Luci e ombre, teatro kabuki e iconografia giapponese per la “Butterfly” alla Scala


di Alberto Pellegrino

8 Gen 2017 - Commenti classica, Musica classica

Alvis Hermanis (a sx) e Riccardo Chailly MusiculturaonlineMilano (07.12.2016). Questa volta l’attenzione dei mass media si è concentrata sull’opera Madama Butterfly di Puccini nella famosa edizione “originale” che fu clamorosamente fischiata nel suo debutto alla Scala del 1904 e che non deve essere considerata, secondo il Direttore Riccardo Chailly, la Butterfly più «bella», ma l’occasione per conoscere meglio la musica puccinana. Questo ritorno al passato non è sembrata una grande scoperta, dato che Puccini ha sentito il bisogno dopo soli tre mesi di modificare il melodramma nella versione conosciuta e rappresenta in tutto il mondo, per cui una ragione ci sarà pure stata, al di là del giudizio del pubblico “prevenuto”, “cattivo” e “incompetente” che aveva assistito a quella prima. Il Maestro Chailly ha voluto riproporre questa versione originale dell’opera in due atti (con la partitura ricostruita da Julian Smith), perché essa contiene “i tratti più innovatori della musica del primo Novecento”, facendo una direzione dell’orchestra novecentesca, asciutta, quasi crudele. Ma che cosa è emerso da questa messa in scena?
Il primo atto, dove viene marcata in modo più netto la divisione tra il mondo giapponese e204_K65A3845 Musiculturaonline quello occidentale, ha delle lungaggini e dei passaggi persino farseschi (a che cosa è servito la riesumazione dello zio ubriacone di Cio Cio San per farne una “macchietta” da avanspettacolo?, mentre rimane sempre straordinariamente bello il duetto d’amore che chiude l’atto. Il secondo atto si presenta più omogeneo e convincente con l’accentuazione della distanza fra i due mondi, con la casa e gli abiti occidentali di Butterfly, anche se diventa di un realismo un po’ banale mettere in scena una macchina da cucire Singer e un quadro con l’immagine di Gesù di Nazareth. Un punto di forza rimane la celebre romanza “Un bel dì vedremo”, il commovente coro a bocca chiusa, l’efficace incontro tra Butterfly la bionda Kate, la vera moglie di Pinkerton che si presenta a Cio Cio San per avere in affidamento il suo bambino. Pinkerton non ha il coraggio d’incontrare la ragazza che ha ingannato, confermandosi un cialtrone fino al termine dell’opera, un turista sessuale che ha acquistato una minorenne per la modica somma di 100 yen (anche questo ci fa sapere la prima versione del libretto). Il povero Pinkerton è stato privato anche della bellissima romanza Addio, fiorito asil’ che Puccini aveva composto in occasione della presentazione dell’opera a Brescia, Prova generale 003_K65A1811 Musiculturaonlineottenendo quel trionfo che la Scala gli aveva negato solo tre mesi prima. Da parte loro, i due librettisti Illica e Giacosa avevano provveduto alla totale revisione del libretto e soppresso quelle battute d’irrisione che rappresentavano l’insensibilità razzista di Pinkerton, verso il mondo giapponese, la sua volontà di sposare Butterfly all’usanza giapponese, per avere la possibilità di ripudiarla dopo un mese. Dopo la revisione della partitura e del testo, puntando sulla personalità della protagonista in puro stile pucciniano, l’opera è divenuta la sesta più rappresentata nel mondo dopo TraviataCarmen, Bohème, Flauto Magico e Tosca.. Molto meglio si presentato il secondo atto che assume le dimensioni della tragedia greca con il suicidio ritualizzato di Butterfly (la quale indossa lo stesso abito bianco dello sposalizio), scegliendo invece del harakiri un più spettacolare taglio della gola. Pinkerton, che già nella seconda versione dell’opera non era certamente un personaggio “simpatico”, nella versione originale è un trucido e arrogante americano,Prova generale 078_K65A1962 Musiculturaonline sicuramente un “barbaro” rispetto alla raffinata civiltà giapponese, un essere che acquista per pochi denari una ragazzina per farne il suo momentaneo giocattolo sessuale, che si diverte a prendere in giro tutti i parenti della sposa, un vigliacco che manda la moglie americana a rivolvere il problema del figlio e si raccomanda anche al console Sharples (“Voi del figlio parlatele, io non oso. Ho rimorso, sono stordito! Addio, mi passerà”). È veramente troppo per un personaggio totalmente negativo che la versione originale viene privato anche dell’unico momento di umanità, essendo ancora mancante la bella romanza “Addio, fiorito asil”.
Non sempre il pubblico della Scala ha capito le cose proposte dalle varie Sovrintendenze, dimostrando un forte attaccamento alla tradizione. Non sempre si è compreso che il Teatro alla Scala non è un teatro d’avanguardia (non è questa la sua funzione), ma è un teatro all’avanguardia che ha il compito di sperimentare e di vincere sul piano musicale e sul piano registico. A volte però si cede alla tentazione di rifugiarsi nella conservazione.  È il caso della non-regia di questa Butterfly, uno spettacolo nato “vecchio” come se il regista lettone Alvis Hermanis si muovesse in punta di piedi per paura di disturbare il pubblico pagante e non pagante della prima. Tutto molto elegante e usato in modo giusto: le scene (Leila Feita) con pannelli scorrevoli che scompongono e ricompongono gli ambienti; i costumi  di Kristine Jurjāne raffinati e cromaticamente perfetti; le luci di Gleb Filshtinsky orchestrate con sapienza; le efficaci coregografie di Alla Sigalova e i video di Ineta Sipunova. Non riesce a Prova generale 284_K65A2707 Musiculturaonlinecreare atmosfere magiche, né a conferire originalità il susseguirsi sullo schermo di  fondo delle immagini di splendidi giardini, di squarci del porto di Ngasaki, di mari scintillanti sotto la luna, di alberi ricoperti di fiori rosa e bianchi, il tutto nel segno della sognante leggerezza e del sottile erotismo della pittura di Hokusai, Hiroshige e Utamaro. Persino l’agitarsi di sciami di geishe danzanti, sul piano superiore della scena, non aggiungono né tolgono quasi niente a quanto avviene sulla scena, perché la regia è statica e priva di idee: mentre la musica cammina per suo conto seguendo lo spartito originale, quello rappresentato da Hermanis è il solito Puccini sentimentale, decorativo e piccolo borghese.
Nel primo atto si è voluto calzare la mano in senso realistico sullo scontro antropologico e culturale tra due mondi diversi e inconciliabili, ma anche nel secondo atto si è dato eccessivo spazio allo scontro tra la sposa giapponese e quella americana. Non è stata felice neanche l’idea di ispirarsi al teatro Kabuki per impostare la gestualità degli interpreti, che sono statiProva generale174_K61A0306 bloccati sulla scena (soprattutto Butterfly) in pose plastiche un po’ marionettistiche.
I maggiori applausi sono andati al direttore Riccardo Chailly e al soprano Maria José Siri, che ha interpretato con stile appropriato e spiccata sensibilità il personaggio Butterfly con qualche limite sul piano dell’intensità drammatica. Grandi meriti vanno riconosciuti sia ad Annalisa Stroppa che è stata una convincente e intensa Suzuki, sia al baritono Carlos Alvarez che è stato uno Sharpless perfetto. Per quanto riguarda il tenore Bryan Hymel (Pinkerton), ancora una volta si è scelto un cantante dai potenti mezzi vocali, ma stilisticamente modesto che scambia l’interpretazione per il canto “urlato”, che si mostra goffo e poco elegante persino nello stupendo duetto finale del primo atto, fornendo nel complesso una prestazione senz’anima.

Tag: , , , , ,