Adriana Argalia
Trac! lo spettacolo cominci
Fondazione Pergolesi-Spontini/Banca Popolare di Ancona, 2012
Adriana Argalia e la fotografia teatrale
Recensione di di Alberto Pellegrino
Adriana Argalia è nata nel 1948 a Jesi, dove
ha insegnato materie letterarie nella scuola media superiore e dove
vive e lavora, coltivando da sempre una grande passione per la
fotografia, che ha praticato con dedizione e tenacia, con impegno
culturale e artistico, senza mai trascurare la ricerca tecnica e gli
approfondimenti linguistici. Per merito di questo costante e
“testardo” impegno artistico, sempre esercitato come Mario
Giacomelli nella feconda provincia italiana, l’Argalia ha saputo
conquistato una sua precisa collocazione nel panorama italiano della
fotografia accanto ad altre fotografe-donne come Letizia Battaglia,
Maria Mulas, Elisabetta Catalano, Emanuela Sforza. Ha partecipato a
mostre collettive e ha tenuto diverse personali a Roma, Firenze, Bari,
Siena, Pesaro, Fermo, Ancona, Spilimbergo, Milano, Trieste, Messico,
Parigi, Stoccarda, Francoforte; le sue immagini sono apparse in diverse
pubblicazioni e sono entrate in collezioni importanti come la Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi, l’Ikonos Centre (museo virtuale della fotografia ideato dal Craf), il Fox Talbot Museum in Inghilterra, l’Erich Lessing Culture and Fine Arts Archives di Vienna. La sua prima pubblicazione risale al 1998 ed è intitolata Jesi (Comune di Jesi/Banca Nazionale del Lavoro), seguita poi da Fluisce alla terra il cielo (Banca Marche, 1999), Ritratti. Orizzonti femminili (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari, 2005), una m@meil dalla luna (Banca Marche, 2006), Castelbellino
(Comune di Castelbellino, 2009).
L’Argalia si è affermata grazie a uno stile personale e
libero da schemi, sorretto da un’ottima tecnica fotografica che
le ha consentito di raggiungere risultati di grande spessore nel bianco
e nero, usato spesso in modo molto intenso secondo la lezione di un
maestro come Mario Giacomelli. Un’altra cifra della sua
fotografia è la raffinatezza compositiva che diventa espressione
di una carica di un lirismo evidenziato dalla scansione poetica delle
varie tonalità della scala cromatica che vanno dal nero assoluto
al bianco assoluto attraverso le varie gradazioni dei grigi. Molto
riservata e mai aggressiva, Argalia ama muoversi con circospezione
dentro la realtà quotidiana per osservate persone e cose, per
fissare momenti di vita, per cogliere riflessi di luce e frammenti di
architetture, per raccontare la città segnata dalla luce solare
o immersa nelle ombre artificiali della notte, per
“catturare” lo scorrere delle stagioni sopra le variegate
modulazioni della campagna marchigiana. Argalia è riuscita negli
anni a mettere a punto una personale “poetica del
dettaglio”, che nasce da uno speciale culto dei particolari,
dalla capacità di cogliere i segnali che arrivano dalle piccole
cose: fiori che sbocciano sulla terra o nei vasi, vecchie carte
abbandonate e stropicciate, pareti di canne tesi come sipari tra le
quinte urbane, panni appesi tra i vicoli, gabbiani in volo o immobili
sulla riva del mare, un universo femminile e maschile che ingloba tutte
le età e tutte le condizioni sociali, che viene rappresentato
con un’intensità psicologica e un’acutezza
sociologica che non trascurano mai l’aspetto umano e il risvolto
poetico dell’esistenza, in una continua ricerca di libertà
espressiva e di esaltazione della fantasia. Dietro questa visione
apparentemente “minimalista”, si scopre attraverso un
secondo livello di lettura una ricerca più profonda che tende a
dare una personale interpretazione di una realtà fatta di
ambienti naturali, contesti urbani, oggetti inanimati, presenze umane o
animali, a volte rappresentati attraverso ingrandimenti lenticolari che
tendono a scavare nella profondità dei vari soggetti. In questo
modo Argalia riesce a provocare un coinvolgimento sentimentale ed
estetico che va ben oltre una pur evidente eleganza formale, a
trasmettere la consapevolezza di trovarsi di fronte a opere dotate di
un loro individuale e preciso significato, ma nello stesso tempo
collegate fra loro da una evidente unità stilistica e tematica,
per cui si possono individuare dei precisi e ben strutturati percorsi
narrativi che formano un universo iconografico di grande respiro
lirico, all’interno del quale trova una sua collocazione anche il
ritratto con una predilezione per il mondo infantile e femminile,
riuscendo a cogliere l’esuberanza del gioco, la grazia di un
atteggiamento, la dolcezza di uno sguardo, la fluida armonia di un
movimento. Adriana Argalia è affascinata anche da un’idea
di città che ricorda le “città invisibili” di
Italo Calvino: “La città non dice il suo passato, lo
contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle
vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle
antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere”.
L’autrice ama vedere la città attraverso cortine di vetro,
tendaggi sinuosi e irreali, terrazze dove il sole scivola sui panni
stesi ad asciugare, vicoli e strade segnate dalla luce o immerse nelle
ombre della notte, presenze umane quasi mai dichiarate ma spesso
ridotte a misteriosi dettagli, foglie e rami di giardini impenetrabili
ridotti a ombre appena decifrabili, squarci urbani metaforicamente
riflessi nello specchio di una pozzanghera. A questa visionaria
rappresentazione della città rientra anche un degrado urbano
fatto di vecchie case, palazzi abbandonati, armature rivestite da
cortine di plastica per nascondere un doloroso decadimento, capannoni
dismessi e lasciati lì come segni inquietanti di una
civiltà del lavoro ormai agonizzante. Siamo di fronte a una
sorta di “lirismo degli spazi” che affonda le sue radici in
un realismo fiabesco che penetra con pudore nel quotidiano e lo avvolge
in un climax di mistero, dove la fantasia si perde nel volo di un
gabbiano o nell’inseguire una nuvola che corre libera nel cielo,
un lirismo che Italo Zannier così definisce: “Il racconto
di Argalia percorre un suo itinerario privato, dettato spesso da fugaci
effetti di luce, da presenze misteriose, inquietanti, irripetibili;
ombre di maschere naturali create dal Sole, che emergono da un
paesaggio dove le architetture sono osservate come totem stagliati nel
cielo o appiattiti nella luce abbacinante della strada”. A
partire dal Duemila l’Argalia ha affiancato al prediletto bianco
e nero l’uso del colore e della macchina digitale con risultati
di ottimo livello. Del resto la fotografia elettronica, se da un lato
si presta a un uso “cartolinesco” della fotografia,
dall’altro consente a chi possiede sensibilità artistica,
tecnica consolidata e padronanza linguistica di realizzare opere a
colori e in bianco e nero capaci di mettere insieme tradizione e
innovazione. L’Argalia ha incontrato nel 2005 il Teatro ed
è stato un amore a prima vista, che si è concretizzato in
un sodalizio artistico con la Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi per
conto della quale ha documentato fotograficamente tutti gli spettacoli
di prosa, opera lirica e danza classica che sono andati in scena nel
Teatro Pergolesi e nel Sistema di teatri della Vallesina. Diverse di
queste fotografie sono servite per realizzare i manifesti delle
stagioni di prosa dal 2006 al 2012 e per le campagne di comunicazione
promosse dalla Fondazione Pergolesi-Spontini, la quale alla fine del
2012 ha pubblicato, unitamente alla Banca Popolare di Ancona,
un’ampia antologia delle immagini scattate dall’Argalia. Il
volume di grande formato raccoglie 72 immagini in bianco-nero e 84 a
colori e s’intitola Trac! lo spettacolo cominci, facendo riferimento all’espressione Avoir le trac
usata nel gergo teatrale per esprimere l’emozione paralizzante
che l’attore prova alcuni istanti prima di entrare in scena. Si
tratta di un’opera che segna a pieno diritto l’ingresso
dell’Argalia del complesso e difficile mondo della fotografia
teatrale, finora praticata ad alto livello da pochissimi
professionisti. L’autrice ha sentito il bisogno di fissare nelle
immagini quella straordinaria metafora della vita che è il
teatro, un mondo irreale che si trasforma in realtà visiva sulla
scena. L’Argalia si propone di trasferire nelle fotografie, che
sono di per sé materia inerte, quelle emozioni, quelle
sensazioni, quei giochi della fantasia che si materializzano sul
palcoscenico e lo fa con un guizzo di colore, un gioco di ombre, lo
sfavillio di un velo, la forza cinetica trasmessa da figure in
movimento con la consueta eleganza compositiva delle inquadrature, con
l’uso funzionale del “mosso” e dello
“sfocato”. Lo stesso contenitore teatrale diventa
protagonista attraverso la suggestione di una scena o di una platea
vuote, il fremito dell’orchestra, la presenza sensibile degli
spettatori in un gioco di colori che vanno dal rosso profondo al blu
intenso senza mai rinunciare a un’armonica padronanza dei
cromatismi. C’è di tutto in questa antologia teatrale:
l’eleganza della danza che spazia dal balletto classico al
flamenco; la vivacità delle opere buffe di Pergolesi, Cimarosa e
Rossini; il fascino di grandi rappresentazioni teatrali come Gli uccelli di Federico Tiezzi, Anna Karenina di Nekrosius o Giorni felici di Bob Wilson; le magiche atmosfere di grandi opere liriche come il Macbeth di Svoboda con le sue maschere inquietanti e violente che emergono dal buio come fantasmi, il supremo sacrificio di Madama Butterfly avvolta nel gelo di un candore lunare; le cupe ombre della follia e il tragico amore di Lucia di Lammermoor.
Vi sono infine numerosi ritratti in bianco e nero che, pur guardando
con incisività al personaggio, mettono in risalto
l’umanità e la psicologia d’importanti attori,
cantanti e danzatori, rappresentati con drammaticità e ironia,
partecipazione emotiva ed eleganza compositiva. Nasce in questo modo
una serie d’immagini che non sono mai statiche, ma fissano il
significativo movimento di un corpo, l’espressione di un volto,
la liberazione di un grido, la smorfia di un dolore, formando
quell’affascinante universo di “popolo del teatro”,
così definito a suo tempo da Maurizio Buscarino, indiscusso
maestro della fotografia teatrale. |
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