Lo Sferisterio Opera Festival 2010 a maggior gloria di Dio
Alberto Pellegrino
1 Set 2010 - Commenti classica
<b<MACERATA. Lo Sferisterio Opera Festival 2010 ha voluto celebrare il quarto centenario della nascita del gesuita maceratese Padre Matteo Ricci uomo di fede, missionario, scienziato e letterato, scegliendo come tema-guida A maggior gloria di Dio e il direttore artistico M Pierluigi Pizzi ha conferito al progetto una forte unità stilistica con l'esecuzione di cinque opere che, per il loro alto significato spirituale, costituiscono un insieme di forte coerenza tematica e artistica.
Il Vespro delle Beata Vergine di Monteverdi
La stagione si aperta il 29 luglio nel suggestivo contesto dell'Auditorium San Paolo con il Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi, che nel 1610 ha composto un capolavoro nel quale ha saputo fondere spirito religioso e profano, aprendo nuovi orizzonti nel panorama musicale barocco e creando un monumento del repertorio sacro concepito per orchestra, un grande coro e sette solisti. La composizione è stata eseguita secondo l'edizione a stampa del 1610, conservata presso il Civico Museo Bibliografico di Bologna, sotto la direzione del M Marco Mencoboni, clavicembalista, organista e direttore d'orchestra maceratese attualmente considerato uno dei massimi conoscitori ed esecutori del repertorio rinascimentale e barocco. A lui spetta il merito di aver riscoperto e valorizzato la tecnica vocale marchigiana del cantar lontano , che serve a creare straordinari effetti di suono diffuso , disponendo strategicamente gli esecutori nello spazio. Si è colta pertanto questa occasione per studiare, insieme al regista Pizzi, un particolare uso degli spazi, collocando il complesso orchestrale e i solisti al centro e due parti del coro negli altari laterali, mentre alcuni solisti si sono avvicendati sul pulpito e sul fondo della sala, come nel caso del Concerto n. 4 quando è stato realizzato l'effetto ad eco , un topos tra i più diffusi nel teatro del Seicento. Molto bravi sono stati i musicisti del complesso strumentale del Cantar Lontano, i solisti e i due cori del Cantar Lontano e della Stagione Armonica, che hanno toccato momenti di grande efficacia e rara sensibilità nell'esecuzione della Sonata sopra Sancta Maria, dell'inno Ave maris stella e del Magnificat. A completare il valore dello spettacolo hanno sicuramente contribuito gli splendidi costumi disegnati da Pier Luigi Pizzi e le atmosfere luministiche di Sergio Rossi, che ha saputo valorizzare al meglio gli elementi architettonici e gli arredi pittorici dell'Auditorium.
La Forza del destino di Verdi
La stagione dello Sferisterio ha avuto inizio con La forza del destino, opera monumentale composta da Giuseppe Verdi nel 1862 per il Teatro dell'Opera di San Pietroburgo ed eseguita in Italia nel 1869 alla Scala. Il libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma Don Alvaro o la fuerza del sino (1835) di Angel Perez de Saavedra, contiene un insieme di passioni violente e di un ardente misticismo, di un odio ferocemente ostinato e di gesti di grande generosità , di eroismo e di crudeltà , che forma una materia incandescente nella quale Verdi immette brani sublimi come Me pellegrino ed orfana , Madre, pietosa Vergine , La Vergine degli Angeli , O tu che in seno agli angeli , Solenne in quest'ora , Le minacce, i fieri accenti , Pace, pace, mio Dio! .
Nell'opera oltre ai due antagonisti (Alvaro capace di perdono e animato da spirito cristiano e Carlo ciecamente ostinato nel perseguire la sua vendetta) emerge soprattutto il personaggio di Leonora come protagonista assoluta e vittima predestinata e incolpevole della inesorabile forza del Fato, costretta a pagare il prezzo della propria libertà con l'autocancellazione dal mondo. Il regista, scenografo e costumista Pier Luigi Pizzi, anche quest'anno ha accettato la sfida creativa di ideare tre diversi allestimenti in un unico impianto scenografico con poche anche se significative varianti. Pizzi, che ha collocato la vicenda nella Spagna e nell'Italia del primo Novecento, ha costruito anche questo spettacolo intorno ad una grande croce come segno tangibile di un futuro dove i protagonisti non troveranno pietà per gli altri nè per se stessi. Purtroppo l'indisposizione del baritono Mario De Felice nella sera del debutto e la presenza del baritono Carlo Guelfi, giunto alquanto impreparato nella seconda serata, hanno finito per condizionare il ritmo e la qualità delle due rappresentazioni, nonostante l'apprezzabile qualità dei protagonisti che hanno dato prova di una forte intensità interpretativa, mentre meno convincenti sono apparse le parti corali e d'insieme risultate alquanto statiche e spente (contro una tradizione che vuole Pizzi abilissimo nel manovrare le masse di coristi e comparse), per cui l'opera più attesa della stagione 2010 ha mostrato alcuni punti deboli, alternati naturalmente a momenti forti , come le scene all'interno del convento soprattutto nell'esecuzione de La vergine degli angeli ricca di forti suggestioni visive e musicali.
I Lombardi alla prima Crociata di Verdi
Certamente migliore è risultata la messa in scena della seconda opera in cartellone che ha costituito una preziosa rarità per coloro che amano il melodramma, in quanto I Lombardi alla prima Crociata appare sempre meno nei cartelloni lirici. Composta da Giuseppe Verdi nel 1843, su libretto di Temistocle Solera, l'opera riscosse allora un vasto successo per la sua aurea romantica e per la presenza di una forte componente patriottica che trova il suo vertice nel celebre coro O Signore dal tetto natio , per cui nel biennio 1846-1847 essa fu eseguita in molti teatri italiani (compreso lo Stato Pontificio) per festeggiare per l'elezione del liberale Pio IX. Ispirato al poema epico di Tommaso Grossi, il melodramma presenta una struttura molto articolata per la complessità degli avvenimenti che si svolgono al tempo della prima Crociata e sono ambientati in contesti diversi in un continuo alternarsi di azioni moralmente abiette e slanci di santità , di passioni terrene e visioni celestiali. L'azione inizia a Milano dove Pagano, geloso del fratello Arvino che ha sposato l'amata Viclinda, ritorna per vendicarsi, ma finisce per uccidere il padre. Nella corte di Acciano, tiranno di Antiochia, è tenuta prigioniera Giselda, la figlia di Arvino, della quale è innamorato il principe Oronte. Pagano, per scontare le sue colpe, vive da eremita in una grotta vicina alla città , dove lo raggiunge Pirro divenuto musulmano, ma ora pronto a condurre l'esercito cristiano all'interno di Antiochia. L'eremita, quando apprende che i crociati sono lombardi, accetta di prendere le armi. Nell'harem di corte Giselda invoca la Vergine Maria affinchè protegga Oronte, ma quando gli dicono che il giovane è stato ucciso, si rivolta contro un Dio così ingiusto da permettere lo svolgimento delle guerre. Arvino accusa di empietà la figlia, che viene salvata dall'intervento di Pagano. Oronte e Giselda si ritrovano nella valle di Josafath e si scambiano un giuramento de eterno amore, ma durante la fuga il principe viene ferito a morte. I due innamorati si rifugiano nella grotta di Pagano, dove Oronte spira tra le braccia dell'amata dopo aver ricevuto il battesimo. Oronte appare in una visione a Giselda e le rivela che l'esercito cristiano, tormentato dalla sete, potrà dissetarsi nella acque del fiume Siloe. Si ha l'ultimo assalto alle mura di Gerusalemme e Pagano viene ferito a morte; trasportato nella tenda di Arvino, confessa al fratello la sua identità ottenendo il suo perdono, mentre la bandiera cristiana sventola su Gerusalemme.
Diretta dal M Daniele Callegari, l'opera è stata interpretata da un buon cast, nel quale si sono particolarmente distinti Dimitri Theodossiou (Giselda), Francesco Meli (Oronte) e Michele Pertusi (Pagano). Valida la prova della Corale Bellini alle prese con i numerosi cori disseminati lungo tutta la partitura. La regia di Pier Luigi Pizzi, segnata da un'austerità monacale nelle scene e nei costumi, ruota intorno a un grande Crocifisso sostenuto da figuranti disposti secondo citazioni dalla pittura gotica. Abile come sempre l'impiego delle masse corali e delle comparse; di notevole impatto emotivo l'intermezzo danzato da Ambeta Toromani che, seguita in scena dal violino solista di Michelangelo Mazza, incarna l'anima orante di Giselda e del pari coinvolgente è la visione di Oronte che canta fuori scena, mentre due figuranti mimano l'abbraccio dei due amanti immersi in un luce celestiale. Di grande effetto risultano sia i giochi di luce sulle due grandi vasche d'acqua che simboleggiano il fiume Siloe, sia l'ondata luminosa che invade la scena finale per simboleggiare misticamente la conquista del Santo Sepolcro.
Il Faust di Gounod
L'ultima opera in cartellone allo Sferisterio è stata il Faust di Charles Gounod, composta nel 1859 su libretto di Jules Barbier e Michel Carrè, tratto da un dramma dello stesso Carrè e ispirato al capolavoro di Goethe. L'opera è considerata un capolavoro dell'opèra-lyrique un genere che nasce dalla sintesi tra la grandiosa magniloquenza del grand-opèra e la brillantezza dell'opèra comique: Gounod attinge liberamente da ambedue i generi, avvalendosi di una fluidità nel canto e nella melodia finora ignoti all'opera francese. Il mito di Faust viene trasformato in una storia d'amore, nella quale si fondono dramma e commedia, atmosfere cavalleresche e situazioni comico-burlesche, passaggi tragici e momenti caratterizzati da un accentuato lirismo. La vera protagonista dell'opera è Margherita (splendidamente interpretata da Carmela Remigio) che costituisce l'oggetto del desiderio e il nodo centrale dell'intera vicenda in una perfetta fusione tra femminilità e misticismo, tra attrazione per il peccato e forza di riscatto fino a diventare un simbolo di salvezza capace di elevarsi alle sublimi atmosfere del Cielo. Ambientata anche in questo caso in un primo Novecento contrassegnato dall'eleganza dei costumi, l'opera ha avuto momenti di notevole intensità nella scena di seduzione di Margherita da parte di Faust, nel finale quando Margherita è rinchiusa nel carcere in preda alla follia ed è in attesa di pagare con la vita la morte del bambino avuto da Faust. La Remigio è stata bene affiancata da Teodor Ilicai (Faust) e da Alexander Vinogradov alle prese con il difficile personaggio di Mefistofele. Belle le scene di massa fra gli studenti; il ritorno dalla guerra dei soldati e di Valentino, fratello di Margherita; lo svolgimento del Sabba con cui Mefistofele cerca di allontanare per sempre Faust da Margherita. Altrettanto suggestivi gli interventi danzati con le coreografie di Georghe Iancu che ha saputo cogliere e interpretare lo spirito festoso a volte persino orgiastico, e drammatico dell'opera.
La Juditha Triumphans di Vivaldi
Grazie ad una intelligente e raffinata messa in scena del regista e costumista Massimo Gasparon, la Juditha triumphans di Antonio Vivaldi si è rivelata, a nostro avviso, la vera perla della stagione 2010, grazie anche alle lineari ma funzionali geometrie della scena e alle suggestioni ambientali legate allo splendido impianto del bibianesco Teatro Lauro Rossi. L'oratorio di Antonio Vivaldi è l'unico, tra i quattro composti dal genio veneziano, che si può definire un'opera sacra al femminile a causa della predomino dell'eroina biblica nel ruolo della protagonista assoluta. In origine l'opera, composta nel 1716, è stata etichettata dall'autore come Sacrum Militare Oratorium, in quanto Giuditta in lotta contro il barbaro Oloferne diventa la metafora della vittoria e della pace conseguite da parte della Repubblica di Venezia nella guerra contro i Turchi per la riconquista dell'isola di Corfù.
Il libretto, scritto in un bel latino, da Iacopo Cassetti, esalta la figura di Giuditta e la sua vittoria contro l'invasore Oloferne, ma in realtà celebra Venezia che il coro proclama alla fine Maris Regina, mentre il barbaro Trace Oloferne rappresenta allegoricamente lo sconfitto Sultano e l'impero ottomano. Vivaldi, con la sua strutturazione in arie e recitativi, compone un vero e proprio melodramma sacro , dove è impiegata una grande varietà di strumenti utilizzati con maestria per caratterizzare le parole e le azioni dei personaggi: la forza guerresca degli ebrei e la dissolutezza degli assiri, la forza d'animo e il fascino di Giuditta, le voglie amorose di Oloferne. Ancora predominanti su quelli maschili sono i ruoli femminili (Vagaus, Abra e Oziaz) e il coro delle Vergini di Betulia, ma il ruolo centrale spetta a Giuditta, la bellissima e affascinante vedova di Betulia che, per la salvezza della patria ( per amore di patria mi guida la dolcissima speranza della libertà ), lascia la città assediata e penetra nel campo nemico per confrontarsi e offrirsi ad Oloferne, che finisce per rimanere soggiogato e vinto dal suo fascino. Gasparon sceglie decisamente la chiave interpretativa dell'erotismo, cogliendo quella vena di sensualità che scorre lungo tutta la composizione sotto una superficie apparentemente dominata dalla spiritualità . Le parti guerresche vedono a confronto le schiere guidate da Oloferne che impugnano le scimitarre e indossano i verdi mantelli dell'Islam, mentre gli Ebrei vestono rigorosamente di bianco in un forte contrasto con gli abiti sontuosi e cromaticamente ricchi della corte di Oloferne, dove i corpi della danzatrici sono generosamente esibiti di corte e dove domina una certa lascivia. Tutte le scene di massa, danzate e mimate con notevole sincronismo e cariche di un forte impatto visivo invece di contrastare con la scelta della forma cameristica, concorrono ad esaltare ancora di più il clima di esplicito erotismo che caratterizza le scene tra Oloferne e Giuditta (gli abbracciamenti, i baci appassionati, le carezze sensuali del condottiero) fino all'amplesso fra i due protagonisti chiaramente minato in scena. La statuaria bellezza Miljana Nikolic contribuisce a fare di Giuditta un oggetto del desiderio di fronte al quale Oloferne (ottimamente interpretato dal baritono Nmon Ford) non riesce a resistere, rimanendo spiritualmente e fisicamente dominato dal fuoco d'amore che si sprigiona dal corpo della donna fino a quando, spossato dalle lotte amorose, finisce per passare da un sonno ristoratore al sonno della morte a conclusione di uno spettacolo pressochè perfetto sotto il profilo teatrale e musicale.
L'Attila di Verdi
Gasparon, partendo dall'idea drammaturgica che l'oratorio di Vivaldi e l'opera di Verdi sono concettualmente apparentate in quanto entrambe incentrate sulla figura di una eroina che vuole liberare la propria patria dall'oppressione di un tiranno, ha proposto anche l'Attila di Giuseppe Verdi in forma cameristica , usando lo stesso dispositivo scenico e uniformando lo stile dei costumi. Attila è certamente un'opera importante tra quelle composte dal giovane Verdi, perchè introduce nel melodramma una nuova drammaturgia, presentando una precisa grammatica e sintassi sotto il profilo musicale e teatrale, dove manca solo la grande vena melodica dei successivi capolavori verdiani. Dal punto di vista formale, l'opera nella messa in scena di Gasparon, risulta elegante e pienamente godibile anche per merito di un cast di valore formato da Maria Agresta (Odabella), Antonio Coriano (Foresto), Nmon Ford (Attila) e Claudio Sgura (Ezio). Sul piano storico e concettuale l'operazione presenta qualche limite e risulta meno convincente, in quanto non è sufficiente il vero punto di contatto tra le due opere, quando Odabella, per riconciliarsi e giustificarsi agli occhi di Foresto, cita l'esempio biblico di Giuditta e Oloferne. Per il resto la visione musicale di Verdi è di natura epico-sentimentale e, con i suoi toni marziali, è molto lontana dalla raffinatezze settecentesche e dalle introspezioni erotiche della musica di Vivaldi.
A differenza di Giuditta, che conta unicamente sul suo coraggio e sul fascino che sprigiona la sua bellezza, Odabella è una guerriera determinata e aggressiva anche se non si sottrae alle convenzioni del melodramma italiano che vogliono la protagonista femminile sottostare alla propria vulnerabilità amorosa: ucciderà pertanto il tiranno Attila per poi obbedire alle ragioni del cuore e trasformarsi da patriottica guerriera in sposa devota. Ancora più arduo diventa trasformare il condottiero Attila e i suoi guerrieri unni in combattenti saraceni. E' vero che il libretto scritto da Temistocle Solera e tratto dal dramma Attila, Konig der Hunne di Zacharias Werner (1768-1823) non è certamente un lavoro esaltante nemmeno dopo la revisione di Francesco Maria Piave, imposta dallo stesso Verdi, tanto che la vicenda conclusiva, secondo Paola Damiani, potrebbe svolgersi ovunque e in qualunque epoca storica ; resta comunque il fatto che Attila, disegnato nell'opera come un barbaro crudele e tirannico, è personaggio storicamente troppo marcato e segnato dall'aura romantica, perchè diventi pienamente credibile la sua trasfigurazione in un guerriero saraceno che impugna la scimitarra invece della daga e che indossa i colori dell'Islam.
(Alberto Pellegrino)