“Matteotti. Anatomia di un fascismo” con una grande Ottavia Piccolo


di Alberto Pellegrino

19 Mar 2025 - Commenti teatro

Una straordinaria Ottavia Piccolo porta sulla scena “Matteotti. Anatomia di un fascismo”, il bellissimo testo di Stefano Massini.

(Le foto dello spettacolo sono di Antonio Viscido)

Stefano Massini (1975) è attualmente il maggiore drammaturgo italiano che ha una fama internazionale  (è tradotto in 24 lingue ed è il più rappresentato nel mondo); è noto soprattutto per la sua opera teatrale Lehman Trilogy (2009) vincitrice nel 1922 di cinque Tony Award (un premio equivalente all’Oscar del cinema). Massini ha fatto sempre del teatro a forte impegno politico a cominciare dalla Quadrilogia (Una quadrilogia. L’odore assordante del bianco, Processo a Dio, Memorie del boia, La fine di Shavuoth), per proseguire con Donna non rieducabile. Memorandum teatrale su Anna Politkovskaja, Trittico delle Gabbie, Lo Schifo. Omicidio non casuale di Ilaria Alpi, 7 minuti. Consiglio di fabbrica, Eichmann. Dove inizia la notte. Un dialogo fra Hannah Arendt e Adolf Eichmann, Manhattan Project, Mein Kampf da Adolf Hitler

Stefano Massini

Massini è l’unico autore teatrale italiano che sa mettere in scena la storia, renderla credibile, viva e comprensibile con il solo uso della parola e ora ritorna con questo Matteotti. Anatomia di un fascismo per ricordare a cento anni di distanza questo delitto di regime, ma anche per esortare a guardarci intorno perché, se non c’è ancora un risorgere di antichi fascismi, si vanno affermando autoritarismo e sovranismo, rinascono forme di neonazismo. Non si sta ripetendo quanto accaduto un secolo fa, ma si stanno delineando situazioni comunque rischiose e preoccupanti.

Questo suo lavoro teatrale ripercorre da un lato l’ascesa e la conquista del potere del fascismo, lo stretto legame con i grandi proprietari terrieri che in Emilia, lungo la valle del fiume Po, nel Polesine finanziano e proteggono le squadre di picchiatori organizzate da Italia Balbo, un ras fascista amico di Mussolini. Nell’incandescente clima politico di Ferrara, il socialista Matteotti è uno dei primi a capire la pericolosità del fascismo (“Il pericolo più grande, la malattia che fa morire un uomo è quella che non senti crescere”), ad accusare gli agrari di avvalersi della violenza fascista anche se vanno a messa tutte le domeniche, tradendo quel Vangelo in cui dicono di credere. Matteotti cerca di mettere in guardia da quel movimento che crea il disordine per riportare l’ordine voluto dalla borghesia (“Il fascismo ha assoluto bisogno di sentirsi in pericolo, di attaccare per non essere attaccato”) ed è rimasto impressionato da quelle migliaia di fanatici che hanno partecipato alla “marcia su Roma” guidati anche da Italo Balbo detto “il Contessino”, perché aveva sposato una ricca contessa contro la volontà della famiglia.  

I socialisti chiamano Giacomo Matteotti con il nomignolo di “Tempesta” per via del suo carattere impetuoso ma, il deputato è un riformista e un visionario, un pacifista e un giurista, uomo delle istituzioni come dimostrano i suoi molti scritti e i suoi moltissimi discorsi. È infatti un grande oratore che sa usare le parole in modo chiaro, efficace e razionale, perché alle parole sa accompagnare i fatti per smascherare le colpe del potere. Saranno proprio le parole a decretare la sua condanna a morte, quando nella seduta parlamentare del 31 maggio 2024, in un’aula silenziosa e impaurita, denuncia i brogli e le violenza eserciate dai fascisti per assicurare la vittoria elettorale al Partito fascista: “Io denuncio la manovra politica con cui si è spacciata l’eversione più radicale camuffandola nel suo esatto opposto, ovverosia nella garanzia dell’ordine. Io denuncio il sistematico uso della forza, la riduzione al silenzio delle voci dissenzienti. Io denuncio all’Italia e al mondo intero che un mostro chiamato fascismo ogni giorno diventa più potente proprio grazie al silenzioso assenso di chi lo svaluta, lo legittima e non lo combatte!”.

Ottavia Piccolo

Il dramma ha inizio alle 4 e 30 pomeridiane del 10 giugno 1924, quando alcuni testimoni dichiarano di aver assistito a una colluttazione all’interno di una vettura e di aver visto espellere quello che sarà riconosciuto essere il tesserino del deputato Giacomo Matteotti. Una banda di cinque squadristi, guidata da Amerigo Domini noto per le sue “imprese” criminali, appartenenti alla Ceka, la prima polizia segreta fascista organizzata da Giovanni Marinelli che è il segretario ammnistrativo del partito, preleva il deputato sul Lungotevere, lo uccidono a pugnalate e lo seppelliscono in fretta in un campo vicino a Roma. Un delitto di regime che segnerà la storia dell’Italia e del fascismo.

Questo Matteotti ha come straordinaria interprete Ottavia Piccolo, una della grandi attrici del teatro italiano, la protagonista assoluta di uno spettacolo che si avvale della efficace regia di Sandra Mangini dei video di Raffaella Rivi, delle luci di Paolo Pollo Rodighiero e delle musiche di Enrico Fink, eseguite in scena dallo stesso compositore e e dai bravissimi Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo (Massimiliano Dragoni, Luca Roccia Baldini, Massimo Ferri, Gianni MicheliMariel Tahiraj). Ottavia Piccolo ha detto: “Stefano Massini mi ha fatto leggere il testo prima dei numerosi spettacoli nati lo scorso anno per il centenario della morte di Matteotti. Un testo che parla di lui, della sua vita, di cosa faceva, della sua capacità di leggere l’inizio del fascismo…A noi servirebbe, oggi, un Matteotti che spiegasse i meccanismi e le situazioni estreme. Lui capì molto prima quello che poi è successo dopo la sua morte… Qui facciamo teatro e, accanto alle vicende storiche, si parla del personaggio, da dove viene, il Polesine che all’epoca era davvero povero, e il modo di far riscattare la sua gente…Un teatro civile come politico, ma non partitico, proprio nel senso della polis. Uno spettacolo che parla alla gente. Un po’ come Shakespeare che è diventato classico dopo, ma che quando era in vita parlava alla gente del suo tempo, raccontando la contemporaneità. Il teatro del resto parla degli esseri umani, di sentimenti, anche il teatro leggero fa bene, perché anche quello parla di e agli esseri umani. Il teatro è tante cose insieme, non c’è un modo unico per farlo. Perché il teatro è vero e reale”.

Un momento cruciale dello spettacolo si ha quando la protagonista parla dell’incontro di Velia Titta, la moglie di Matteotti, con il capo del Governo Benito Mussolini. Il duce è imbarazzato e irrequieto, perché è al corrente di quanto è accaduto e cerca di rassicurare la donna, dicendo che farà il possibile per ritrovare il deputato, ma lei percepisce di essere ormai “la vedova Matteotti” e pretende che le sia restituito il corpo del marito e che nessun fascista o membro del governo sia presente al funerale.  

Per ricordare questa fase storica, per chi non l’avesse ben presente, facciamo ricorso alle parole di Giordano Bruno Guerri, un validissimo storico di destra, tratte dal suo ultimo libro Benito. Storia di un Italiano (Rizzoli, 2024): “La responsabilità morale del delitto fu del duce e del clima di violenza che aveva incoraggiato pur di raggiungere il potere e mantenerlo, ma non è stato mai dimostrato che abbia dato l’ordine di rapire e uccidere Matteotti, e non è credibile che lo abbia fatto. Quella morte costituì un danno immenso per il fascismo e per lui… (Con) la morte di Matteotti il duce dovette scegliere prima del tempo la strada della dittatura, alla quale per logica delle cose sarebbe giunto, ma con tempi più lunghi e con traumi minori. D’altra parte, è appurato che dopo il discorso di Matteotti del 31 maggio, in uno scatto d’ira, Mussolini disse ai suoi collaboratori: “Che cosa fa questa Ceka? cosa fa Dumini? Quell’uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare”. Marinelli e Dumini, zelanti e ottusi, presero lo sfogo per un ordine e organizzarono il rapimento”. Questa è la tesi alquanto “buonista” di Guerri.

Resta comunque il fatto che Mussolini è turbato e preoccupato: molti nel partito mostrano il loro dissenso, la stampa condanna apertamente il delitto, la sua popolarità è in calo, ma gli oppositori si ritirano sull’Aventino e il duce fa promulgare il decreto per il controllo della libertà di stampa. I socialisti e i comunisti decidono di ritornare in Parlamento e propongono lo scioglimento delle Camere e il ricorso a nuove elezioni. Ma il re e i conservatori decidono che è meglio tenersi il fascismo; il Vaticano prende la stessa decisione e dichiara innaturale il possibile accordo tra socialisti e popolari. Nel frattempo Il Popolo denuncia alla magistratura le responsabilità del capo della polizia De Bono; a sua volta Il Mondo, diretto da Giovanni Amendola, pubblica un memoriale di Cesare Rossi, stretto collaboratore di Mussolini, nel quale si dice: “Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per la complicità del duce”. La situazione sta precipitando e Mussolini decide di presentarsi in Parlamento, dove pronuncerà il celebre discorso del 3 gennaio 1925 con il quale ha inizio la dittatura. In occasione del processo contro i cinque arrestati per il delitto, Mussolini nomina, come avvocato difensore, Roberto Farinacci, il segretario generale del Partito fascista, e tutto si concluderà con condanne risibili per gli assassini di Matteotti.

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