“PAGLIACCI & FRIENDS” a Barlassina: quando la lirica si fa con il cinema
a cura della Redazione
6 Dic 2024 - Commenti classica
Al Teatro Antonio Belloni di Barlassina (MB) è andato in scena “PAGLIACCI & FRIENDS”per la regia di Giovanni Belloni, presentato da Andrea Scarduelli. Applauditissimo spettacolo col tenore Alessandro Moccia, accompagnato al pianoforte da Riccardo Maria Ricci.
Una sala teatrale in stile tardo ottocentesco decorato con morbidi stucchi avvolgenti come panna montata e una platea dalle poltrone di velluto rosa pesca con alle spalle due ordini di elegantissimi palchi limitati solo al lato della sala quadrangolare opposto a quello di un palcoscenico dotato di tutte le risorse della modernità teatrale: il Teatro Antonio Belloni a Barlassina, località alle spalle di Seveso funziona a pieno ritmo grazie alla solerte ed entusiastica attività di Andrea Scarduelli, il cui chilometrico curriculum espongo all’attenzione del lettore con questo link https://www.tiquinto.ch/wp-content/uploads/2023/12/age_SCARDUELLIAndrea-presentazionelunediPasqua.pdf, il quale nel pomeriggio del 30 novembre scorso dalle ore 15:15 alle 18:00, in quello che si vanta “teatro d’opera più piccolo del mondo[1]”, ha creato lo spettacolo ideato, narrato e presentato dallo stesso Scarduelli, “PAGLIACCI & FRIENDS” con la regia di Giovanni Belloni anche maestro alle luci.
L’interesse della manifestazione può definirsi soprattutto di carattere pedagogico-illustrativo: il presentatore dello spettacolo, con la vivacità di un animatore, ha pensato bene di operare, con il suddetto regista, un confronto-raffronto di generi per un pubblico composto per lo più da detentori della mezza età eppure ignaro di opera lirica (ebbene sì, oggi la gente va in un teatro ricreato in stile e non sa più cosa sia la Tosca né cosa avviene nella Bohème, in quale contesto storico si situa la vicenda di Andrea Chénier, quale il dramma di Fedora e quello di Otello, insomma non sa più nulla senza dover associare queste figure a qualcosa di più noto) tanto da demandare alla cinematografia del primo ‘900 il compito di farsi richiamare alla memoria i capolavori dimenticati.
Secondo il discorso dipanato nello spettacolo il cinema sta all’opera lirica come la cartellonistica sta al presunto sapere elitario e alla fine l’equazione è perfetta; o no? … visto che l’opera è stata nel passato oggetto di produzione cinematografica può avere accettazione maggiore presso un pubblico che la ritiene roba vecchia, datata, risucchiata ormai nel dimenticatoio delle cose morte? Non sarà che invece proprio quei film di cui scorrevano le affiches e alcune scene sullo sfondo – I pagliacci con la Lollo, Vie de Bohème di Aris Kaurismäki, Fedora con un Amedeo Nazzari e altri bellicapelli della decima musa del ventennio sono i veri ferrivecchi ormai in disuso, più che mai datati e davvero caduti nell’oblio?
E che magari ci vuole una grande voce di tenore e un ottimo pianista a risvegliare ricordi perduti reintegrando i giusti rapporti tra gli originali di eccelso valore ma di genere diverso e le loro copie usate e consumate. Allora sì che il pubblico potrebbe apprezzare in senso platonico il fatto che la copia è molto meno preziosa e interessante del modello. Tanto più si poteva accennare che alcune opere liriche del ‘900 nascono – o guarda caso l’esatto contrario! – proprio da uno spunto cinematografico, ma questo è un altro discorso.
L’intento didattico del presentatore però non si fermava a questo – all’operazione pur encomiabile messa in piedi al fine di rilanciare la lirica nel supposto baratro della crassa ignoranza comune -, ma dalla sua postazione didascalica spiegava altresì che anche le vicende delle opere liriche sono comunque copie tratte da innumerevoli originali letterari (centrando più o meno il genere: Tosca viene da un romanzo? Mah); giustamente dall’Otello shakespeariano provengono il film con Orson Wells e anche quell’opera musicale di un tal Verdi di cui il presente cantante farà sentire la morte di Otello.
Questa era la percezione generale e lo stesso titolo “Pagliacci e compagnia” – perché mai stilato in inglese? Forse per rievocare la primordiale operazione di abbassamento dell’opera al rango della musica pop e rock operata dal Pavarotti nazionale con il suo Pavarotti and friends? – rivelava lo statuto generale della concezione di tutto lo spettacolo: Andrea, Otello, Mario, Marcello, Romeo e compagnia bella sono tutte maschere di un teatro che si può ormai permettere di porre sullo stesso piano prosa e lirica, musica e cinema, recitazione e canto, scena teatrale e set cinematografico. Esattamente ciò che si sta facendo oggi sulla scena lirica dove registi ignari di musica e di spartito traggono ispirazione dal cinema e dal teatro di prosa mescolando le carte per cui, complici le succitate “risorse moderne” di invasive proiezioni digitalizzate e filmicamente manipolate, ci ritroviamo la scenografia di un’opera lirica che pare quella di un film del tipo Guerre Stellari.
Componenti prestati a questo, peraltro, applauditissimo spettacolo erano il tenore Alessandro Moccia, accompagnato al pianoforte dal Maestro Riccardo Maria Ricci il quale ha avuto modo di esibire il suo prezioso e misurato pianismo anche da solo in quanto non si trattava di un recital del tenore ma, giova ripeterlo, di uno spettacolo sui generis. I due hanno cantato e suonato con sullo sfondo cartelloni di vecchi film: la finissima trama orchestrale dell’intermezzo della Manon Lescaut pucciniana interpretata al pianoforte da Ricci aveva per compagnia il cartone di un film omonimo quanto “anonimo”, poi, ma solo per il fatto che si nominavano le stelle durante l’aria di Cavaradossi “E lucean”, è stata esibito l’effetto speciale del teatro di far accendere sul soffitto tanti led simulanti il cielo stellato.
La voce eclatante di Moccia ha presentato le seguenti arie d’opera: “Colpito qui m’avete… Un dì nell’azzurro spazio” dall’Andrea Chénier di Umberto Giordano, “Musette, gioia della mia dimora… Testa adorata” da La bohème di Ruggero Leoncavallo, “Giulietta! Son io! Non mi vedi?” da Giulietta e Romeo di Riccardo Zandonai (su cui il presentatore ha precisato la varietà con cui i tanti testi antecedenti l’opera hanno invertito nelle varie epoche nel titolo i due nomi), l’immancabile scena “Recitar! Mentre preso dal delirio … Vesti la giubba e la faccia infarina” da Pagliacci di Leoncavallo, il suddetto brano “E lucean le stelle” dalla Tosca di Puccini, e, dopo la perfezione dell’atmosfera scaturita dall’intermezzo pianistico di Manon Lescaut, l’aria “Amor ti vieta” dalla Fedora di Giordano e infine il “Niun mi tema”, la morte di Otello dalla omonima opera verdiana. La cascata di suono tenorile riempiva la sala come fosse una piscina déco inondata d’acqua luminosa. I respiri di effetto drammatico gravidi di plateale sofferenza e intrisi di lacrime vocali nei punti più struggenti tutti compresi nell’afflato verista. Un espressionismo, quello di Moccia, condotto sulle corde di un istinto lirico irresistibile che trascende le regole del canto e la tecnica più funzionale a un recital vero e proprio. In effetti questa componente dello spettacolo aveva il suo posto non eminente sulle altre che spiccavano tutte brillando di luce propria.
I bis non potevano essere tratti che da un accattivante e suppostamente conosciuto ai più repertorio partenopeo: “Dicitencello Vuje”, “Tu ca nun chiagne”, per finire nell’ “O sole mio” che doveva convogliare il congedo della cavata tenorile. Un debutto dei due artisti Moccia-Ricci al Belloni di Barlassina di grande richiamo per un pubblico locale e non che apprezza l’attività del teatro e di chi lo gestisce esibendo suoi sponsor e partner i cui principali sono la BCC di Barlassina, l’Istituto Italiano di Cultura a Hong Kong, il Teatro Nacional de Guatemala, la Savonlinnan Oopperajuhlat, ecc. Altri soggetti che figuravano nel programma di sala per questa “XVI rappresentazione della XV stagione autunno MMXXIV”[sic!], Pamela Lizio, coordinatrice del teatro, Riccarda Bonfanti, direttrice di sala e Giuliano Brenna, direttore di palcoscenico.
[1] Il teatro – Teatro Antonio Belloni | Piccola Accademia