Paul Gilbert live @ container
di Giacomo Liverotti
7 Dic 2016 - Commenti live!, Musica live
GROTTAMMARE (AP) 21.10.2016. Parlando di Paul Gilbert, qualunque chitarrista, dal più tecnico dei metallari fino al bluesman più tradizionalista, pensa ad uno dei musicisti più interessanti e apprezzati della scena internazionale. La storia di quello che è considerato ad oggi il più grande virtuoso della chitarra hard rock è quanto mai singolare: a 15 anni di età decide di chiedere al manager di Ozzy Osbourne di suonare con il famoso cantante; nonostante sia solo un ragazzo, la tecnica che dimostra di possedere viene tenuta d’occhio dal manager, che lo spedisce a Los Angeles per perfezionarsi al MI (Musicians’ Institute). Grazie alle conoscenze fatte nell’accademia, Gilbert ha l’opportunità di raggiungere un buon successo nell’ambiente metal con i Racer X e di presentarsi successivamente al grande pubblico con i Mr.Big, famosi nei primi anni ’90 per la loro hit “To Be With You”. Nonostante questi ottimi risultati, il chitarrista sente di essere incompleto e racconta di aver avuto una sorta di “epifania”, un momento di vuoto esistenziale in cui si è reso conto di voler tornare alle radici della chitarra elettrica, al blues, e capire come rinnovare il genere. E’ proprio questo l’obiettivo che Paul Gilbert continua a perseguire dopo quasi 20 anni di carriera solista e lo show che presenta nel locale marchigiano scaturisce proprio da tale ricerca ininterrotta. Far convivere due realtà così diverse come la tecnica virtuosistica di ispirazione neoclassica (iniziata negli anni ’80 e portata al successo da chitarristi come Blackmore e Malmsteen) e le radici blues-rock di Hendrix e Jimmy Page, non è certo un compito facile; tuttavia il concerto è convincente e sembra realizzare alla perfezione questo connubio, specchio della variopinta personalità del musicista. Non è poi da sottovalutare l’apporto dei due musicisti che formano il trio con lui: basso (Kevin Chown) e batteria (Thomas Lang) si dimostrano all’altezza del band leader e tecnicamente ineccepibili. Il viaggio in cui Gilbert accompagna il suo pubblico è quello che ripercorre la sua vita: due lunghi medley, della durata di 20 minuti ciascuno, richiamano la giovinezza dedita alla tecnica estrema, alla velocità senza pari e a qualche hit dei suoi primi e più fortunati progetti; andando avanti, invece, si scopre la vena più matura del chitarrista, che suona brani meno famosi ma di grande qualità artistica, come i singoli estratti dal suo ultimo album “I Can Destroy”, ad esempio “Everybody use your goddamn turn signal” o la stessa title-track. In un crescendo di emozioni di poco più di un’ora e mezza, si arriva al suo brano più famoso “Technical Difficulties”, il cui titolo è già una buona descrizione delle incredibili “difficoltà tecniche” al suo interno; Gilbert si dimostra perfettamente a suo agio sul palco, nonostante la sala non sia pienissima e si diverte, come probabilmente ad ogni suo concerto, a vedere i volti sconvolti dei chitarristi che lo stanno ascoltando. Lo stupore non deriva solo dalle capacità tecniche uniche al mondo e che tutti gli invidiano, ma anche dalla stima che tutti provano per un musicista che ha saputo reinventarsi e spalancare i suoi orizzonti come pochi altri hanno il coraggio di fare.