Ricordo del grande regista teatrale Ejmuntas Nekrošius
di Alberto Pellegrino
4 Dic 2018 - Approfondimenti teatro, Commenti teatro
Il 21 novembre 2018 è scomparso a Vilnius il regista teatrale lituano Ejmuntas Nekrošius (Pažobris, 1952) che deve essere considerato uno degli artisti più affermati a livello internazionale per una serie di spettacoli, nei quali il regista non ha solo dedicato una particolare attenzione all’interpretazione degli attori espressivi e visuali, ma utilizzato scenografie e un utilizzo degli oggetti sul palcoscenico che hanno assunto una cifra narrativa quasi da trasformarsi in un racconto autonomo.
Nekrosius, dopo essersi diplomato nell’Istituto d’arte Lunačarski di Mosca, si è messo in luce come direttore e regista del Teatro dei giovani di Vilnius e successivamente dirige il Teatro drammatico di Kaũnas. Nel 1993 è nominato regista del Festival internazionale di teatro lituano e nel 1998 fonda il Centro artistico indipendente Meno fortas. Da quel momento tutti i suoi spettacoli sono accolti con favore dalla critica e dal pubblico in molti festival teatrali internazionali. Egli ha inoltre ottenuto importanti riconoscimenti: nel 1996 con la consegna del Premio Ubu per il migliore spettacolo teatrale straniero presentato in Italia e nel 2001 i critici russi gli hanno assegnano il Premio Konstantin Stanislavskij.
Artefice di un teatro visionario e antinaturalistico, Nekrosius ha creato spettacoli carichi di un’inconsueta vitalità e ricchi d’invenzioni e di metafore, spesso fondati su una complessa stratificazione espressiva, nella quale si combina la magia del sogno e della poesia con le trovate clownesche del circo. È stato un poeta della scena, dotato di una forte personalità e capace di mettersi continuamente in gioco, chiedendo ai suoi attori un linguaggio del corpo prima ancora che della parola, convinto che il teatro prima lo si guarda, poi lo si osserva. Ha progettato i suoi spettacoli fin nei minimi particolari nei costumi, nelle scene sempre essenziali, nelle luci sempre fondamentali, nell’impiego sempre funzionale e pregnante delle musiche di scena prese dal repertorio classico, operistico o leggero, riuscendo in ogni allestimento a cambiare la dimensione del tempo, a tenere viva per diverse ore l’attenzione dello spettatore.
Era capace di creare una poesia scenica più espressiva di tante parole che passata attraverso il movimento, la gestualità, il controllo del corpo da parte degli interpreti destinata a lasciare un segno negli spettatori soprattutto nei suoi ultimi spettacoli tutti ispirati alla grande letteratura: Il Cantico dei Cantici; Faust di Goethe, uno spettacolo realizzato con scene di forte impatto visivo con l’uso di oggetti simbolici e immagini folgoranti; L’idiota di F. Dostoevskij; Anna Karenina di Leone Tolstoi, una messa in scena dove, attraverso le immagini, il gesto, la parola, prendeva vita un mondo visionario, denso di atmosfere, sospeso e dilatato nel tempo; la Divina Commedia, allestita nel Teatro Olimpico di Vicenza; Caligola di Camus, il Libro di Giobbe come fosse sospinto dal bisogni di lasciare una testimonianza profonda del suo lavoro, perché diceva “La vita dopo la morte è la memoria delle generazioni viventi”.
Nekrosius è stato uno dei grandi interpreti di Cecov, portando con successo sulle scene Ivanov, Zio Vanja, Tre sorelle, Il gabbiano, Il giardino dei ciliegi; senza trascurare altri grandi autori russi come Gogol (Il naso) e Puškin (Mozart e Salieri. Don Giovanni. Peste; Piccole tragedie). Una delle sue straordinarie realizzazioni è stata la trilogia shakespeariana (Amleto, 1997, Macbeth, 1999, Otello, 2000), una vera e propria reinvenzione basata su una scarnificazione del testo, una valorizzazione simbolica e rituale di pochi elementi scenici (il ghiaccio, la terra, l’acqua), usati per creare atmosfere arcaiche e barbariche.
Pur essendo un uomo schivo, avaro di dichiarazioni, ostinato e ostile a sciogliere i nodi del suo teatro, Nekorisus non si è mai chiuso, dopo il successo mondiale, in una torre di avorio, ma è rimasto costantemente impegnato a cercare nuovi moduli interpretativi, a scompaginare i modelli teatrali più tradizionali e diffusi, a esprimersi attraverso un linguaggio teatrale che costituiva la sua forza, la sua necessità di vita, la luce con cui era capace d’illuminare la nostra esistenza, dando vita a immagini e personaggi straordinari che diventavano momenti di pura poesia. La regista e drammaturga Emma Dante, parlando dei suoi lavori, ha detto: “Faceva recitare gli oggetti, dava voce alle semplicità più estreme e, laconico com’era, parlava attraverso gli spettacoli”.