Mario Dondero è stato un grande fotografo
di Alberto Pellegrino
29 Dic 2015 - Libri
Con Mario Dondero (1928-2015) scompare uno dei grandi maestri della fotografia di livello internazionale, un artista che amava definirsi un fotoreporter ma che in realtà è stato e rimane un grande narratore per immagini, un testimone prezioso della storia dal secondo Novecento agli inizi del nuovo secolo. Da sempre politicamente impegnato, Dondero è stato un giovanissimo partigiano con il nome di battaglia “Bocia”, e un uomo di partito, un inviato di guerra e un giornalista per immagini sempre attento alla realtà umana e sociale dei paesi in cui ha lavorato. Ha descritto in modo puntuale e dettagliato la straordinaria attività di Emergency, di cui è stato appassionato sostenitore; ha seguito con partecipata attenzione le vicende del Terzo Mondo e in particolare dell’Africa; ha documentato la guerra d’Algeria come inviato del quotidiano Il Giorno. Ha collaborato all’estero con Le Nouvel Observator, Le Monde, Jeune Afrique, Afrique-Asie, Demain l’Afrique; in Italia ha lavorato per L’Unità, Milano Sera, L’Avanti, L’Illustrazione Italiana, Tempo Illustrato, Epoca, L’Europeo, L’Espresso, Vie Nuove, Il Manifesto. Innamorato delle Marche, si era stabilito da alcuni anni a Fermo, una città che è stata la capitale della fotografia marchigiana, dove era circondato dalla stima e dall’affetto di molti amici, nel cui cimitero ha voluto essere sepolto.
Partigiano a 16 anni, nel secondo dopoguerra Dondero vive a Milano la straordinaria stagione del Bar Jamaica, dove frequenta gli artisti Lucio Fontana e Pietro Manzoni, gli scrittori Camilla Cederna e Luciano Bianciardi, i fotografi Ugo Mulas, Uliano Lucas e Gianni Berengo Gardin che lo riconosceranno come un maestro del fotoreportage, capace di rappresentare la storia e la realtà quotidiana, sempre convinto che per fotografare ci vuole sentimento ed esperienza, che bisogna “mettere sullo stesso asse occhio, testa e cuore”. In un secondo momento, si trasferisce a Parigi, dove frequenta la Rive Gauche, le lezioni di Marcuse, le riunioni di Le Monde; dove conosce Sartre, Simone de Beauvoir e altri scrittori, tanto da riunire in una sua celebre immagine gli autori che aderiscono al Nouveau Roman, la corrente che ha rivoluzionato i canoni letterari del secondo Novecento.
Dotato di una grande sensibilità visiva e interpretativa, tra le mani di Dondero la macchina fotografica sembrava prendere vita, diventare uno strumento capace di fissare in una frazione di secondo il corso della storia, rimanendo sempre fedele all’insegnamento di Henri Cartier-Bresson e di Robert Capa, nella convinzione che “l’impegno nasce solo dall’importanza della fotografia come strumento di assoluta testimonianza” e che a lui “le persone non interessino per fotografarle, ma interessano perché esistono”. Dondero ha fotografato con uguale passione le guerre e i grandi eventi storici; i protagonisti della storia e la gente comune; registi e attori del cinema e del teatro; molti amici scrittori e pittori. Ha sempre unito al suo naturale talento, l’intuito, la rapidità del gesto nello scegliere luce, angolazione, profondità di campo per arrivare a una giusta inquadratura, perché artisti si nasce, ma grandi fotografi si diventa attraverso l’assoluta padronanza della tecnica e di un linguaggio che sa tradurre il pensiero in immagine. Egli è sempre rimasto fedele alla sua Leica, senza polemiche o demonizzazioni del digitale, senza cedere mai al richiamo del colore, convinto che il bianco/nero sia la forma linguistica e tecnica per tradurre in immagini una singola intuizione o un’intera narrazione (“Il banco e nero è la testimonianza, il colore è la decorazione”).
Testimone irrequieto della nostra storia, Dondero ha sempre viaggiato in giro per l’Italia e per il mondo per fermare con il suo obiettivo un avvenimento, uno squarcio di vita quotidiana, una prima teatrale o cinematografica, un volto che diventa, grazie a lui, lo specchio di un’intera esistenza. Questo suo lungo percorso professionale e artistico è stato finalmente documentato dal catalogo della grande mostra dedicatagli a Roma, alle Terme di Diocleziano, tra il dicembre 2014 e il marzo 2015, dai due volumi Mario Dondero di Simona Guerra (Bruno Mondadori, Milano, 2011) e dal libro Lo scatto umano: viaggio nel fotogiornalismo da Budapest a New York di Mario Dondero e Emanuele Giordano (Laterza, Bari/Roma, 2014), dove egli traccia una breve ma affascinante storia del fotogiornalismo dalle origini ai nostri giorni.
Per testimoniare la sua lunga e costante presenza sulla scena italiana e internazionale, si vogliono ricordare due lavori di Dondero particolarmente significativi. Il primo riguarda Pier Paolo Pasolini, al quale ha dedicato un’appassionata biografia fotografica (Scatti per Pasolini, a cura di Elisa Dondero e Massimo Raffaeli, 5Continents, Milano, 2005), costituita da immagini colte nell’intimità della casa e dello studio dello scrittore-regista. A questa storia personale si aggiunge una serie di fotografie che documentano il contesto culturale e affettivo pasoliniano con alcuni bellissimi ritratti di Elsa Morante e Laura Betti, Maria Callas, e Dacia Maraini, Alberto Moravia e Goffredo Parise, Enzo Siciliano e Paolo Volponi. Completano, infine, il mondo di Pasolini una vera e propria narrazione per immagini realizzata sul set dei film La ricotta e Comizi d’amore.
Il secondo libro è intitolato I rifugi di Lenin. Istantanee di viaggio dalla Russia putiniana di Astrit Dakli e Mario Dondero (Il Manifesto, Roma, 2007). Si tratta di una straordinaria testimonianza per cercare di documentare un mondo che non esiste più, le cui tracce si stanno dissolvendo nel tempo. Questo racconto di viaggio, corredato dalle istantanee di Dondero, è stato ideato per ricordare il novantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, un evento che ha mobilitato milioni di persone, che ha cambiato per molti versi la faccia del pianeta e che oggi appare quasi del tutto dimenticato, un avvenimento che ha provocato drammi spaventosi, ma ha anche offerto a tutta l’umanità una diversa prospettiva di sviluppo e un’ipotesi di utopia realizzata, che oggi è spesso criminalizzato e trasformato in qualcosa di delittuoso e d’insensato.
I testi sono del giornalista-scrittore Astrit Drakli, che ha messo a disposizione le sue precedenti esperienze di viaggiatore nella Russia sovietica e che ha programmato le varie tappe del viaggio. La casa editrice decide di mettergli al fianco un grande fotoreporter che non aveva mai visto la Russia, affinché gli “scatti” del suo occhio fotografico potessero risultare il più possibile aderenti alla realtà. Le immagini di Dondero non tradiscono le aspettative dell’editore, anche perché sono sempre contestualizzate attraverso una serie d’interviste fatte a operai, studenti, artigiani, contadini, sindacalisti, giornalisti, intellettuali, artisti, attori e registi, fino ai più noti Mikhail Gorbaciov (ex presidente dell’Urss) e Gennadij Zyganov (segretario del partito Comunista della Federazione Russa). Questo viaggio, basato su analisi, immagini e testimonianze, si snoda a tappe partendo da Mosca, attraverso San Pietroburgo, Kronstadt, le isole Solovki, il porto di Murmansk, la nordica Arhangelsk (la citta dell’Arcangelo), Volgograd (un tempo Stalingrado), la Transiberiana, Novosibirsk, Novokuznetsk, Irkutsk e il lago Baikal, il piccolo centro turistico di Tyndal, la piccola città di Blagoveshensk sul confine cinese, un lungo viaggio che si conclude di nuovo a Mosca per documentare sulla Piazza Rossa gli ultimi fantasmi della Rivoluzione sovietica.
“Le fotografie, che ha fatto Mario Dondero, ci si propongono con tutto il pathos specialissimo delle immagini del nostro album di famiglia. Molti personaggi ci restituiscono istanti visivi di artisti poi diventati personaggi della cultura contemporanea. Ma la magia misteriosa delle immagini di Mario funzionano anche quando si tratta di istanti quotidiani e di personaggi sconosciuti. Di ognuno di loro ci danno l’impressione come se ritrovassimo un caro amico, un parente del quale cerchiamo di ricordare il nome e del quale vorremmo tanto conoscere come si è poi svolta la vita, il destino che ha avuto e che davvero sembrano essere misteriosamente, per intero convocati in quell’attimo, in quell’immagine” (Ferdinando Sciascia).