Magia pura per Chris Cornell a Roma
di Andrea Ascani
23 Apr 2016 - Commenti live!, Musica live
Roma (18.04.2016). Nella favola dei fratelli Grimm il pifferaio magico poteva incantare e farsi seguire da chiunque volesse con il potere magico della sua musica.
E lunedì a Roma, attratti da quel suono tanto atteso, quasi tremila persone si sono ritrovate alla sala Santa Cecilia dell’auditorium Parco della Musica in un tutto esaurito tanto previsto quanto inevitabile.
Perché se è vero che il 52enne (!!!) cantautore di Seattle è salito alla ribalta con i suoni cupi e forti della musica grunge dei Soundgarden prima e dei Temple of the Dog e degli Audioslave poi, è in questa versione acustica che la potenza ed estensione della sua dirompente voce trova la sua consacrazione definitiva. Niente riff distorti, niente batteria: solo Chris Cornell, la sua voce e le sue chitarre.
Ad onor di cronaca in alcuni brani l’accompagnamento di Bryan Gibson al piano e al violoncello ha contribuito ad amplificare l’emozione della musica, ma l’indiscusso protagonista della serata è stato lui.
E cosi dopo circa 40 minuti di “riscaldamento” con il blues degli ottimi Fantastic Negrito, che hanno da subito evidenziato l’acustica perfetta della sala in cui ci trovavamo, alle 22:00 puntuali appare sul palco, a pochi metri da noi, e si comincia.
Boom. Before we disappear, Can’t change me, The times they are changing, As hope and promise fade, Nearly forgot my broken heart, Like a stone. Fino a questo punto, ogni canzone è un pugno violento sulla bocca dello stomaco, sullo zigomo sinistro, sotto il mento. Ogni canzone è un autoarticolato di emozione che ti investe alla massima velocità. Quasi per caso mi rendo conto dove sono, perché sono li, e che ho le guance rigate dalle lacrime di commozione.
E solo allora noto che oltre al Chris artista c’è anche il Chris uomo da apprezzare, mentre intrattiene il pubblico con il racconto del convento in cui pernottò al suo primo concerto a Roma, e altri aneddoti sulla storia di alcune canzoni. Sempre col sorriso sulle labbra, mai spocchioso mai presuntuoso, felice di avere il pubblico a stretto contatto, stringendo le mani delle persone in prima fila e firmando autografi ancor prima della fine del concerto, con la moglie e i figli ad assistere allo spettacolo al lato del palco a cui lui ogni tanto lancia sguardi complici e dedica Josephine ad inizio del reprise.
Nel frattempo si prosegue intervallando le canzoni del suo repertorio (Doesn’t remind me, Call me a dog, Wooden jesus, Blow up the outside world, You know my name, Rusty cage, When I’m down, I am the highway, Hunger strike, Black hole sun, Higher truth) a delle versioni meravigliose di One (U2/Metallica), Nothing compares to you (Prince), A day in the life (Beatles).
Una scaletta magnifica e lunghissima, tanto che quando saluta e se ne va ti rendi conto che sono trascorse due ore e mezza come niente fosse ed è purtroppo ora di prendere la strada di casa. Con tanta stanchezza nel corpo, ma col cuore colmo di gioia e un autografo sulla cover del cellulare, per un concerto che non dimenticherò tanto facilmente.