Macerata: ritorna la Carmen “di Deflo” allo Sferisterio
Alberto Pellegrino
23 Ago 2002 - Commenti classica
E' ritornata per la terza volta a Macerata Opera 2002 la Carmen allestita dal regista belga Gilbert Deflo, andata in scena per la prima volta nel 1994. A distanza di otto anni questa regia ha dimostrato di essere ancora valida e capace di trasmettere delle suggestioni ad un pubblico delle grandi occasioni che ha sempre gremito l'Arena maceratese. Del resto Deflo non è un personaggio inedito per lo Sferisterio, avendo già firmato le regie di un'ottima Tosca e di un vivace Faust di Gunoud. Regista di caratura internazionale, Deflo è stato il primo a sfruttare con coraggio la nuda struttura architettonica dello Sferisterio, comprese le tre arcate centrali che diventano il luogo deputato delle entrate e delle uscite di interpreti e coro in senso creativo e funzionale. Questa nudità scenografica diventa un elemento strutturale dello spettacolo fin dall'Ouverture, quando il bagliore accecante di Siviglia inonda la scena, mentre tre luci blu spezzano l'improvviso buio nel momento in cui la musica preannuncia il tema della morte. Si ritorna sotto il sole di Siviglia in attesa che irrompa sulla scena la mitica Carmen con le masse mosse con intelligenza dalla regia (i soldati di guarnigione, l'insistita promenade di borghesi e popolani, lo sfilare dei dragoni scherzosamente mimati da un delizioso corteo di bambini), poi l'ingresso di Micaela e l'incontro con Don Josè, il policromo ingresso delle sigaraie che preannuncia la celebre Habanera di Carmen. Infine l'irrompere finale delle sigaraie in lotta fra loro con una avvolgente corsa a tenaglia che prepara l'arresto e la liberazione di Carmen da parte di un ormai soggiogato Don Josè.
Questo il primo atto, mentre nel secondo la scena si anima di pochi elementi che segnano la taverna di Lillas Pastias (sei grandi lampade a petrolio che scendono dall'alto e sei grandi tavoli), mentre l'azione si svolge sotto il segno del fuoco: un cerchio di lampade entro il quale si muovono le danzatrici e la stessa Carmen che canta e danza la sua Chanson Bohème. Ancora il fuoco delle fiaccole segna l'ingresso del torero Escamillo, quindi l'incontro decisivo fra Don Josè e Carmen che segnerà il destino di entrambi: la seduzione della donna, lo scontro con l'ufficiale, la diserzione al seguito dei contrabbandieri.
Il terzo atto è caratterizzato dai cupi colori notturni della montagna, dove si prepara la tragedia dei due amanti introdotta da una sinuosa danza premonitrice, mentre i fuochi dell'accampamento punteggiano la notte: le carte preannunciano a Carmen una morte imminente, Micaela tenta disperatamente di salvare l'amore e la vita di Don Josè, Escamillo sopraggiunge a dichiarare a Carmen il proprio amore e a cambiare il destino della donna.
L'ultimo atto si consuma nel segno del sole che inonda l'arena di Siviglia dinanzi alla quale sfilano le squadriglie della corrida con il solenne arrivo in carrozza di Escamillo e Carmen avvolta in un abito rosso fuoco. Poi la disperata invocazione d'amore di Don Josè, lo sprezzante rifiuto e la sfida di Carmen, che quasi si getta in un'ultima irrisione sul coltello dell'amante rifiutato a concludere questo infuocato dramma di passione e sangue. A completare e impreziosire la messa in scena gli interventi dell'Arsis-Ballet de Cambra e soprattutto gli straordinari costumi di William Orlandi, sempre eleganti, sempre segnati da richiami alla pittura colta del secondo Ottocento francese, sempre rigorosamente graduati sui toni pastello, tolta l'esplosione del costume finale di Carmen, uno spettacolo nello spettacolo.
(Alberto Pellegrino)