“Macbeth” apre “il gioco dei potenti” a Macerata
Alberto Pellegrino
6 Ago 2007 - Commenti classica
Il Macbeth di Giuseppe Verdi ha aperto la 43^ Stagione lirica di Macerata senza deludere le attese di chi prevedeva una messa in scena spettacolare dal parte di Pier Luigi Pizzi che, adattandosi a uno stile scenografico, ha saputo creare le giuste atmosfere per questo profondo e notturno dramma di sangue e morte. Mentre due piani inclinati s'incrociano sullo sfondo della scena per veicolare verso il palcoscenico masse e protagonisti, quasi al centro della scena si erge sopra una piramide tronca un trono rosso, isola sanguigna intorno alla quale ruggiscono e s'infrangono i marosi delle passioni del potere, le violenze degli assassini, il rimorso e la vendetta, il trionfo del male e la riconquista del potere da coloro che ne erano stati allontanati da una spietata e sanguinosa congiura. Pizzi si rivela ancora una volta maestro nel dirigere sia gli interpreti, che indossano splendidi costumi (chiara la citazione della corona di Macbeth dal cupo e splendido film di Orson Welles), sia le masse rigorosamente in rosso e nero, quando interpretano il primo e il secondo sabba delle streghe, quando vivono le cupe/festose atmosfere del banchetto, oppure quando intonano le dolenti del coro O Patria cara . Sempre nel segno del sangue, avviene il tragico ingresso in scena del trucidato re Duncan sopra un bianco lenzuolo inondato di rosso, mentre il colore rosso assume i toni della festa e della vittoria nel trionfale sventolio di bandiere che chiude lo spettacolo. Ricco di fascino il lungo inserto del ballo, che ricalca lo stile da Grand Opera, ottimamente interpretano da giovani e valenti danzatori e acrobati guidati da una suggestiva Anbeta Tormani, una rossa Ecate che conclude la sua performance anche lei abbarbicata al trono del potere.
Verdi arriva al temuto e sempre rimandato incontro con l'amatissimo Shakespeare con questa opera, alla quale dedica un grande impegno nella stesura della partitura e una particolare attenzione alla scrittura del libretto affidata a Francesco Maria Piave, affiancato però per l'occasione da un letterato di sicura esperienza come Andrea Maffei. Verdi si mostra particolarmente fedele al testo del grande drammaturgo inglese ed è nostra impressione che egli abbia saputo cogliere i significati più reconditi di questa tragedia, più ancora che nelle successive opere shakespeiriane. L'opera mantiene infatti quella visione nichilista della vita ( La vita non è che un'ombra che cammina una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furia, che non significa nulla ) che possiede l'originale e affida questa elegia del pessimismo proprio al protagonista, il quale dovrebbe essere invece l'incarnazione del coraggio malvagio e della spregiudicata sete di potere. Egli si dibatte al contrario tra continue paure e ricorrenti rimorsi, trascinato a realizzare i suoi progetti di morte da una sanguinaria Lady Macberth, divorata da una vera e propria libidine del potere ( O voluttà del soglio! O scettro, alfin sei mio ), che la farà alla fine precipitare nell'abisso della follia. L'altro tema è la rappresentazione del male, perchè ambedue i protagonisti sono consapevoli di recitare sulla scena della storia una partitura che alla fine non saranno in grado di interpretare fino in fondo ( La vita non è che un povero attore che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena e del quale poi non si ode più nulla ). Essi rappresentano un male eseguito male e quindi destinato a far fallire il progetto di conquista del trono, vissuto senza la fredda volontà di potenza che porta al trionfo machiavellico del potere (oggi è di moda leggere in parallelo Shakespeare e il Principe), senza nemmeno redimersi nella catarsi finale, poichè sono la passione e il rimorso a decretare il fallimento della coppia omicida, resa maldestra e visionaria da una fede cieca in un destino ingannatore personificato nelle streghe. Il terzo e ultimo tema è quello della lotta del potere che lascia dietro si sè una scia di morte e di sangue, per cui bene ha fatto il Maestro Pizzi a segnare con i colori dominanti del nero e del roso tutto il percorso dell'opera, a usare in modo simbolico l'immensa grata su cui si spalanca l'oscuro antro che immette nel castello di Dunsinane, metaforica porta di un inferno destinato a chi ha idolatrato il potere e l'ha cercato attraverso l'assassinio.
Questo insieme di spettacolari suggestioni ha trovato le giuste atmosfere musicali grazie alla direzione del M Daniele Callegari, che ha guidato l'Orchestra Filarmonica Marchigiana e il Coro Bellini con sicura e raffinata sensibilità . Giudizio altrettanto positivo non è possibile esprimere per il cast degli interpreti, fra i quali si è distinto soltanto il tenore Rubens Pellizzari che ha fornito una buona interpretazione del personaggio di Macduff. Il baritono Giuseppe Altomare, chiamato a sostituire Vittorio Vitelli, ha affrontato il personaggio di Macbeth con comprensibile timore reverenziale e ha mostrato diverse incertezze interpretative per poi riprendersi nel finale dell'opera, soprattutto quando ha eseguito l'aria Perfidi! All'Anglo contra me v'unite! , anche se ha liquidato con una certa superficialità l'ultima battuta che pronuncia Macbeth prima di abbandonare la scena di una vita ormai vuota di significati. Il soprano Olga Zhuravel, che pure è stata un'apprezzabile Turandot nella precedente stagione lirica, ha debuttato nel difficilissimo ruolo di lady Macbeth senza avere la necessaria potenza di voce e soprattutto quelle drammatiche tonalità che richiede la profonda oscurità del personaggio, fornendo una prestazione deludente in un ruolo che evidente mente non può appartenere al suo repertorio.
(Alberto Pellegrino)