Meraviglie del vetro da Altino a Venezia nell’Ateneo Veneto
di Andrea Zepponi
12 Ott 2020 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive
Al Corso di Archeologia “Vetro e archeologia. Meraviglie da Altino a Venezia”, nell’Ateneo Veneto, coordinato dalla Presidentessa del Comitato Vetri di Laguna Dr.ssa Margherita Tirelli, si è tenuta la prima conferenza tenuta dalla stessa Tirelli.
Martedì 6 ottobre 2020 nell’Aula Magna dell’Ateneo Veneto di Venezia alle ore 17.30 è iniziata la prima conferenza del Corso di Archeologia che quest’anno si intitola “Vetro e archeologia. Meraviglie da Altino a Venezia” ed è stato organizzato dal Comitato Vetri di Laguna e coordinato dalla sua Presidentessa Dr.ssa Margherita Tirelli. Il corso si propone di illustrare e approfondire i diversi aspetti del vetro romano nella X Regio Venetia et Histria e di ricercarne i riflessi nella vetraria muranese a partire dal Rinascimento fino ai giorni nostri. Promosso dall’Ateneo Veneto, il Corso di Archeologia, prevede sei incontri che partiranno dagli affascinanti sviluppi del vetro romano, fonte indiscussa di ispirazione per la vetraria muranese, e le sue relazioni dapprima con la produzione rinascimentale, in seguito con quella ottocentesca, per arrivare alla produzione moderna e contemporanea, tuttora debitrice alla tipologia, ai modelli e alle decorazioni del vetro romano. Seguiremo lo svolgimento di tematiche toccate dalle relatrici. La prima conferenza, che ha avuto come relatrice la stessa Margherita Tirelli, si è svolta su Altino, città romana progenitrice di Venezia, in cui si è susseguita una fitta ricerca archeologica, condotta nell’ultimo cinquantennio, che ha restituito una straordinaria quantità di manufatti vitrei, la cui datazione si inquadra tra I e IV secolo d.C., provenienti per la maggior parte dalla vastissima necropoli, ma anche dall’area della città antica. La storia di Altino ha inizio attorno al X secolo a.C. e la sua natura acquatica ha veicolato una fitta rete di commerci e scambi già in epoca preromana. Interessante sapere che i maggiori ritrovamenti provengono da corredi funebri deposti oltre l’anello di fiumi e canali in cui era racchiuso l’abitato e questa distinzione rispecchiava ideologicamente, secondo un modello ben noto nella cultura veneta, il passaggio dalla città dei vivi alla città dei morti. In questo orizzonte cronologico si inquadrano i più antichi reperti in vetro, costituiti da un rilevante nucleo di perle in pasta vitrea, parte delle quali pertinenti a corredi funerari, in particolare di bambini e donne di giovane età, per i quali le perle rappresentavano non solo un indicatore di rango ma rivestivano anche la funzione di amuleto, legandosi alla sfera magico-religiosa. Gli influssi artistici provenivano dall’area mediterranea, etrusco-padana, centro-europea e slovena. Accanto alle perle fanno la comparsa nel corso del III secolo anche le armille, braccialetti fragili quanto preziosi, in pasta vitrea trasparente oppure blu scura, talvolta con decorazione gialla a zigzag. Nel I secolo d.C. la città divenne uno dei maggiori scali commerciali e strategici dell’alto Adriatico cui faceva capo un’efficiente e fitta rete viaria: la via Annia, che ne attraversava il centro provenendo da Adria e diretta ad Aquileia e la via Claudia Augusta, che partendo proprio da Altino raggiungeva il fiume Danubio nel Norico oltrepassando i valichi alpini. Alla rete viaria e alle rotte marittime si aggiungeva anche un percorso interno navigabile che attraverso lagune e canali appositamente scavati collegava in ogni stagione dell’anno ed al sicuro dei pericoli del mare aperto Ravenna con Aquileia, e del quale Altino costituiva lo scalo baricentrico. In questo orizzonte cronologico si inquadrano le principali informazioni trasmesse dagli scrittori antichi (Columella, Marziale, Varrone, Plinio, Grazio) che evocano un fiorente quadro economico, basato sulla produzione e sul commercio della lana, celeberrima in tutto l’impero romano, sull’allevamento di una particolare razza bovina, generosa produttrice di latte, che gli Altinati chiamavano cevae, sulla coltivazione di crostacei, i pectines nigerrimi, ed anche sulla realizzazione di frecce, ottenute con l’utilizzo dei rami delle locali ginestre. L’immagine della città all’apice del suo fulgore traspare dai versi del poeta Marziale, il quale paragona le lussuose ville del suo litorale lagunare alle più celebri ville di Baia presso Napoli. Lo studio analitico dei numerosissimi manufatti vitrei, integri e frammentari rinvenuti ad Altino, ha testimoniato la compresenza nella città lagunare, tra I e II secolo d.C., della quasi totalità delle tecniche di lavorazione allora in vigore nell’impero romano. La fusione a stampo, è la tecnica più antica, risalente alla seconda metà del II millennio a.C. che permetteva di ricavare piccoli oggetti grazie ad una matrice. La modellatura a stampo è la tecnica utilizzata, secondo l’ipotesi più accreditata, per la confezione delle coppe costolate.
La soffiatura e lavorazione a mano libera è la tecnica notoriamente inventata verso la metà del I secolo a.C. nell’area siro-palestinese che rivoluzionò la produzione vetraria, diffondendosi rapidamente, a partire dagli inizi del I secolo d.C., dalla penisola italica in tutto l’Impero.
La soffiatura a stampo è il metodo che ebbe uno straordinario sviluppo nel I secolo d.C. L’applicazione a caldo di filamenti di vetro, è un altro metodo di pregio affermatosi ad Altino dove è notevole anche il numero di esemplari in vetro murrino. La presenza in loco di officine vetrarie, da tempo ipotizzate in ragione della quantità di vetri presente ad Altino, di gran lunga maggiore che negli altri centri veneti, è stata confermata dal rinvenimento, nei pressi dell’approdo monumentale, di scorie di fusione (cotisso) e di un frammento di crogiolo con tracce di vetro, indizio quindi di un’officina vetraria e conseguentemente di una produzione artigianale genericamente databile tra il I e il IV secolo d.C. L’individuazione di questi preziosi documenti si deve all’analisi, congiunta e complementare, condotta da RosaBarovier Mentasti e dal Maestro Lino Tagliapietra che, in occasione della mostra, Altino. Vetri di laguna, allestita nel 2010 nel Museo Archeologico Nazionale di Altino, presero sistematicamente in esame il complesso dei reperti altinati, mettendo quindi a confronto le tecniche vetrarie romane con quelle muranesi. A partire dalla fine del II secolo d.C., quando ebbero inizio le prime incursioni degli eserciti barbarici dai confini settentrionali dell’impero, il silenzio delle fonti e la scarsità della documentazione archeologica sembrano riflettere anche per Altino, come per le altre città della Venetia, il subentrare di un periodo di crisi, legato alla diminuzione dei flussi commerciali che ne avevano determinato nei secoli la potenza economica. Questo quadro si riflette puntualmente nella produzione vetraria, notevolmente ridotta rispetto al periodo precedente. Tra IV e V secolo d.C., la città, dotatasi probabilmente di opere difensive, dovette nuovamente assurgere ad un ruolo primario nel panorama altoadriatico. In più circostanze vi è testimoniata infatti la presenza di imperatori, in particolare di Valentiniano ed Onorio, i quali tra il 364 ed il 406 promulgarono da Altino ben sedici leggi. Di questo nuovo periodo di floridezza sono indicative le numerose monete databili in quest’arco cronologico, come pure le molteplici anfore, a documentare le direttrici commerciali della città, in particolare verso l’area nord-africana ed orientale. Ma l’importanza di Altino tra IV e V secolo trova conferma soprattutto nell’istituzione della cattedra episcopale, avvenuta precedentemente al 381, anno nel quale risulta attestata l’attività del suo primo vescovo, Eliodoro, futuro santo. Proprio dalle numerose lettere documentate tra quest’ultimo e San Gerolamo emerge con vivacità l’immagine dell’Altino paleocristiana, città vitale e popolosa, caratterizzata da edifici stretti l’uno all’altro, e nella quale erano oramai stati edificati una chiesa cattedrale ed edifici di culto dedicati ai martiri. Fra i pochi reperti riconducibili alla diffusione del Cristianesimo – qualche lucerna decorata con il simbolo della croce ed un nucleo di fibule a croce – si inserisce significativamente un raro frammento in vetro blu e foglia d’oro, riproducente l’immagine di Eva tra due alberi del Paradiso terrestre, originariamente medaglione di una coppa vitrea e successivamente ritagliato per farne castone di anello. Queste preziose informazioni storiche integrano un quadro di arte e cultura che è giusto e doveroso diffondere e rendere oggetto di conoscenza sempre più allargata.