Pieno successo per “Ermione” al ROF


di Andrea Zepponi

19 Ago 2024 - Commenti classica

Il mito di “Ermione” continua alla Vitrifrigo per il ROF 2024. Compagnia di canto maestosa con una Anastasia Bartoli superlativa. Straordinaria l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI sotto l’impareggiabile direzione di Michele Mariotti.

Il pieno successo ottenuto la sera del 13 agosto alla Vitrifrigo Arena dalla recita di Ermione, lavoro che Rossini presentò nel 1819 al San Carlo di Napoli  con scarsissimo consenso, rilancia l’idea che l’opera sia un mito sorto e creato dall’autore stesso, dalla critica e dal suo primo pubblico che pure la stroncò.

Come scrive Emanuele Senici nel suo saggio Ermione “musica dell’avvenire” dall’insuccesso al mito “l’insuccesso di Ermione iniziò dunque a essere usato per dimostrare che Rossini stava correndo avanti, stava audacemente sperimentando, in modo così radicale da perdere per strada il suo pubblico, rimasto irrimediabilmente indietro, non ancora pronto a seguirlo”.

Insomma, il fiasco iniziale di Ermione, bella di fama e di sventure, divenne il mito di Ermione e Rossini grazie a esso passò come drammaturgo musicale dedito alla sperimentazione, un riformatore alla costante ricerca di soluzioni nuove e originali, anticipatore di orientamenti che saranno poi seguiti dalle generazioni successive.

A torto il classicismo dell’opera venne accusato di essere pieno di declamazione e recitativi, perché invece ci sono arie, duetti e scene insiemistiche di grande respiro. Soprattutto quella finale di Ermione dove ella passa dalla furia vendicatrice al rimorso per aver istigato il delitto compiuto da Oreste cui ella aveva affidato l’uccisione dell’amato Pirro, il quale stava per impalmare Andromaca. Una scena molto articolata e sicuramente diversa da quella consueta dedicata da Rossini a un soprano: l’aria Se a me nemiche stelle ha tutti i connotati di una cabaletta, ma viene seguita dal grande monologo di arioso Che feci? Dove son? che cede il passo al duetto conclusivo con Oreste Sei vendicata e al bruciante finale dove l’eroe, maledetto dalla donna, viene condotto via alla nave da Pilade per sottrarlo alla vendetta del popolo.  

L’esecuzione cui ho assistito aveva certo tutti i presupposti del valore con una compagnia di canto maestosa in cui è prevalsa la prova di Anastasia Bartoli in Ermione che ha fatto fuoco e fiamme con i suoi balzi nella zona di petto da acuti stratosferici – la migliore forse del cast -; di Enea Scala nella faticosa parte di Pirro realizzata con dispiego di vocalità drammatica ben lontana dall’estetica rossiniana, e quella di Juan Diego Flórez come Oreste ben differenziato timbricamente dal rivale e ancora valentissimo, ma anch’egli alle prese con un ruolo visibilmente defatigante. Notevole il mezzosoprano autentico Victoria Yarovaya come Andromaca, se avesse emozionato di più in senso espressivo, ottimi interpreti il basso Michael Mofidian (Fenicio), il tenore Antonio Mandrillo (Pilade), i mezzosoprani Martiniana Antonie (Cleone) e Paola Leguizamòn (Cefisa) e il tenore Tianxuefei Sun (Attalo).

Una compagnia di primo livello belcantistico alle prese con la rappresentazione incisiva degli affetti che rasenta un realismo sui generis certo avulso da quello romantico.

Ottimo anche il Coro del Teatro Ventidio Basso diretto dal M° Giovanni Farina.

La sceno-regia ha giocato il tutto per tutto sul tema della passione amorosa dal punto di vista dello star-system e di rock star come Madonna o Mercury con i relativi costumi di Jorge Jara e le proiezioni continue di Bibi Abel su tutto il palcoscenico sistemato a scalone con diversi piani visivi delimitati da riquadri luminosi al neon.

La regia aveva bisogno di rappresentare l’eros con un Cupido anche troppo adulto sempre pronto a scagliare una freccia luminosa sui protagonisti.

L’ingerenza della funzione cinematografica era costante nelle scene di Heike Scheele, ma lo spettacolo pareva più vicino a un musical che a un’opera lirica. Ai lati dello scalone due tavole imbandite e alla sommità una lunga tavolata simboleggiante chissà quale banchetto. In alto, al centro, si apriva una dimensione crono-spaziale diversa da quanto accadeva sul palcoscenico (anche nella scena dell’Ermione 1986 di Pizzi c’era qualcosa di simile).

Juan Diego Flórez

Dalle stesse note di regia di Johannes Erath si coglie che l’attualizzazione veniva fatta in nome dei sempiterni errori dovuti alla passione da cui nessuno impara, neppure ai nostri giorni, quando si sacrifica l’amore sull’altare della vanità e la società gode nel vederli l’uno contro l’altro, come belve nell’arena, proprio come oggi accade a quanto si legge sulla stampa scandalistica. Sembra quasi che la regia abbia mutuato questa posizione ideologica dal film Le relazioni pericolose di Stephen Frears tratto dal romanzo di Choderlos de Laclos dove si ha una situazione simile: una donna cerca di rovinare un uomo pur amandolo profondamente al fine di affermare il suo potere su di lui, ma poi si pente in modo atroce per la sua morte dimostrando che amore e vanità sono incompatibili.

Le luci di Fabio Antoci rendevano in modo abbagliante la convulsione di una scena segnata dall’esibizionismo di personaggi e figuranti atteggiati a vari impulsi e orientamenti della passione erotica. Il figurante di Astianatte (non citato in locandina) sembrava la vittima designata del sadismo di tutti.

Il direttore, che reggeva in modo superbo una straordinaria Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, rivelava lo spessore di una partitura così complessa: Michele Mariotti, rossiniano laureato a pieni voti e con lode che non credo abbia tanti rivali, piuttosto emuli nel cercare di emozionare il pubblico, come solo lui sa fare, con il linguaggio orchestrale e strumentale indipendentemente da quanto accade sulla scena.

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