Ottimo il “Trovatore” di Verdi a Jesi
di Roberta Rocchetti
24 Ott 2022 - Commenti classica
Il Trovatore di Verdi apre alla grande la 55esima stagione lirica dello splendido Teatro Pergolesi di Jesi. Ottima la messa in scena e il comparto musicale.
(Foto di Stefano Binci)
Oscurità, ombre.
Per gli antichi popoli la cui spiritualità era legata ai ritmi della natura questo era il periodo dell’oscurità e del sonno, in questo periodo infatti cadevano le ritualità legate al mondo dei defunti, chiamati anche ombre.
Cadevano in questo periodola terza data del Mundus Patet per i Romani, si celebrava Samhain (divenuto poi Halloween per effetto del sincretismo) tra i popoli di area celtica, per questo successivamente anche i cattolici decisero di commemorare i defunti nel periodo in cui la natura sembra morire in attesa di una resurrezione primaverile.
In questo contesto un’opera “oscura” come Il Trovatore trova la sua esatta collocazione e le sue note si ammantano di simbologie che vanno a scovare quell’oscurità nella mente umana ove a volte si celano.
In poche opere come questa sono simbolicamente così ben rappresentati gli archetipi che contraddistinguono le vicende umane, a partire dal personaggio di Azucena che, come Medea, incarna i più agghiaccianti tabù materni, per seguire con quello del Conte di Luna, soggetto nel quale l’ego batte forte più del cuore e di qualunque legame familiare rendendolo di fatto crudele e spietato, per finire con Leonora, pura, di un bianco senza sfumature e per questo inadatta alla vita, che risolve con la morte l’impossibilità di cedere ad un ricatto, per finire al suo amato e quasi inconsapevole, (come solo i personaggi tenorili sanno essere) Manrico, che da quella oscurità viene travolto avendoci capito ben poco e divenendo anche lui di fatto archetipo di ingenuo e imprudente eroismo.
Ombre create da un’unica luce che è quella sinistra del rogo.
Nessun periodo migliore dicevamo, ed è proprio nella serata di venerdì 21 ottobre che abbiamo assistito al capolavoro verdiano al Teatro Pergolesi di Jesi, nell’ambito della 55esima stagione lirica del bellissimo teatro marchigiano.
Il sipario si è aperto sulle essenziali scenografie di Domenico Franchi. Trasparenze, giochi di ombre (appunto), scale di grigi, scale in carne ed ossa e poco più a fare da supporto alla vicenda verdiana, eppure il tutto, grazie anche alle luci di Fabrizio Gobbi ha funzionato perfettamente, evocando atmosfere cupe e opprimenti, costringendo lo spettatore a concentrarsi sul dramma emotivo dei protagonisti senza distrazioni di sorta, i costumi curati dallo stesso Franchi, hanno come macchie di colore, messo in risalto i personaggi in maniera cronologicamente aderente ma al tempo stesso atemporale, come figure su un mazzo di carte.
Ottimo il comparto musicale, partendo dalla direzione di Francesco Rosa che non ha temuto di dirigere il cigno di Busseto dando a Verdi quello che è di Verdi, dimostrando che seppur concedendo e lasciando alla partitura tutto il suo potenziale di drammaticità, solennità, epicità ed emozione non si rinuncia all’eleganza, Rosa ha estratto dalle dinamiche sospiri, tuffi al cuore, esitazioni, rivelazioni, rendendola tridimensionale e sviluppando dunque tutte le dimensioni possibili di questa partitura meravigliosa.
Suggerimento perfettamente colto dal Manrico di Gaston Rivero, il tenore uruguaiano possiede una voce potente e ricca di capacità interpretative, abbiamo sentito in ogni nota cantata lo stato d’animo da cui scaturivano con un cromatismo cangiante mai monodimensionale e perfettamente in linea con la regia di Deda Cristina Colonna che non ha ritenuto di far compiere gestualità troppo accentuate sul palco e che anzi, in certi momenti ha con grande efficacia reso dei coreografici “fermo immagine” atti ad evidenziare la ieraticità e la dimensione intima del dramma, lasciando quindi alla capacità interpretativa soprattutto vocale dei protagonisti il compito di comunicare l’emozione e Rivero è riuscito ottimamente nell’impresa.
La Leonora di Marily Santoro è andata via via delineandosi mano a mano che la narrazione procedeva, un po’ più incerta all’inizio sui passaggi di registro e sulle agilità ha poi esibito una stoffa di pregio dando a questo personaggio una profondità e una consapevolezza dal linguaggio attuale e moderno e per questo commovente.
Il Conte di Luna ovvero Jorge Nelson Martinez Gonzáles ha voce dal volume corposo, grande sonorità, ottima dizione, dinamico e senza quella rigidità quasi incorporea che a volte distingue il suo personaggio ha saputo dare spessore umano a quella che dopotutto è solo un’altra vittima di sé stesso e del dramma, stranamente proprio Il balen del suo sorriso è sembrata essere un po’ più dissociata emotivamente dal resto ma tecnicamente ineccepibile.
Senza riserva alcuna l’apprezzamento per la Azucena di Carmen Topciu, grande presenza scenica, carisma, voce in grado di scuotere e colmare il teatro, misura ed equilibrio. Pubblico univoco nel renderle il giusto tributo.
Ottimo vocalmente e sul piano interpretativo anche il Ferrando di Carlo Malinverno, che ha saputo rendere questo personaggio il protagonista che è.
Apprezzati anche il Ruiz di Francesco Marsiglia e la Ines di Brigida Garda, chiudono il cast il vecchio zingaro di Gianni Paci e il messo di Alessandro Pucci.
Conosciamo da anni la professionalità e la competenza dell’ Orchestra Filarmonica Marchigiana, ma sotto la guida di Rosa riteniamo che abbia davvero espresso tutte le proprie potenzialità sfruttandone la guida impeccabile e accorta, rendendo il capolavoro verdiano con precisione e nitidezza di suono, senza sbavature e dimostrando che potenza non è caciara se si sa quello che si fa, così come preciso e suggestivo è stato il Coro Lirico Marchigiano V. Bellini diretto dal Maestro Riccardo Serenelli.
Archetipi dicevamo, come figure simboliche dipinte sullo sfondo neutro di un mazzo di Tarocchi, gli stessi che in questa produzione Azucena stende davanti a sé quando dice a Manrico “Fugge il sonno a queste luci… Prego”.
Ombre. Che potranno essere dissolte solo dalla rinascita di un Sole, diciannovesima carta degli Arcani Maggiori, che comunque non manca mai all’appuntamento e sempre sorge.
Un lungo applauso finale ha chiuso la serata e.… il mazzo di carte. Replica domenica 23, poi prossimo appuntamento I Capuleti e i Montecchi di Bellini il 4 e 6 novembre.