Memorabile “Rinaldo” di Händel al Maggio Musicale Fiorentino
di Andrea Zepponi
11 Set 2020 - Commenti classica, Musica classica
Somma qualità nella condotta musicale di Sardelli e nelle scene di Pizzi per questo memorabile “Rinaldo” di Händel al Maggio Musicale Fiorentino. Ci fosse stata una compagine completa di vocalità più ampie e autorevoli, si sarebbe potuto parlare di perfezione assoluta.
L’opera cult del barocco, l’archetipo del melodramma haendeliano e anche il modello più paradigmatico del genio scenografico di Pier Luigi Pizzi con il Rinaldo di Georg Friedrich Händel è andata in scena Al Maggio Musicale Fiorentino come ricostruzione dell’allestimento del Teatro Valli di Reggio Emilia e in collaborazione con il Teatro La Fenice di Venezia. Mi riferisco alla recita cui ho assistito del 9 settembre 2020. Fastoso intreccio di situazioni teatrali mirabolanti e fiabesche, il melodramma debuttò il 24 febbraio 1711 al Queen’s Theatre, prima opera composta da Georg Friedrich Händel per il pubblico londinese e fu anche primo melodramma in italiano realizzato per un teatro inglese. Il libretto di Giacomo Rossi, liberamente tratto da un episodio della Gerusalemme liberata del Tasso, descrive le peripezie affrontate da Rinaldo e Almirena per sconfiggere la malvagità della maga Armida e del re saraceno Argante. Al suo debutto l’opera rappresentava un campionario perfetto di meraviglie barocche – un cast vocale di prim’ordine, che annoverava nel ruolo di Rinaldo il famoso castrato Nicolò Grimani e una messinscena fastosa e spettacolare, con carri volanti e draghi che sprigionavano fiamme – accompagnato da una musica opulenta e di magistrale fattura. L’opera ha trovato la sua più osservante e felice realizzazione scenica ai giorni nostri negli anni ottanta del secolo scorso quando proprio con Pizzi ha rappresentato (insieme ad altri eventi concomitanti, per esempio il ROF di Pesaro) la rinascita del bel canto barocco e di un gusto scenografico che con rigore ed estro interpreta ed esalta la musica e il canto.
Il repêchage dell’allestimento pizziano al Maggio Musicale Fiorentino ha avuto il pregio di riproporre uno spettacolo memorabile rimasto nell’immaginario di tanti che lo videro per la prima volta e che ora possono notare come le grandi voci che si vi esibirono in quel tempo non potevano ancora avvalersi dell’avanzata ricerca filologico-interpretativa in campo musicale che si sarebbe fatta dai primi anni ’80 a oggi: testimoni le registrazioni, gli anacronistici ripieni orchestrali, il pesante basso continuo con un cembalo “al tungsteno”, le interpolazioni di dinamiche e agogiche fuori tempo e luogo di allora, oggi non si sentono più in nessuna esecuzione di rispetto. Ma c’erano anche grandi voci – una Marylin Horne e un Samuel Ramey per esempio – che spesso non erano supportate e valorizzate dalla competenza specialistica di un grande direttore versato nella musica barocca come quello che è stato il coprotagonista dell’esecuzione del Rinaldo haendeliano al Maggio, il M° Federico Maria Sardelli con l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Somma qualità nella condotta musicale unita a somma qualità scenica hanno costituito il nerbo portante dell’evento il cui cast era formato da Francesca Aspromonte in Almirena, Carmela Remigio in Armida, Raffaele Pe in Rinaldo, Leonardo Cortellazzi in Goffredo, Andrea Patucelli in Argante, William Corrò nel Mago cristiano e Shixun Li nell’Araldo. Se la bellezza dei costumi e delle scene unita all’eccellenza della lettura musicale di Sardelli, si fosse accompagnata a una compagine completa di vocalità più ampie e autorevoli, si potrebbe parlare di perfezione assoluta. Applauditissime peraltro e pure capaci di onorare la fitta scrittura di belcanto, non tutte le voci maschili avevano lo spessore dovuto, tranne quella ben timbrata del tenore Leonardo Cortellazzi in Goffredo che ne ha spiccato bene il profilo epicheggiante e cavalleresco; all’Argante di Andrea Patucelli è mancata l’imponenza e il mordente vocale; il momento dell’aria di sortita Sibillar gli angui d’Aletto, realizzata con evoluzioni equestri di carrelli mossi da aiutanti e figuranti di scena, avrebbe raggiunto il massimo effetto con una vocalità assai più ampia di quella di Patucelli che scompariva dietro l’orchestra – complice in questo la abnorme lunghezza della fossa orchestrale rispetto al palcoscenico -, tant’è che era molto più a suo agio nei recitativi e nell’aria amorosa per Almirena Basta che tu sol chieda; voce più timbrata quella di William Corrò che ha sbalzato il ruolo con più efficacia; punto di forza della serata erano le voci femminili di Francesca Aspromonte in Almirena, la quale, con il suo equilibrio di colore e agilità ha ben delineato il carattere del personaggio denso di affetti culminanti nella celeberrima Lascia ch’io pianga e soprattutto l’Armidadi Carmela Remigio è risultata essere l’interprete giusta al posto giusto: spessore lirico, temperamento belcantistico e precisione del gesto scenico e vocale hanno risolto l’ambiguità del personaggio con le guizzanti immagini sonore delle variazioni del’aria Vo’ far guerre e una affilata proiezione vocale in ogni esibizione negli acuti e nei recitativi. Il furibondo ingresso di Armida nel primo atto con l’aria Furie terribili aveva il giusto impatto e così il suo eclatante virtuosismo nell’imporre il suo ruolo di gran signora degli inferi per tutta l’opera; discorso a parte va fatto per Raffaele Pe, il “controtenore” che ha affrontato la parte mezzosopranile di Rinaldo con doti naturali molto ben dirette e affinate: l’agilità è ben sgranata e il colore pieno con una buona dizione, tuttavia la sua performance non esula dalla consueta impostazione ideologica che spinge certo pubblico e certa critica ad apprezzare questo tipo di voci proposte ingannevolmente e falsamente come eredi di castrati le quali, non propriamente in questo caso, ma il più delle volte non riescono affatto ad onorare la scrittura effettiva della parte, sono manchevoli di una parte del registro, in genere quello medio grave, che suppliscono slealmente con la voce di petto e con note da baritono spesso camuffate per simulare la uniformità dei registri ma troppo spesso scollegate dal registro di falsetto. Questo, per quanto appoggiato sul fiato e frutto di doti naturali, rimane in troppi casi esile e inadeguato rispetto alle vocalità di altri cantanti che falsettisti non sono e hanno invece una estensione uniforme e omogenea.
Un pensiero unico invalso in questi decenni ha assuefatto il senso comune che contraltisti e sopranisti “fanno tanto” opera barocca, cosicché il pubblico finisce per applaudire un cantante maschio che si atteggia ad evirato cantore, ma è ben noto che i falsettisti nel 6-700 non calcavano mai i palcoscenici e si davano soltanto alla musica sacra. La presenza di falsettisti negli allestimenti di opera barocca il più delle volte è un fatto di costume e di scenografia in cui la musica e l’estetica musicale c’entrano ben poco. Anche il gusto estetico ha risentito di ciò in gran parte al punto che oggi una voce femminile di contralto e di mezzosoprano, ampia, estesa, capace di coprire tutta l’estensione in modo uniforme ed eloquente, si vede preferire un contraltista che non è in grado di onorare tutte le note della parte con il falsetto troppo corto o esteso solo nella zona acuta, si aiuta con la voce di baritono e ha un volume tanto esile quanto mal giustificato dalla trasparenza dell’orchestra barocca. Il confronto con gli altri cantanti nella stessa opera è spesso imbarazzante, tanto più quando il falsetto diventa faticoso, stridulo e la sua affannosa alternanza con la voce di petto baritonale, trattandosi di un contraltista, rende l’ascolto pesante e increscioso. In troppi casi quando nella parte di castrato viene collocato un falsettista al posto di un solido mezzosoprano donna ci è scappato di dire: “Lo fanno meglio le donne!”. Mi sento di fare questo discorso perche si è al punto di non poter più dissentire, senza incorrere nel discredito ideologizzato, dall’uso di certi vocalisti in falsetto che propriamente starnazzano, non potendo spiegare le ali verso una vocalità estesa, piena e rotonda come quella delle voci vere, ma la cui presenza deve rimanere indiscussa e indiscutibile solo perché sarebbe la garanzia, il sigillo di una musica barocca filologicamente corretta. Detto questo, ho apprezzato la vocalità del Pe che riesce a farsi sentire in quasi tutti i passaggi della tessitura da mezzosoprano di Rinaldo e ha doti naturali che gli permettono di equilibrare il registro acuto con quello medio-grave, una agilità sorprendente e una dizione abbastanza chiara, ma le incursioni nella voce di petto ci sono, le ho sentite, e gli sono servite per supplire l’esilità de falsetto nelle note sotto il rigo: a battuta 33 il la grave in levare che inizia l’arpeggio sulle parole mi richiama a trionfar non è stato eseguito e, nel da capo, beccato ad usum delphini in variazione discendente con la voce di petto. Così fan tutti. Mi dispiace, ma non è diverso da quello che fa il falsettista medio evitare ciò che è scritto durante l’esposizione della prima sezione dell’aria (dove invece non si dovrebbe variare nulla) e ripresentare nel da capo una ulteriore variazione molto più comoda per la propria voce. Inoltre perché variare e passaggiare solo le arie dalla agogica veloce, dove il turbino delle agilità maschera il passaggio dei registri – vedi l’aria Venti, turbini prestate – per poi rileggere pari pari il testo musicale nel da capo di Cara sposa che si presta ad altrettanto doverose e competenti variazioni? Vogliamo parlare degli acuti, spesso raggiunti in cadenza con scale e arpeggi ma sempre striduli e poco coperti? Inoltre la qualifica di controtenore si riferisce a una vocalità polifonica e non a quella solistica teatrale. Perché il Pe non si decide a definirsi sopranista o contraltista? Sebbene si debba a onor del vero dire che Raffele Pe è stato molto applaudito e ha dato una prova eclatante di tenuta scenica e vocale, non riesco ad attribuirgli uno speciale merito che si sollevi dalla media dei falsettisti i quali, forniti dei ben noti vizi e vezzi, attuano i soliti trucchetti che solo doti naturali (leggi “giovinezza”) più o meno spiccate permettono di trascendere, ma non di sfuggire a un esame attento e senza paraocchi.
Su tutto ha regnato la retorica e il dinamico turgore delle scene e dei sontuosissimi costumi; Pizzi pone ogni interprete su un alto carrello che (rappresenti un destriero, un vascello o un sedile) viene mosso sulla scena da aiutanti mimetizzati i quali, in una sorta di controdanza, agitano gli amplissimi e fluttuanti mantelli dei personaggi provocando una suggestione di colori e di stoffe senza pari. Con così geniale apparato scenografico ci si aspetterebbe un’adeguata eloquenza di tutte le voci, ma ad equilibrare il tutto in una efficace corrispondenza di sonorità e tempi, ha pensato la direzione del M° Sardelli, sensibile al carattere idiomatico della musica haendeliana che assegna ad ogni numero musicale un timbro particolare: ad esempio il sottile tessuto di flauti all’ottava che introduce la meraviglia barocca del locus amoenus della scena sesta del prim’atto con l’aria di Almirena: Augelletti che cantate e poi con il duetto Rinaldo-Almirena: Scherzano sul tuo volto. L’eccellente conduzione dei fiati, così importanti e significativi nell’opera di Haendel, è un esempio tra i tanti della perizia dell’ensemble barocco e della natura solistica dell’impiego di certi strumenti, anche del famoso assolo di clavicembalo obbligato che Haendel innesta nella funambolica aria di Armida Vo’ far guerra con altrettanto furenti variazioni sul tema. Il successo annunciato della serata ha trovato il suo vero fondamento nel felice connubio tra bellezza scenografica e chiarezza di conduzione musicale che hanno rinnovato la vitalità di un astro maggiore nel firmamento dell’opera barocca.
Il Rinaldo di Haendel-Pizzi al Maggio Musicale Fiorentino
Georg Friedrich Händel, RINALDO, libretto di Giacomo Rossi
- Direttore: Federico Maria Sardelli
- Regia: Pier Luigi Pizzi
- Rinaldo: Raffaele Pe
- Goffredo: Leonardo Cortellazzi
- Armida: Carmela Remigio
- Almirena: Francesca Aspromonte
- Argante: Andrea Patucelli
- Mago Cristiano: William Corrò
- Un Araldo: Shixun Li
- Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino