Magnifica “Traviata degli specchi” a Jesi
di Roberta Rocchetti
27 Dic 2024 - Commenti classica
Al Teatro Pergolesi di Jesi è andata in scena la famosa “Traviata” degli specchi. Grandissimo successo dovuto anche all’alta qualità di tutti i reparti. Trionfo per Simone Piazzola nelle vesti di Germont.
(Foto Stefano Binci)
Il teatro racconta il mito è invenzione di Dioniso e Dioniso, come si evince anche dagli affreschi pompeiani della Villa dei Misteri, rivela la sua presenza attraverso lo specchio e attraverso la maschera.
Lo specchio e il teatro dunque sono elementi contigui, affini e comunicanti, riflesso e maschera, finzione e realtà, lo sapeva bene Josef Svoboda, quando ha dato vita a quella che ormai è universalmente conosciuta come Traviata degli specchi, una scenografia cangiante, che porta in alto ciò che è in basso e dentro ciò che è fuori, che raddoppia le esistenze mostrandone il lato celato allo sguardo e lascia impresso nel nitrato d’argento degli specchi di Violetta l’eco della sua breve e al contempo immortale vita.
La regia di Henning Brockhaus attinge a mani basse nelle opportunità offerte da Svoboda, (la cui ricostruzione scenografica è stata curata e adattata da Benito Leonori) sfruttando la possibilità di mostrare la vicenda da due ottiche differenti e i costumi di Giancarlo Collis spazzano via in un sol colpo tutte le fisime di minimalismo degli ultimi decenni e debordano sul palco e sublimandosi in una ipnotica coreografia alla Loïe Fuller durante la festa di Flora Bervoix, coreografie guidate da Valentina Escobar.
Dal punto di vista visivo questa Traviata difficilmente può essere efficacemente raccontata, va vista e consiglieremmo vista al chiuso, anni fa assistemmo allo stesso spettacolo all’aperto e l’effetto è decisamente meno concentrato, la magia si diluisce nelle distrazioni extra palco, mentre nel pomeriggio di domenica 21 dicembre al Teatro Pergolesi di Jesi nulla è andato perduto, nemmeno sul fronte sonoro.
Cominciamo dalla Violetta di Ruth Iniesta, il soprano spagnolo ha regalato al pubblico jesino una prova emozionante e cristallina, mai un cedimento, mai un segno di stanchezza nella voce che ha saputo ben rivestire il compito dei “tre soprani” che si dice occorrano per interpretare questo ruolo, buone le agilità, la freschezza vocale e il sentimento lirico, così come l’afflato drammatico del terzo atto, misurata ma espressiva e credibile anche sul fronte attoriale, ovazioni meritate per lei alla chiusura del sipario.
Alfredo Germont è stato portato in scena da Paolo Lardizzone tenore siciliano dalla ormai consolidata carriera, conosce bene la sua parte e si vede, non eccede in sentimentalismi interpretativi ma sa mirare i punti chiave, vocalmente squillante e virile pur conservando quella tenerezza di timbro che si addice ad un giovane innamorato, a volte incosciente, a volte dolente.
Stupefacente Simone Piazzola come Giorgio Germont, i fiati sostenuti e interminabili, un fraseggio prezioso, una carezza per le orecchie il timbro vellutato, ha dato corpo nuovo ad un personaggio reso spesso in maniera piuttosto stucchevole e prevedibile, giusto il trionfo a lui tributato in chiusura in una recita costellata comunque di moltissimi applausi a scena aperta per tutti.
Ottimo anche il resto del cast composto da Elena Belfiore (Flora), Ilaria Casai (Annina), Francesco Napoleoni (Gastone), Tommaso Corvaja (Barone Douphol), Giorgio Marcello (Marchese d’Obigny), Alessandro Ceccarini (Dottor Grenvil), Tommaso Tomboloni (Giuseppe) e infine Marco Innamorati come domestico e commissario.
Abbiamo apprezzato anche la direzione di Nir Kabaretti che alla testa dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana ha offerto una lettura che non ha indugiato su facili sollecitazioni sonore senza tuttavia rinunciare al teatralmente indispensabile apporto emotivo di un’opera che è dramma nel senso più denso della parola e staccando a volte tempi ampi e ariosi, come ci si può permettere quando si hanno a disposizione voci valide, ma serrati e incisivi negli snodi drammaturgici.
Il Coro Arché è stato guidato da Marco Bargagna.
Abbiamo già detto del trionfo tributato da un pubblico che ha letteralmente saturato il teatro in ogni ordine di posti.
Certo si dice sempre che Traviata è un titolo con il quale è facile fare sold out, ma questa Traviata ci ha ricordato che farla bene non è poi così facile e che quando è fatta bene si libera delle incrostazioni fatte di stereotipi, abitudini, routine e torna a risplendere per quello che è: un incommensurabile diamante, un capolavoro che Verdi e il nostro Paese hanno donato all’umanità.