità nel quale a prendere risalto è solo quel corpo, che in ogni caso rappresentava una parte fondamentale della storia dello scrittore-regista. È comprensibile che queste immagini, oltre a essere diventate un mito iconico, siano rimaste impresse nella mente e nell’anima del fotografo: “Pasolini era stato abbandonato da tutti, la solitudine che ho visto in lui è terribile. […] Le fotografie sono la mia lingua, ma è difficile quando hai di fronte un poeta, io di Pasolini mi sono innamorato, direi da subito. E sono stato trafitto dal dolore, perché è arrivato improvviso”.
Pasolini e il fumetto
Il mondo del fumetto non poteva ignorare un personaggio complesso e affascinante come PPP e nel 1993 esce in Francia il primo graphic novel Pasolini dello sceneggiatore Jean Dulaix e del disegnatore Massimo Rotundo. Si tratta di un classico noir poliziesco, nel quale un potente uomo politico, un giornalista indipendente e un commissario di polizia si occupano della morte di Pasolini. I tre personaggi si troveranno al centro di un complotto e sarà il poliziotto ad essere coinvolto nelle indagini fino a pagare con la vita durante un tragico epilogo ambientato proprio sulla spiaggia di Ostia che ha visto morire lo scrittore.
Di notevole spessore iconico e intellettuale è il graphic novel Pasolini (Rizzoli, 2015) scritto e disegnato da Davide Toffolo, uno dei più importanti fumettisti italiani creatore del personaggio di un giovane cronista che si pone con la sua telecamera sulle tracce dell’artista, quando un non meglio identificato “signor Pasolini” gli ha comunicato per telefono la sua disponibilità a rilasciargli una intervista sulla vita e la personalità dello scrittore-regista. Lo storia, che è ambientata nel 2002 quando lo scrittore è morto da diversi anni, induce il lettore a chiedersi chi sia questa persona che nell’aspetto e nella voce ricorda Pier Paolo Pasolini: un fantasma? Una proiezione della sua mente? L’eterno ritorno e l’incancellabile presenza nella storia di un profeta del nostro tempo? In ogni caso il personaggio evoca la sofferenza, la solitudine, l’emarginazione che la società capitalistica ha imposto a Pasolini. Denuncia le colpe della borghesia, una classe sociale che ha corrotto l’intero sistema attraverso il consumismo, che ha provocato una mutazione antropologica, identitaria e alienante con il risultato di una omologazione culturale capace di distruggere memorie, tradizioni e costumi popolari.
Questo misterioso personaggio spinge il giovane giornalista a compiere un viaggio iniziatico che parte da Casarsa, passa da Bologna, la città in cui Pasolini ha compito gli studi e completato la sua formazione culturale, per arrivare a Roma dove lo scrittore scopre la vita delle periferie, l’importanza e la genuinità delle classi popolari più emarginate e dà l’avvio alla sua carriera letteraria con la tormentata pubblicazione di Ragazzi di vita. Pasolini scopre successivamente l’importanza del cinema, un linguaggio più aderente alla realtà che gli permette di esprimersi con la massima libertà; s’impegnerà ancora come narratore e soprattutto come polemista fino ad arrivare all’appuntamento con la morte in quella tragica domenica del 2 novembre 1975.
Questo viaggio spirituale si concluderà sulle desolate pendici dell’Etna (il luogo in cui il regista ha girato alcune memorabili scene di Teorema), dove Pasolini apparirà sotto forma di un’allucinazione per un ultimo drammatico dialogo reso più intenso da alcune citazioni cinematografiche. Infine il giovane giornalista conclude il suo pellegrinaggio, ritirandosi tra le atmosfere oniriche della laguna di Grado, ormai svuotato e sconvolto per aver vissuta quella misteriosa esperienza. Nel silenzio della notte viene circondato da uno stuolo di lucciole, che diventano il simbolo di speranza contro il conformismo e la volgarità della società contemporanea, anche se nel protagonista rimane irrisolta una domanda di fondo: “Perché l’abbiamo ucciso? Era un poeta e raccontava la vita sua e anche la nostra, ma era troppo diverso e la paura di chi ha armato la mano…Non avremo pace fino a che non ricorderemo quello che raccontava, le parole che diceva”.
È ritornata nelle librerie un’opera del 2008 intitolata Il delitto Pasolini (Becco Giallo, 2022), scritta e disegnata da Gianluca Maconi, autore di numerosi volumi a fumetti e vincitore di diversi Premi. Si tratta di un graphic novel concepito come un’indagine giornalistica che vuole ricostruire le ultime ore di vita di Pasolini, le ricerche condotte dalla polizia e dalla autorità giudiziarie, il processo intentato contro il suo uccisore materiale, riportando alla fine del libro una Cronistoria di Marina Cattabiani che parte dal 13 gennaio 1975 e arriva fino all’aprile 2021 con le varie inchieste e interviste giornalistiche di Oriana Fallaci, Il Corriere della Sera, Raitre, L’Unità, la scrittrice Dacia Maraini. Sono anche indicate le canzoni dedicate a Pasolini, composte da Giovanna Marini (Lamento per la morte di Pasolini, 1975), Fabrizio De André e Massimo Bubola (Una storia sbagliata, 1980), Francesco De Gregori (A Pa’, 1986), nonché lo spettacolo teatrale Museo Pasolini (2021) di Ascanio Celestini. Infine Francesco Barilli ha ricostruito l’intera e controversa vicenda poliziesca, giudiziaria e politica nel saggio Omicidio, indagini, versioni; mentre Anedo Torbidoni, uno studioso della comunicazione, nel saggio Pasolini, visto da qui ha fornito un’approfondita analisi della personalità e dell’opera dell’artista. La storia si apre con i carabinieri che, nella notte del 2 novembre 1975, fermano Giuseppe Pelosi alla guida della macchina di Pasolini; seguono le prime indagini, le diverse versioni dei fatti date da Pelosi; una sintesi del risalto dato dalla stampa al tragico evento; la deposizione di Oriana Fallaci del 2 dicembre 1975, come testimone indiretta dei fatti. Viene riportata una sintesi significativa dell’arringa di Guido Calvi, avvocato di parte civile, pronunciata il 27 aprile 1976, nella quale si avanzano forti dubbi sulle dichiarazioni di Pelosi e si espongono fondate ipotesi sull’agguato di gruppo. Dopo un intermezzo con la “storia delle tigri”, tratta da Appunti per un film sull’India, Maconi dedica una lunga sequenza all’ultima intervista rilasciata il 1 novembre 1975 all’allora giovane giornalista Furio Colombo che, in apertura del libro, rievoca quella sua straordinaria esperienza (L’alba del giorno dopo). Infine le sequenze si susseguono con cruda drammaticità: la cena da “Aldo” e il lungo colloquio con Ninetto Davoli, l’incontro con Pelosi, il breve viaggio fino al lido di Ostia, l’agguato e l’assassinio, per chiudersi con una citazione da Bestia da stile: “Io amo gli Dei degli Alberi, e Cristo, per il suo sangue, proprio come voi, anzi io ne rivivo la condanna per voi, perché io sanguino dal cazzo e dal cuore, mentre voi appartenete alla specie di quelli che se ne stanno sotto la croce”.