On line “La bohème” dal Teatro Regio di Torino


di Alberto Pellegrino

3 Feb 2021 - Commenti classica

Abbiamo seguito on line la prima de “La bohème” di Puccini trasmessa su Classica HD dal Teatro Regio di Torino. Bella edizione fortemente condizionata dalla mancanza di pubblico e soprattutto dalle esigenze di distanziamento.

Foto Ivano Coviello© Teatro Regio Torino

In occasione del 125° anniversario della prima assoluta è stata nuovamente allestita La bohème di Giacomo Puccini, che aveva debuttato il 1 febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino. Questo un nuovo allestimento è stato purtroppo prodotto in assenza di pubblico ed è stato proposto on line in prima visione esclusiva su Classica HD (Sky, canale 136) sabato 30 gennaio (ore 21:30), in replica domenica 31 gennaio (ore 15:00) e in streaming sul sito del Teatro Regio l’1 all’8 febbraio 2020.

La direzione dell’Orchestra e del Coro del Regio è stata affidata al M° Daniel Oren, che aveva già diretto nel 1996 l’edizione del “centenario”, il quale ha interpretato lo spartito pucciniano con la consueta efficacia, alternando momenti di forte passione ad altri di raffinata e poetica sensibilità. Per questo allestimento le scene (a cura di Leila Fteita) e i costumi (a cura di Nicoletta Ceccolini) sono stati fedelmente ripresi dai celebri bozzetti creati da Adolf Hohenstein per la prima del 1896 e custoditi dall’Archivio Storico Ricordi.

Adolf Hohenstein (Pietroburgo,1854–Bonn, 1928) è stato un pittore, illustratore, scenografo e figurinista tedesco, un esponente del Liberty che viene considerato uno dei padri della moderna cartellonistica italiana per aver curato le campagne pubblicitarie di alcune importanti ditte nazionali come la Campari e la Buitoni. Nel 1880 Hohenstein si è stabilito a Milano e ha cominciato a lavorare come direttore artistico per le Officine Grafiche Ricordi, curando la parte grafica per la produzione di manifesti, cartoline, copertine di spartiti e libretti d’opera (celebri i suoi manifesti per Le Villi, La bohème, Tosca, Madama Butterfly di Puccini). Come scenografo e costumista ha lavorato soprattutto per il Teatro La Scala, realizzando i bozzetti di scene e costumi per Edgar di Puccini, I maestri cantori di Norimberga di Wagner, La Wally di Catalani, Cristoforo Colombo di Franchetti, Falstaff di Verdi; per il Teatro Regio ha disegnato scene e costumi per Loreley di Catalani, Manon Lescaut e La bohème di Puccini, per Tosca al Teatro Costanzi di Roma.

La bohème è sicuramente l’opera più amata e più “vissuta” in senso autobiografico  da Puccini, il quale ha affidato la scrittura del libretto ai suoi autori di fiducia Giuseppe Giacosa e Luigi Illica che, ispirandosi al romanzo di Henri Murger Scene della vita di Bohème, sono riusciti a creare un piccolo capolavoro drammaturgico, mettendoci un notevole impegno per adattare le situazioni e i personaggi del testo originario agli schemi e all’intelaiatura di un’opera lirica.  Da parte sua, Puccini ha impiegato tre anni di lavoro per scrivere la partitura, mentre l’orchestrazione è stata abbastanza veloce e viene completata alla fine del novembre 1895.

L’opera è nata da una sfida tra Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo, i quali si sono trovati a gareggiare nel comporre contemporaneamente due opere tratte dalla stessa fonte, ma la sfida è stata ampiamente vinta da Puccini, dato che la sua opera è diventata una delle più popolari al mondo, mentre quella di Leoncavallo è ormai caduta nel dimenticatoio ed è uscita dai repertori. Boicottata da Sonzogno, l’editore di Leoncavallo, l’opera non ha debuttato alla Scala ma al Teatro Regio di Torino con la direzione del ventinovenne maestro Arturo Toscanini. Nonostante l’immediato successo di pubblico, la critica si è dimostrata all’inizio piuttosto ostile in un’epoca di trionfante wagnerismo e di verismo, per cui solo in un secondo momento sono stati riconosciuti i meriti di questo ormai indiscusso capolavoro.

La regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, legata alla scenografia storica, si è limitata a dirigere l’azione degli interpreti in parte limitata dall’obbligo delle misure di sicurezza, per cui Rodolfo e Mimi non si sono mai abbracciati per tutta la rappresentazione ed è comprensibile il disagio nell’interpretare celebri arie come Che gelida manina, Sì, mi chiamano Mimì e il duetto O soave fanciulla, mantenendo la distanza di uno o due metri. Al pari le liete e festose atmosfere del Quartiere Latino sono apparse alquanto surreali con i coristi e i figuranti obbligati a portare sul volto la mascherina. La scenografia ha invece mantenuto tutto il suo fascino retrò che ha giustificato questa operazione di recupero “archeologico”: forse la soffitta è apparsa un po’ troppo datata rispetto alla scintillante scena del Caffè Momus, mentre la scenografia del terzo quadro è riuscita a mantenere intatte le poetiche atmosfere della Barriera d’Enfer, del cabaret “Al porto di Marsiglia” e della piazzetta con le panchine e i platani avvolti nel candore della neve e pervasi da una soffusa luce lunare.

L’opera è stata interpretata da cantanti tutti all’altezza dei loro ruoli. In primo piano è apparso il soprano Maria Teresa Leva, una Mimì convincente e appassionata, capace di una raffinata e controllata emissione di voce, la quale gli ha consentito di disegnare questa grande figura femminile, che va ad affiancarsi alle altre eroine pucciniane (Manon, Suor Angelica, Tosca e Liù). Ugualmente apprezzabili sono stati il baritono Massimo Cavalletti, un Marcello ironico e appassionato, e il soprano Hasmik Torosyan pienamente in parte nel valzer di Musetta del secondo quadro. A volte discontinuo è apparso il giovane tenore Iván Ayón Rivas (Rodolfo) che nel primo quadro ha mostrato qualche difficoltà nel controllo dei registri vocali soprattutto nei sovracuti. Il cantante si è poi riscattato nel terzo quadro (a nostro avviso un capolavoro all’interno del capolavoro pucciniano), perché ha saputo ricreare le raffinate colorature e le poetiche atmosfere del sublime duetto con Mimì, che lo aveva preceduto con la commovente aria Donde lieta uscì. Ugualmente all’altezza è apparso il tenore nel duetto tra Rodolfo e Marcello all’inizio del quarto quadro, mentre Maria Teresa Leva ha ancora fornito una convincente prova interpretativa nello struggente assolo finale Sono andati? Fingevo di dormire.

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