Otello al Ventidio Basso dopo 40 anni


Silvana Scaramucci

4 Ago 2011 - Commenti classica

<b<ASCOLI PICENO. Poderosa e drammaticamente incisiva l'Otello di Verdi l'opera della maturità del maestro di Busseto, proposta alla Scala nel 1887 con ottima accoglienza di pubblico e critica ha trovato nell'allestimento del teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno un palcoscenico ideale che ha esaltato l'impianto narrativo originario, tutto incentrato nello scavo psicologico dei tre personaggi protagonisti, così come concepito dal libretto di Boito e dalla partitura musicale del più grande musicista italiano. Rigore filologico e nessun cedimento ad apporti innovativi, come si fa sempre più spesso nelle riproposte odierne del melodramma: questi i pregi che sono balzati subito all'occhio, e soprattutto all'orecchio del numeroso pubblico di melomani che pregustavano l'evento in trepidante attesa di un ritorno, dopo più di quarant'anni tanti ne sono trascorsi dall'edizione che vide nientemeno che Mario Del Monaco vestire i panni del moro di Venezia al massimo ascolano. E le aspettative non sono andate deluse, tutt'altro. Impianto scenico, voci, conduzione strumentale, performances hanno decretato la riuscita di un'opera per niente facile e, se vogliamo dirla tutta, intellettualmente virtuosistica nella partitura. Ma procediamo per ordine, facendoci largo fra le molteplici emozioni suscitate dalle originali trovate della direzione artistica innanzitutto, del baritono ascolano, Vittorio Vitelli, del regista e costumista Michal Znaniecki, del maestro concertatore e direttore d'orchestra Marco Guidarini, ma soprattutto del regista Luigi Scoglio. A quest'ultimo infatti si deve la strepitosa intuizione di aver ambientato l'Otello (nella lettura verdiana a Cipro) sullo sfondo del quattrocentesco Palazzo dei Capitani a firma di Cola d'Amatrice, reso duttile col sapiente gioco di luci, a cura di Bogumil Palewicz, a farsi ora cornice esterna ora luogo d'interni, atto comunque ad evocare, nel movimento architettonico, il realismo ambientale del tempo in cui si consuma la tragedia. Ma poichè l'opera è un insieme di sollecitazioni sensoriali su cui, tuttavia, primeggia il patrimonio vocalistico, diciamo subito che il cast ha offerto voci davvero efficaci. A cominciare dal baritono Vittorio Vitelli nei panni di Jago, molto persuasivo come genio del male, poco tarlo come lo volle Boito, molto determinato nella gestualità recitativa e nella tonalità sottilmente insinuante, dal tenore Antonello Palombi perfetto nelle vesti del moro sia per stazza che per impulsività mimica, la cui voce per tonalità e colore e timbro evoca le migliori espressioni tenorili che da qualche tempo erano latitanti, nondimeno grande il soprano Iano Tamar, una dolce Desdemona dal timbro cristallino e molto ben impostato. Ma anche i ruoli minori meritano una menzione, il tenore Cesare Catani (Cassio), il mezzosoprano Giovanna Lanza (Emilia), il basso Raffaele Costantini in Ludovico, il basso Alessio De Vecchis. Un plauso va pure ai giovanissimi maestri componenti dell'Orchestra Stanislaw Moniuszko, la cui mirabile esecuzione sotto la direzione del m. Guidarini è stata messa a dura prova dalla brezza serale che nelle casse creava risonanza .è l'inconveniente delle rappresentazioni all'aperto, ma alla fine la sfida è risultata vincente. Molto scenografico e puntuale nell'esecuzione il Coro Ventidio Basso diretto dal M. Carlo Morganti. Severi i costumi, attinenti alla ricostruzione epocale. Ma .perchè Desdemona ha dovuto indossare un abito da sera da perfetta sirena? Ce lo siamo chiesti in tanti fra il pubblico, oltretutto la serata è stata freddina anzichè no, e quelle spalle nude per la pudica fanciulla saranno state un tormento?
(Silvana Scaramucci)


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