Riccardo Zandonai. Una vita a Pesaro.
di Andrea Zepponi
1 Nov 2024 - Approfondimenti classica, Commenti classica
Il Conservatorio Rossini di Pesaro ha celebrato l’80° anniversario dalla scomparsa del grande compositore e direttore d’orchestra Riccardo Zandonai con una giornata di studi e momenti musicali. L’evento, curato dai professori Concetta Assenza, Riccardo Graciotti e Mariateresa Storino, si è tenuto venerdì 25 ottobre 2024 nella Sala dei Marmi del Conservatorio.
Ore 10: saluti istituzionali di Salvatore Giordano, presidente del Conservatorio G. Rossini di Pesaro e del direttore Fabio Masini; dalle10:30 si sono tenute le relazioni presiedute la mattina dalla prof.ssa Maria Teresa Storino e il pomeriggio dalla Dr.ssa Concetta Assenza, mentre i momenti musicali erano curati dagli studenti e dai docenti del Conservatorio Rossini; anche la mostra bibliografica tratta dai documenti della Biblioteca del Conservatorio era in esposizione. Le società che hanno rilasciato il patrocinio scientifico per il convegno sono la IAML-Italia, la SIdM e la ARIM.
Riccardo Zandonai nacque a Borgo Sacco, nei pressi di Rovereto in Trentino; iniziò i suoi studi con Vincenzo Gianferrari alla Scuola Musicale della città natale, proseguendoli, tra il 1898 e il 1901, con Pietro Mascagni al Liceo Musicale “Rossini” di Pesaro. Ai suoi anni giovanili risalgono molte composizioni strumentali e vocali già indicative del suo promettente talento. All’attività di compositore Zandonai alternò costantemente quella di direttore d’orchestra. Nel 1935 l’Accademia d’Italia gli conferì il “premio Mussolini” per le arti. Nel 1940 fu nominato direttore del Conservatorio di Pesaro. All’epoca della morte risiedeva nel Convento del Beato Sante di Mombaroccio, dove era sfollato in seguito al sequestro della sua abitazione da parte dei nazisti. Morì nel 1944, degente nell’ospedale di Trebbiantico, a causa delle complicanze di un’operazione urgente a cui si era sottoposto per rimuovere dei calcoli biliari. Nel 1947, al termine della guerra, la salma fu trasportata a Rovereto e tumulata nel cimitero di Borgo Sacco. La rilevanza della correlazione della figura di Zandonai con la città Pesaro è dovuta sia alla produzione musicale del compositore sia all’amministrazione del conservatorio Rossini di Pesaro che in quegli anni dal 1940 al 1943 conobbe un risveglio qualitativo non indifferente.
La mattinata del 25 ottobre 2024 in Sala dei Marmi al Conservatorio Rossini di Pesaro è stata in gran parte destinata all’analisi di una composizione giovanile di Zandonai che risulta ancora inedita su testo di Giovanni Pascoli: Il ritorno di Odisseo (1901). il manoscritto è proprietà del Conservatorio e attualmente in mostra nei suoi locali. Francesca Nassi (Bruxelles) e Cecilia Nicolò nei loro rispettivi interventi “Pascoli, Zandonai e Il ritorno di Odisseo tra testo e musica” e “Riccardo Zandonai studente al Liceo musicale di Pesaro: Il ritorno di Odisseo” hanno analizzato i rapporti tra la vena compositiva di uno Zandonai, ancora studente presso il Rossini e la suggestione operata nel musicista dalla poesia di Giovanni Pascoli dove emergono diverse modalità di rapporto tra testo poetico e musica: ad esempio è ricorrente nel testo musicale il descrittivismo delle onde del mare realizzato tramite increspate scale cromatiche ascendenti e discendenti presenti nella composizione quasi motivo costante a suggerire l’onnipresenza dei leitmotiv nella voga compositiva wagneriana. Si vedrà invece che Zandonai, anche nella sua produzione successiva, affermerà coscientemente e squisitamente moduli compositivi tutti italiani. Interessante, inoltre, il genere che il musicista alla fine attribuisce alla composizione che per Pascoli era un’ode composta in endecasillabi sciolti (il coro e io-poetico narrante) e in strofe saffiche (i due personaggi: Odisseo e la vergine): al saggio finale di composizione del 1901 l’opera comparve, non come ode e neppure come cantata, bensì come poema sinfonico per soli, coro e orchestra. Pascoli, suggestionato dalla musica come vertice delle arti secondo una ben acquisita sensibilità nella sua divisa di grecista e di poeta (centralità delle musica nel simposio e nella lirica di Saffo come rimedio ai mali e veicolo di gloria, tutte tematiche affrontate da lui stesso nel testo de Il fanciullino del 1897), trovava nella composizione di Zandonai un motivo molto caro al suo immaginario, in cui poteva far riemergere quello del νόστος (nóstos), del ritorno da cui promana il termine “nostalgia”. Come Odisseo anche nel sonno vagheggia il ritorno alla propria terra, Itaca, così Pascoli in altri passi della sua opera sogna il suo rientro – impossibile per ben noti motivi biografici – al suo San Mauro. Emblematica nell’opera di Zandonai la presenza della fanciulla che assiste al risveglio di Odisseo nella sua Itaca: l’elemento femminile è ovviamente consono al costrutto della musicale e vocale. Le rime sono presenti solo nelle strofe saffiche e, come nella suggestione musicale gioca sovente il tema delle onde o “motivo dell’acqua”, così in quello poetico viene reiterata la onomatopea – frequente in Pascoli – di “op… oóp” profferita dal coro e declinata prosodicamente in varia misura dalla musica.
Nel dipanare le tante notizie e nozioni emerse dalle diverse relazioni balzava all’attenzione la vivacità musicale e didattica del Conservatorio Rossini dei primi del ‘900 che sfornava fior di strumentisti e di compositori: raggiunse il massimo con i diplomi di ben nove compositori proprio nel luglio del 1901. Tra questi c’era Riccardo Zandonai che non fornì soltanto alle orecchie dei pesaresi, avidi di musica, di saggi nel loro conservatorio su cui si imperniava quasi tutta la vita culturale cittadina, il suddetto Ritorno ma anche, in quell’anno, Il Sogno di Rosetta, poema sinfonico sempre su testo di Pascoli diviso in tre momenti, il primo in cui si assiste allo stato di innocenza della fanciulla sognante, il secondo che sviluppa il tema dell’eterno ritorno a causa di un trauma ricevuto durante l’infanzia e il terzo dove si ripete l’evanescenza delle promesse fatte da Mefistofele a Faust e si profila perciò la necessità di rigenerare un nuovo sogno; anche in questo caso era problematica la definizione del genere, mentre l’ipotesto pascoliano funzionava da lasciapassare per ogni gusto, anche quello wagneriano per cui Pascoli non nascondeva simpatie (si ricordino le prime wagneriane al Comunale di Bologna); una espressione del poeta pare stigmatizzare l’andazzo verista di quegli anni: quegli “strillacci” che dovevano essere evitati nella musica vocale destinata alla sua poesia. L’accusa era vaga ma con il senno di poi non ci si può esimere dal constatare un senso di decadenza diffuso nell’arte lirica, quello che emerge anche da alcune lettere di Zandonai che, in seguito, non esitò a fornire splendidi esempi di vocalizzi in stile moderno ben noti a tutti gli studenti di canto diplomandi e diplomati. Del 1903 è il Sogno di un adolescente, poema sinfonico con una ouverture, che, sebbene non direttamente connesso con la poesia pascoliana, ne richiama diversi motivi e suggestioni.
Il focus del convegno mattutino ha inoltre compreso opere meno conosciute che risalgono sia al periodo in cui Zandonai era studente presso il conservatorio Rossini, sia a quello delle prime che egli fece debuttare da compositore conclamato e non hanno ricevuto ancora una dovuta attenzione critica e musicologica, se non in questa sede, oppure a quelle cui, già direttore del Conservatorio Rossini, egli pose mano per dovere di integrare i nuovi programmi di esame di quel periodo: tra queste Il sogno di Rosetta, il Sogno di un adolescente, – presi in esame da Roberta De Piccoli (Pesaro) in una indagine sull’età di mezzo tra Pascoli e Zandonai, indi La coppa del re di cui Anna Rita Gaetani (Pesaro) ha dato una lettura drammatico-musicale, La via della finestra, e gli strafamosi Vocalizzi nello stile moderno con accompagnamento di pianoforte (Milano, Ricordi, 1929); La coppa del re fu scritta per il concorso Sonzogno il cui termine era fissato per il 1903, ma Zandonai nel 1902 l’aveva già completata. Si tratta di una leggenda melodrammatica in un atto scritto da Gustavo Chiesa e fornita di un narratore esterno che non agisce ma è informato diegeticamente sui fatti. La vicenda proviene nientemeno che da F. Schiller e si svolge nella Sicilia normanna dove il re dell’isola promette di dare in sposa sua figlia Jolanda a chi scendendo negli abissi del mare avesse ritrovato una coppa ivi gettata. Due pretendenti si contendono la mano della principessa, Guiscardo e Amezil sotto gli occhi di un Indovino e di un Araldo. Un coro di Paggi e Donzelle fa ala ora all’uno ora all’altro dei due contendenti. Guiscardo si getta in mare per primo e, dopo lunga attesa, riesce a riemergere con la coppa in mano, ma non a evitare la morte di cui racconta averne veduto la faccia sinistra. Anomalia nella sostanza operistica di questo lavoro è la figura del Narratore che elimina l’effetto dell’hic et nunc della struttura drammatica e compromette ogni immediatezza realistica, inoltre il libretto ha un carattere in massima parte strofico divergente dal repertorio librettistico tradizionale e in aperta controtendenza con la librettistica contemporanea in cui prevale la versificazione libera e sciolta rispetto a quella strofica. L’uso intensivo delle rime rispetto ai versi sciolti, che sono meno del 9%, è sbilanciato e sfavorisce l’articolazione aperiodica del fraseggio musicale cui invece tendeva la librettistica contemporanea, mentre sembra adeguarsi alla literaturoper dove vengono ripresi direttamente testi di brani letterari. In realtà il genere letterario cui più si avvicina questo tipo di testo è la “ballata romantica italiana” che ha appunto una struttura prevalentemente strofica, è polimetra e con pochi versi sciolti. Insomma, con La coppa del re Zandonai riscopre un genere letterario musicabile alternativo a quello del libretto melodrammatico ottocentesco con la differenza che in questo i pezzi chiusi strofici sono diversi e molteplici, mentre nella ballata romantica italiana tutta la composizione sembra costituire un unico grandioso brano in una forma circoscritta in sé.
Le relazioni pomeridiane sono state dedicate programmaticamente alla musica sinfonica di Zandonai, non prima però di aver affrontato il discorso su La via della Finestra, opera lirica con cui nel 1919 Zandonai si presentò da operista al teatro Rossini di Pesaro (la prima fu una versione in tre atti, mentre l’altra in due atti sarà da lui approntata nel 1923 il che, vuole la relatrice, tradisce una certa insoddisfazione da parte dell’autore). La relazione doveva essere esposta da Carlo Todeschi il quale, indisposto, è stato sostituito dalla Comisso che ha letto il testo del Todeschi. Opera certo di concezione sinfonica ma non ignara della tradizione vocale italiana, divergente dalle tematiche decadentiste, post-romantiche e votata a nuovi modelli, La via della finestra è una commedia giocosa, prima opera di Zandonai composta dopo il suo matrimonio, ma anche dopo la morte della sua amatissima nonna Candida; scherzo ironico sulla vita di coppia, intriso di giocosi umori alla Rossini – Giuseppe Adami, il librettista, l’aveva ricavato da un soggetto da vaudeville di Eugène Scribe ancora circolante nei teatri di prosa trasportando l’azione dall’ambiente francese a uno tutto italiano e toscano –, che segna il ritorno dell’autore a schemi drammatici e musicali più convenzionali. I meccanismi dei personaggi sono mossi da impulsi psicologici elementari. La presenza del baritono Marchese Zio funge da deus ex machina e rimanda a quella di Alfonso in Così fan tutte di Mozart oppure del rossiniano Prosdocimo nel Turco in Italia e non è troppo distante dal Dottor Malatesta nel Don Pasquale di Donizetti. Zandonai, dando la prima dell’opera a Pesaro, intendeva ricreare un proprio rapporto con l’opera buffa e quindi con Rossini. Piccolo strale parodico diretto all’opera pucciniana Tosca è il finto suicidio di Gabriella, la protagonista, che fa credere di gettarsi dalla finestra sotto cui è pronto un carretto di fieno per attutirne la caduta, mentre chiara allusione al Barbiere rossiniano è la risalita della stessa finestra da parte di Gabriella per ritrovare l’abbraccio del suo sposo Renato e risolvere la trama in bellezza. Da parte della relatrice non sono state rare le correlazioni caratteriali di Gabriella con il personaggio di Conchita, title-role di un’altra ben nota opera zandonaiana. Da non dimenticare il fatto che Zandonai fu il primo a riscoprire come capolavoro La gazza ladra di Rossini di cui al suo tempo si eseguiva solo la sinfonia o al massimo la cavatina di Ninetta. La densità delle relazioni tra antico e moderno implica il fatto che Rossini, di cui era tempio il Liceo musicale, non veniva visto come mostro sacro dal quale mai distogliere lo sguardo, anzi come stimolo per traguardare la base di quel momento, trascenderla e scorgere nuove vie di aggiornamento per i musicisti. In quegli anni anche grazie all’opera di Cicognani, di Pratella e dello stesso Zandonai, accanto alla prospettiva verista imperante iniziavano ad affermarsi nuove istanze di modernità e nuove vie di destinazione musicale, una di queste era il cinema cui lo stesso Zandonai si prestò; nel campo della musica sacra si stavano affermando modernismo e laicità che lasciavano intravedere un modo nuovo di concepire il proprio ruolo da parte dei compositori, un impegno responsabile di tipo etico, civico e intellettuale che poteva rientrare oppure rimanere al di fuori delle im/posizioni fasciste di quegli anni. Il fatto che Zandonai non appartiene alla schiera degli autori oscurati durante il famigerato ventennio è dovuto alla sua per così dire “accademicità” che riguardava la gestione dei programmi di conservatorio e degli esami e la sua unica e assoluta dedizione alla musica. La lontananza di Zandonai dal sistema politico vigente era compensata dalla rete di committenze combinate negli ambienti aristocratici e borghesi nei quali si strutturavano le collaborazioni tra i compositori come Zandonai, Pratella, Ferrari Trecate e i poeti come Pascoli e Carducci: ad esempio la simbiosi artistica che si ebbe tra Zandonai e Pascoli a Pesaro venne riproposta tempo dopo a Bologna con altri autori. Questa era la rete di rapporti culturali scevra da qualsiasi intromissione politica. Dalle parole dei relatori la grandezza di Zandonai si staglia su quella più o meno definita degli altri esponenti della musica pesarese, Pietro Mascagni, geniale ma discontinuo, odiato e amato al contempo (una sua direzione di Cavalleria nella piazza di Pesaro venne disertata dal pubblico e disprezzata dalla critica) e Amilcare Zanella, grandissimo musicista e virtuoso che non ebbe però la risonanza e la visibilità di Zandonai.
Al Liceo Rossini la figura del grande pesarese giocava un ruolo che andava al di là del mero dato musicale, non soltanto per affermare un principio estetico funzionale del comporre contemporaneo a Zandonai e, guarda caso, per dare un senso al caos della guerra – la seconda mondiale – che raggiungeva con le sue rovine Pesaro e lo stesso teatro Rossini: “il nuovo non è bello e il bello non è nuovo”. Questa, che può definirsi una pillola estetica, dava ragione al coscienzioso e consapevole attaccamento di Zandonai alle pagine rossiniane presenti nella biblioteca del conservatorio e alle potenzialità trasformazionali del loro modello.
Altro argomento saliente del convegno è stato quello della riqualificazione musicale e didattica conferita da Zandonai all’allora Liceo Musicale Rossini. Il grande Antonio Cicognani, attivo a Pesaro dal 1902 al 1934 in qualità di vicedirettore con la cattedra di fuga e contrappunto, fu degno promotore della vita musicale di Pesaro ed ebbe rapporti privilegiati con il nostro che divenne direttore del Liceo pesarese dal 1940 al 1943 sostenendo la difficile eredità lasciata da Pietro Mascagni nella direzione dell’istituto; ma Zandonai si era stabilito a Pesaro fin dai primi anni dei suoi studi e lì aveva vissuto tutte le sue avventure creative anche sul versante sinfonico, argomento su cui si sono svolte dalle ore 15 della stessa giornata le relazioni di Maria Antonietta Marongiu (Rovereto) “Relazioni virtuose. Riccardo Zandonai tra Pesaro, Roma e Milano”, quella di Irene Comisso e Federica Fortunato (Rovereto) “L’opera sinfonica di Riccardo Zandonai tra nostalgia e passione per la natura” e infine Valentina Confuorto (Venezia) “Una nuova didattica del canto: i “Vocalizzi nello stile moderno con accompagnamento di pianoforte (Milano, Ricordi, 1929)” perorato da un pregevole intervento musicale con il baritono Kevin Paoltroni e Irene Vecchioni al pianoforte. Caratteri dell’opera strumentale di Zandonai sono infatti emersi dalla relazione della Fortunato la quale ha parlato anche per Irene Comisso (in quanto la loro relazione è stata fatta insieme) e sono state illustrate le strutture strumentali dell’orchestra di Zandonai, le sue combinazioni, gli effetti di strumenti che alludono ad altri, l’importanza delle percussioni usate in modi diversi come indice della musica novecentesca, e soprattutto l’assenza in Zandonai di due tratti tipici degli autori a lui contemporanei: il folklorico e il popolare, così rappresentativi della musica europea del ‘900, se non rivisitati in un contesto normativo musicale come ad esempio aveva fatto Giulio Fara proprio a Pesaro con i suoi Canti sardi. Per quanto il compositore evochi nei suoi brani strumentali “l’autunno fra i monti” e “colloqui rusticani” usando perfino il ritmo tellurico di 5/8, nessuna evocazione veristica della musica popolare trentina emerge almeno secondo gli schemi della etnomusicologia correnti in quegli anni. Zandonai era consapevolmente lontano dal verismo del Mascagni di cui in una lettera elogia l’opera Iris come “perfettissima”, si definisce addirittura entusiasta dell’arte mascagnana, ma professa anche la sua assoluta distanza da lui.
Il convegno, partecipatissimo, è stato coronato dal concerto serale dalle ore 18 cui mi è dispiaciuto oltremodo non poter assistere. Si è tenuto nella Sala delle Colonne del Conservatorio Rossini e ha esibito brani strumentali e vocali. Ne riproduco il programma per dare l’idea della ricchezza e del pregio delle musiche scelte eseguiti da valenti allievi di un istituto musicale che si è sempre distinto e segnalato per la sua eccellenza.
ORE 18.00 CONCERTO
Riccardo Zandonai (1883-1944)
Trio – Serenata per pianoforte violino e violoncello RZ 217
Martina Giulianelli violino
Samuele Ricciardi violoncello
Thomas Baroni pianoforte
“Itaca, l’isola mia poverella” da Il ritorno di Odisseo RZ 161
Kateryna Chebotova soprano
Yunzhong Wang baritono
M° Arnaldo Giacomucci pianoforte
Serenata medioevale RZ 219
(Adattamento dalla riduzione di Maffeo Zanon)
Irene Bendia fagotto
Alceste Neri pianoforte
“Forse quello che faccio è molto male” da La via della finestra RZ 7
Kateryna Chebotova soprano
M° Arnaldo Giacomucci pianoforte
“O primavera del nostro amore” da La via della finestra RZ 7
Emanuele Pellegrini tenore
M° Arnaldo Giacomucci pianoforte
Spleen RZ 228
(Adattamento dalla riduzione per violoncello e pianoforte dell’autore)
Davide Filigonio fagotto
Alceste Neri pianoforte
Un organetto suona per la via RZ 25
Ultima rosa RZ 88
Maria Olimpia Renna soprano
Tamari Kupatadze pianoforte
Primavera in Val di Sole: Impressioni sinfoniche per orchestra RZ 220
(Riduzione per pianoforte a quattro mani dell’autore)
Nel bosco
Ruscello
Elena Generali, Samuele Orazi pianoforte
Si può inoltre ricordare che de “La via della finestra” di Zandonai venne fatta un’incisione discografica nel 1975 con Salvatore Sassu, Wilma Vernocchi, Lucia Danieli, Anna Maria Balboni, Franco Bonanome e Ludovico Malavasi e l’Orchestra e Coro della RAI di Milano, direttore N. Annovazzi e maestro del coro M. Bordigon. È l’unica incisione attualmente disponibile anche in rete che riporta l’edizione dell’opera in due atti del 1923.