Ricordo del musicista Raffaello de Banfield
di Gianluca Macovez
1 Dic 2023 - Commenti classica
Breve ritratto del musicista Raffaello de Banfield ricordato nel foyer del Teatro Verdi di Trieste con un busto e un concerto in suo onore.
Trieste, Teatro Verdi, 28 novembre 2023 – Con un ritardo che piacerebbe definire inspiegabile, finalmente Trieste rende omaggio ad uno dei suoi rappresentanti più illustri: il Maestro Raffaello de Banfield.
Uomo di straordinario spessore. Umano ed artistico, frequentò moltissimi fra i capisaldi della cultura del Novecento.
Per fare qualche nome, in un elenco parziale e casuale: Malipiero, Tennesee Williams, la Callas, Poulenc, Picasso, Karajan, Petit, Fini e Menotti.
Raccolse fama e successo in Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove le sue opere vennero rappresentate con successo.
Quando gli venne offerto l’incarico di Direttore Artistico del Verdi, accettò con determinazione e tenacia, reggendo le sorti del teatro dal 1972 al 1986.
Le sue scelte artistiche erano attente, mirate, proiettate verso il futuro.
In ogni stagione, accanto al repertorio più noto, interpretato spesso da quelli che nel giro di qualche anno sarebbero diventati interpreti popolarissimi internazionalmente, inseriva un titolo moderno, spesso contemporaneo e frequentemente inedito, allestito con cast validi, registi importanti, scenografie strabilianti, in modo da valorizzare al massimo questi lavori sconosciuti.
Solo per fare qualche esempio, La Carriera di un libertino con le scene di Emanuele Luzzati; Maria Golovin di Menotti con la regia del compositore, le scena di Samaritani e le voci preziose di una giovane Mariana Niculescu e di Bianca Berini; Sogno (ma forse no) di Luciano Chailly, con la direzione di Nino Sonzogno; Arianna e Barbablù di Dukas, con la direzione di Giovaninetti e le voci di un giovanissimo Ferruccio Furlanetto, Olivia Stapp, Carmen Gonzales; La Manna di Fabio Vidali, La Libellula di Paolo Merkù, Le sette canzoni di Malipiero, L’Ultimo selvaggio di Menotti, Allamistakeo di Viozzi e tanti altri spettacoli coraggiosi e raffinati.
Mancavano invece i lavori del Maestro, che non fece mai allestire un suo titolo nel quarto di secolo che lo vide Direttore Artistico.
Il livello qualitativo complessivo era altissimo, al punto che per anni coro e orchestra del Verdi animarono le produzioni del Festival di Spoleto, di cui de Banfield fu direttore artistico dal 1978 al 1986.
Quando molti dei teatri italiani chiusero i battenti per i lavori di ristrutturazioni legati alla sicurezza, Trieste poté continuare ad avere le sue stagioni d’opera e balletto grazie ad una alchimia oggi inimmaginabile: il compositore comperò e regalò alla città una stazione dismessa, le maestranze del Verdi offrirono i loro talenti e dal loro incontro nacque la SalaTripcovich, elegante e funzionale spazio, che consentì a Trieste di raggiungere vette altissime e brillare in tutta Europa.
Di quella realtà, abbattuta lo scorso anno, proprio mente ricorrevano i cento anni dalla nascita del Maestro, non restano che il ricordo e la sensazione di vivere in un tempo ingrato, che guarda con livore al passato solo perché non ne sa rinnovarne i fasti.
Amaro il destino del Barone de Banfield: quando il ‘suo’ teatro toccò l’apice del successo, cominciò per lui un periodo molto pesante: prima un terribile incidente stradale, che fece temere per la sua vita; poi pesantissimi problemi economico-finanziari, legati alla fiducia mal riposta in amministratori evidentemente non così affidabili; infine, una serie di ictus con strascichi importanti, fino all’afasia.
Quindici anni fa la morte, seguita da un silenzio assordante da parte dei quattro sovrintendenti che hanno preceduto l’attuale, il Maestro Polo, che nel corso della cerimonia ha raccontato alcuni aneddoti su de Banfield, vissuti in prima persona nel periodo in cui faceva parte dell’orchestra del teatro.
La collocazione nel foyer del teatro del suo ritratto, bella opera dello scultore Davide Di Donato è un primo segnale, cui ne seguiranno altri, ha assicurato il sindaco, intervenuto assieme ai rappresentanti della Regione Friuli-Venezia Giulia alla cerimonia.
Cariche di stime e riconoscenza le parole del Presidente della Fondazione Casali, che ha finanziato la realizzazione dell’opera, seguite dalle parole del critico Gianni Gori, che conosceva benissimo il barone Falello, come amabilmente veniva chiamato dagli amici, che ha sottolineato che l’amore di de Banfield per la città e per il ‘suo’ teatro furono tali che, nonostante i successi teatrali internazionali, scelse di mettere in secondo piano l’attività di compositore per dedicarsi completamente al Verdi, che divenne la sua seconda casa.
La seconda parte della serata ha visto l’esecuzione di tre delle ‘Sei Liriche per soprano, orchestra d’archi, flauto, corno ed arpa’ da parte del soprano Francesca Palmentieri e degli organici del Verdi, diretti con gesto sicuro da Stefano Furini, musicista attento, che ha saputo interpretare con competenza le varie composizioni, mettendo in evidenza sia la vasta gamma di sfumature richieste agli strumentisti, sia la raffinatezza delle strutture musicali, ricche di rimandi, senza risultare né compiaciute, né autoreferenziali.
Abbiamo ascoltato attimi di poesia sonora, grazie alla lettura di un direttore che, oltre a conoscere perfettamente l’orchestra del Verdi, della quale fa parte come primo violino di spalla, ha saputo cogliere l’essenza del lavoro di de Banfield, ben oltre la forma e la struttura.
Non resta che augurarci di poterlo presto riascoltare in qualche altra occasione, magari più articolata.
Dal punto divista vocale, la Palmentieri si è dimostratala interprete valida.
La sua è una voce ben impostata, sicura negli acuti, con un centro solido, una bella tavolozza di sfumature. I fiati sono possenti, il volume ragguardevole. Auspicabile un lavoro sulla parola, ma questo viene anche con l’esperienza, che sicuramente il giovane soprano riuscirà a fare.
Complesse le tre arie.
Sere d’Ottobre, che musica il testo di Pascoli, mette in risalto un suggestivo amalgama fra voce solista ed orchestra. La prima mette in risalto una vasta gamma di sfumature, mentre i musicisti incantano per precisione tecnica, eleganza esecutiva, intensità interpretativa.
Automne, su versi di Gabriel Boissy, permette di scoprire le sfumature ambrate della bella voce del soprano, ricca di fiati lunghissimi ed acuti solidi, ma anche di apprezzare l’attenzione dell’orchestra a tempi ed effetti sonori, mai banali e mai scontati.
Chiude il breve concerto Chiostri, una lirica di Jeanna Peroriel Vaissiere, brano complesso e coraggioso, che mette in risalto l’apporto degli archi e cerca toni aspri e drammatici nel canto.
Alla fine, tanti meritati applausi a tutti, con numerose chiamate in scena per direttore e cantante ed un affollamento affettuoso attorno al busto del Maestro.