Quel diavolo di Faust: il capolavoro di Gounod all’Opera di Firenze
di Andrea Zepponi
2 Apr 2017 - Commenti classica, Musica classica
Firenze. Dopo il mancato debutto scenico a causa dello sciopero del 20 gennaio, cui è seguita un’esecuzione in forma di concerto, il Faust di Charles Gounod (1859) ha avuto la sua vera prima scenica all’Opera di Firenze, domenica 22 gennaio 2017 in pomeridiana coll’orchestra e il Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretti dal M° Juraj Valčuha. Il meraviglioso allestimento registico di David McVicar per questo Faust è stato già creato e collaudato per la Royal Opera House di Londra, il Teatro Verdi di Trieste, l’Opera de Lille e l’Opera de Montecarlo e trasporta la sua vicenda nella Parigi di metà 800 alla vigilia della guerra franco-prussiana, negli anni di Gounod. Le bellissime scene di Charles Edwards sono impostate su un chiaro parallelismo antitetico di un lato del palcoscenico con l’altro che presentavano a sinistra una riproduzione di un ordine di palchi di proscenio dell’Opéra di Parigi (ai tempi della composizione del Faust non era ancora costruita) e a destra una ricostruzione della Chiesa di Saint-Séverin con la tribuna dell’organo e le sue canne di facciata. Una scelta di campo che rientra nell’ambivalenza inscritta nella musica stessa dell’opera così combattuta tra carattere sacro e profano. Di uno spettacolo che gira da anni per l’Europa con grande successo, non sono certo il primo a notare la precisione e la pertinenza della regia e delle scene in una trasposizione ottocentesca che soddisfa il senso di attualizzazione già presente in Gounod con i suoi tempi danzanti e gaudenti sparsi nella partitura, e nel contempo carica la resa registica di ambivalenze e polisemie interessanti e complesse: ad esempio il Mefistofele come diavolo salottiero, ironico e charmant, trasgressivo e viveur, un Faust che somiglia tanto ad un Dottor Jeckyll francese, Valentin, Siebel, Marthe, individuati da una regia attenta al dettaglio ed a inquadrare questi personaggi in una dimensione letteraria ottocentesca con le sue ipocrisie borghesi e le sue rêverie e i suoi slanci romantici che ricordano tanto capolavori come I Miserabili e I Misteri di Parigi; così maledettamente parigino – al limite di un’operetta hoffenbachiana- era inoltre il “Cabaret l’Enfer”, insegna luminosa a tutto campo con tanto di ballerine da Moulin Rouge e bandiere tricolori nella prima scena corale del second’atto. In tanta dovizia di risorse sceniche, i ruoli più riusciti sono senza dubbio il Méphistophélès di Paul Gay e la Marguerite di Carmela Remigio che risultano delle vere e proprie incarnazioni di archetipi letterari presenti nell’immaginario anche dello spettatore meno preparato: l’ambiguità sessuale del demone che bacia sulla bocca il disgustato Siebel, ironizza su tutto e prende persino figura cristologica nella scena della chiesa per distogliere Margherita dall’invocazione del perdono, indi, nella notte di Valpurga laddove la demonofania deve aver luogo (prima scena del quinto atto), eccolo travestirsi da gran dama in nero alla guida sovrana delle conturbanti figure di sfavillanti regine e cortigiane lussuriose dell’antichità; trovate sceniche efficacissime che denotano un grande lavoro di scavo drammatico unito a profonda intuizione registica piena di cultura e sensibilità: il crocifisso dal cui costato sgorga (orrore e meraviglia!) il vino offerto, nella kermesse della seconda scena del prim’atto, da Mefisto a popolani e soldati, all’apparire della sua forza demoniaca, si stacca dalla croce che si spezza in due, e cade in avanti con effetto stravolgente. Ho trovato che la regia di David McVicar, ripresa per questa occasione da Bruno Ravella, ha elaborato la figura di Méphistophélès “esorcizzando” quel certo diavolo ridanciano e quello spirito da taverna, che prevale nella parte gounodiana, restituendogli la sua dignità di principe degli inferi. Gli infiniti particolari della messa in scena denotano un lavoro notevole, una qualità altissima dei mezzi impiegati e delle idee, originalissime e rispettose del testo, ma il vero capolavoro di questa regia è il personaggio di Margherita che non è mai uguale a se stesso ad ogni sua apparizione: un progresso psicologico capillare del personaggio che vede l’interprete affrontare peripezie interpretative da innamorata, languida, fervida, appassionata, supplice, disperata nel finale del quarto atto, di fronte alla morte del fratello Valentin, e infine delirante nel quinto ove muore assorta e trasfigurata in una redenzione credibile e non esibita in modo enfatico. L’impegno del soprano Remigio in questo ruolo è stato decisivo per il successo della parte: correttezza ed espressività nelle roulades dell’aria dei gioielli, partecipazione totale nella scena del delirio finale dove i lunghi fiati delle frasi e giusti accenti drammatici in un francese impeccabile anche in singole parole sono stati interiorizzati dalla cantante in modo convincente nel gesto e nella voce. La doppia anima dello spettacolo tra dimensione “oleografica” ottocentesca e trasfigurazione trasgressiva della stessa emergeva anche nella grande scena danzante (il sabba) del primo quadro del quint’atto dove, tra le ballerine in tutù classico, spuntava una danzatrice scarmigliata e visibilmente incinta che destabilizzava tutta la compagnia di ballo rompendo le simmetrie e istituendo analogie suggestive e di grande effetto con la vicenda faustiana. Nel ruolo di Faust c’era il tenore Wookyung Kim che ha esibito una vocalità sfolgorante e sensibile – applaudita giustamente l’interpretazione dell’aria Salut, demeure chaste et pure – e la sua capacità acrobatica di stare in scena ha supplito alla scarsa credibilità del suo aspetto orientale per questo Faust molto parigino: peraltro la voce è piena e rivela una grana di tenore lirico ben versato nella pronuncia idiomatica del canto francese, campo in cui gli artisti di questa edizione –coro compreso- erano, a dire il vero, tutti impeccabili. Il Méphistophélès di Paul Gay è straordinario più dal punto di vista scenico interpretativo che vocale: doti di basse-baritone indubbie e comprovate per il colore di Mefisto che tanto deve somigliare al Don Giovanni mozartiano, ma che pure ha molte più nuances dinamiche e coloristiche; in questo senso avremmo voluto sentire un mordente maggiore e un’ampiezza più esibita soprattutto per l’aria del Vitello d’oro, con le sue turbinose e diaboliche quintine orchestrali su cui il demone dovrebbe torreggiare con maggior imponenza. Per il resto ottimamente il Valentin di Serban Vasile, baritono di ottima espansione timbrica espressa nell’aria Avant de quitter ces lieux con cui ha esordito molto bene e con la scena del duello fatale in cui ha suggellato il suo successo dovuto ad un ottimo rapporto tra qualità vocali e preparazione scenica. Il Siegel di Laura Verrecchia ha messo in campo qualcosa di molto più eloquente di un soprano dugazon come di solito viene considerato il ruolo: una vocalità piena e sicura per un personaggio rappresentato claudicante dalla intelligente regia di McVicar; la smagliante Marthe di Gabriella Sborgi dal profilo vocale molto ben definito di mezzosoprano, e il ben stagliato Wagner di Karl Huml, incisiva controparte baritonale di Valentin hanno costituito parti di fianco di una compagnia di altissimo livello vocale ed è noto come la qualità di una produzione si riscontri proprio dalle cosiddette parti di comprimariato. Un’orchestra vivida e una concertazione esaltante, quella offerta dal M.Valčuha, hanno accompagnato l’azione scenica emergendo potentemente proprio come un personaggio di quest’opera costellata di valori musicali sottesi al canto e ai diversi momenti scenici che apportano significati ulteriori e rivelatori al testo: prezioso quindi il risalto dato ai tempi, la scansione dei timbri strumentali e il giusto protagonismo fornito dal direttore alla componente sinfonica dell’opera. Preparatissimo il Coro del Maggio Musicale Fiorentino, era mosso in modo magistrale da una regia attenta a non prevaricare i personaggi con la massa dei coristi, ma nel contempo a rispettare la natura di uno spartito che è in gran parte corale; menzione speciale va anche al Maestro del coro Lorenzo Fratini, il quale ha calibrato i diversi piani sonori in piena sintonia con le scelte registiche; infine maliarde, evocative e funzionali alle scene erano le luci di Paule Constable riprese da John Percox ed anche ai vari e bei costumi di Brigitte Reiffenstuel ripresi da Anna Watkins: notevole la penombra venata di bagliori infernali nella scena della notte di Valpurga dove, dallo sfondo che rappresentava l’ampio ventaglio di palchi dell’Opéra parigina, si discerne a malapena la presenza di Mefisto celato sotto un ampio domino nero, tolto il quale, egli fa brillare tutte le ricchezze del suo costume. A questa meravigliosa esecuzione di un’opera che esige un impegno musicale e scenico così profondo come è avvenuto in questa occasione è corrisposto un successo pieno e unanime da parte di un pubblico soddisfatto e partecipe perché la chiarezza e la pertinenza di quanto avveniva sulla scena erano nettamente consone all’eccellenza dell’esecuzione musicale.
Faust
Dramma lirico in cinque atti. Libretto di Jules Barbier e Michel Carré tratto dal Faust e Marguerite di Michel Carré, a sua volta tratto dal Faust di Johann Wolfgang von Goethe Musica di Charles Gounod.
Direttore
Juraj Valčuha
Regia
David McVicar
Ripresa da
Bruno Ravella
Scene
Charles Edwards
Costumi
Brigitte Reiffenstuel
Ripresi da
Anna Watkins
Coreografia
Michael Keegan-Dolan
Ripresa da
Rachel Poirier
Luci
Paule Constable
Riprese da
John Percox
Maestro del Coro
Lorenzo Fratini
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Faust
Wookyung Kim
Marguerite
Carmela Remigio
Méphistophélès
Paul Gay
Siebel
Laura Verrecchia
Marthe
Gabriella Sborgi
Wagner
Karl Huml
Valentin
Serban Vasile
Danzatori
Chiara Afilani, Elena Barsotti, Maria Novella Della Martira, Martina Gerbi, Mariangela Massarelli, Gaia Mazzeranghi, Marika Meoli, Jessica Rapelli, Selene Scarpolini, Marianna Zanaglio, Luke Bradshaw
Figuranti speciali
Laura Bandelloni, Chiara Catelani, Diletta Della Martira, Ermelinda Pansini, Francesco Baldini, Alessio Nieddu, Leonardo Paoli, Lorenzo Torracchi
(Questo articolo è stato pubblicato la prima volta su www.themartian.eu)