Pat Metheny a Milano
di Giovanni Longo
8 Nov 2024 - Commenti live!
Il distillato d’arte chitarristica di Pat Metheny al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano.
(Foto di Andrea Esposito – JAZZMI)
Bel ritorno di Pat Metheny sulle scene italiane in occasione del MoonDial-Dream Box tour, che il 2 novembre ha fatto tappa a Milano, al Teatro Lirico-Giorgio Gaber. Stavolta il musicista del Missouri si esibisce in solitaria, sciorinando la propria versatilità alle prese con vari esemplari di chitarra, tra i quali spiccano la nuova baritona a corde di nylon (le cui sonorità l’hanno recentemente stregato) e la leggendaria Pikasso a 42 corde.
Pur pagando dazio all’inevitabile trascorrere del tempo, Metheny continua a stupire per la maestria con la quale padroneggia questi veri e propri capolavori di liuteria, rivelando grande energia specie quando si produce nei momenti più arditi e sperimentali del concerto, quelli più vicini alle atmosfere di un lavoro quale Zero Tolerance for Silence: qui lo strumento è “maltrattato”, se ne odono quasi i lamenti, Metheny graffia le corde col plettro, siamo ai confini dell’ascoltabile, ma le suggestioni, per chi le sa cogliere, ci sono e sono pure appaganti. Il menù propone debitamente brani del suo ultimo lavoro ma anche questo tour è evidentemente l’occasione per ripercorrere i tratti salienti di una carriera, con la novità che stavolta se ne celebrano i 50 anni. Frammenti da New Chautauqua, Still Life (Talking), Beyond the Missouri Sky, passando per This is not America, composta con David Bowie sulla base della versione strumentale, intitolata Chris, opera dello stesso Metheny e Lyle Mays per la colonna sonora di The Falcon and the Snowman. Omaggi a Charlie Haden, Ennio Morricone, Antonio Carlos Jobim.
L’artista sente anche il bisogno – questa la grande novità – di accompagnare la narrazione musicale con ampi (al limite della prolissità) inserti verbali per raccontare la sua famiglia di musicisti, i suoi inizi, le sue maggiori suggestioni artistiche (come Miles Davis e i Beatles), la sua amicizia con Charlie Haden – stupisce il silenzio su Lyle Mays – fino ad addentrarsi in spiegazioni tecniche sulle caratteristiche del nuovo strumento.
L’ultima parte dello spettacolo coincide con l’apparire dell’Orchestrion, l’ingegnosa orchestra meccanica, fino a quel momento rimasta coperta da un drappo nero. Il congegno – utilizzato per la prima volta nel 2010 nel disco omonimo – fa da supporto, insieme a un sapiente uso di suoni campionati, al momento clou dell’esibizione: forse un’improvvisazione, forse l’abbozzo di un brano ancora inedito, in cui Metheny percorre il palcoscenico da una chitarra all’altra – con un passaggio anche al basso elettrico – fino al momento culminante nell’”urlo” della chitarra Synth.
Quindi due bis, a beneficio dello zoccolo duro dei suoi fans. Pochi giovani tra il pubblico, ed è un peccato. Sarà stato il ponte festivo, o più probabilmente la distrazione figlia di un presente musicale a volte francamente avvilente. Come avevamo già avuto modo di dire due anni or sono in occasione del concerto al Teatro Arcimboldi per il Side-Eye tour si tratta delle ultime opportunità di vedere all’opera una delle figure più significative non solo del chitarrismo ma dell’intero panorama musicale contemporaneo. Fuor di retorica.